7 luglio 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Barbara Schiavulli in data Luglio 7, 2025
- Gaza: Netanyahu oggi da Trump, sarà tregua?
- Guerra commerciale Cina–UE: Pechino blocca i dispositivi medici europei.
- Pakistan: monsoni devastanti, almeno 72 morti e allerta ancora alta.
- BRICS a Rio: tra tensioni globali e silenzi strategici, Lula cerca equilibrio.
- Kenya: attaccata la sede dei diritti umani alla vigilia delle proteste del 7 luglio
- Messico: funzionario ucciso in pieno giorno a una partita di basket. Il
Introduzione al notiziario: Il grido di Abdulraheem
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli
Israele e Palestina
■ OSTAGGI/CESSATE IL FUOCO: Il primo round di colloqui indiretti tra Israele e Hamas su un cessate il fuoco a Gaza si è concluso senza un accordo, secondo quanto riportato da Sky News Arabia, che ha citato funzionari palestinesi a conoscenza dei negoziati.
Una squadra israeliana incaricata delle negoziazioni per la presa degli ostaggi è partita per il Qatar domenica pomeriggio, ha dichiarato l’ufficio del primo ministro Netanyahu dopo aver annunciato sabato sera che “i cambiamenti che Hamas sta cercando di apportare alla proposta del Qatar sono inaccettabili per Israele”.
Netanyahu è partito ieri sera per Washington DC in vista dell’incontro programmato con il presidente degli Stati Uniti Trump alla Casa Bianca, previsto per oggi.
“L’accordo di cessate il fuoco che si sta delineando potrebbe aprire la strada alla fine della guerra, che è ciò che Hamas cercava. Due cose vanno sottolineate.
In primo luogo, questo stesso accordo avrebbe potuto essere raggiunto lo scorso marzo, prima che le Forze di Difesa Israeliane riprendessero i combattimenti , o addirittura un anno prima, se Netanyahu lo avesse veramente voluto.
In secondo luogo, il fatto che l’attuazione del nuovo accordo si sia protratta per diverse fasi è dovuto solo all’insistenza di Israele.
D’altra parte, Netanyahu sta ancora frapponendo ostacoli lungo il percorso , il che potrebbe non vanificare l’accordo, ma almeno segnalerà ai suoi partner di coalizione di estrema destra che queste opzioni rimangono aperte”.
■ GAZA: Il Ministero della Salute guidato da Hamas ha riferito che 80 palestinesi sono stati uccisi e 304 feriti in attacchi israeliani nelle ultime 24 ore. Secondo il Ministero, dall’inizio della guerra sono state uccise 57.418 persone.
Hamas, la Jihad islamica palestinese e altre fazioni militanti di Gaza hanno annunciato la loro intenzione di assassinare membri della milizia Abu Shabab , che opera con il sostegno di Israele, scrivendo che “il loro destino è nella pattumiera della storia e una macchia di vergogna davanti a Dio e alla patria”.
Il gabinetto di sicurezza israeliano ha votato sabato sera per consentire l’ingresso di maggiori aiuti umanitari a Gaza , nonostante l’opposizione dei ministri di estrema destra Ben-Gvir e Smotrich, ha riferito una fonte ad Haaretz.
La società statunitense Boston Consulting Group ha creato modelli per calcolare i costi del “ricollocamento” della popolazione palestinese a Gaza e ha firmato un contratto del valore di milioni di dollari per aiutare a lanciare il piano di distribuzione degli aiuti della Gaza Humanitarian Foundation, ha riportato sabato il Financial Times .
■ LIBANO: Il segretario generale di Hezbollah, Naim Qassem, ha affermato che l’organizzazione “non accetterà alcun tentativo di legalizzare l’occupazione [israeliana] in Libano o di forzare la normalizzazione con Israele “, aggiungendo che “non importa se il mondo intero si unisce contro di noi, le braci della resistenza ardono e noi faremo in modo che continuino a bruciare”.
■ SIRIA: Le IDF hanno affermato di aver distrutto diversi avamposti del regime di Assad nel settore siriano del Monte Hermon.
E restiamo in Siria: Nel nord-ovest della Siria, gli incendi continuano ad avanzare senza tregua. Secondo quanto riferito dalle autorità locali, oltre 10.000 ettari di foreste sono già andati distrutti nella sola provincia di Latakia, dove 28 focolai attivi stanno consumando centinaia di migliaia di alberi.
Le fiamme si sono estese rapidamente anche a causa delle temperature elevate, del vento forte e della fitta vegetazione. Nuovi roghi si sono accesi nel distretto di Qastal Maaf, ha confermato il direttore della Protezione Civile Abdul Kafi Kayyal.
Il ministro per le Emergenze e i Disastri Raed Saleh ha annunciato su X che oltre 100 squadre operative, con l’aiuto di Turchia e Giordania, stanno tentando di contenere gli incendi. In campo ci sono 160 mezzi antincendio, 12 veicoli da ingegneria pesante e diversi elicotteri.
Un membro della protezione civile è rimasto ferito durante le operazioni, ma non si segnalano feriti tra i civili.
Nel frattempo, è stata istituita una sala operativa congiunta, con il supporto di più organizzazioni, per coordinare le operazioni logistiche e d’emergenza nell’area.
Iran
A dodici giorni dall’inizio della guerra con Israele, il leader supremo iraniano Ayatollah Ali Khamenei è tornato a mostrarsi in pubblico. Lo ha fatto a Teheran, in occasione delle cerimonie per la vigilia dell’Ashura, il giorno in cui i musulmani sciiti ricordano il martirio dell’Imam Hussein, nipote del Profeta Muhammad.
Le immagini trasmesse dalla tv di Stato lo mostrano mentre entra nel moschea accanto alla sua residenza, tra canti religiosi e strette misure di sicurezza. Ma nessuna dichiarazione pubblica è stata rilasciata, alimentando ancora speculazioni sulle sue condizioni e sul peso delle perdite subite dal Paese.
Secondo fonti ufficiali iraniane, oltre 900 persone sono morte nel conflitto e migliaia sono rimaste ferite. Gli attacchi israeliani, iniziati il 13 giugno, hanno colpito siti nucleari, strutture militari e figure chiave del programma atomico iraniano.
Teheran ha ammesso i danni, ma ha anche bloccato l’accesso agli ispettori dell’Agenzia Atomica ONU, alimentando ulteriori tensioni internazionali.
In risposta, l’Iran ha lanciato oltre 550 missili balistici su Israele. La maggior parte è stata intercettata, ma alcuni hanno causato danni gravi e la morte di 28 persone.
Il ritorno di Khamenei, silenzioso ma simbolico, arriva in un contesto carico di dolore e significato: l’Ashura è la ferita originaria dell’Islam sciita, il ricordo della divisione, della sconfitta e del sacrificio.
E oggi, più che mai, quella memoria religiosa si intreccia con una nuova ferita: una guerra che ha riportato l’Iran sotto attacco, e il Medio Oriente sull’orlo del baratro.
Tra droni e bandiere rosse, missili e preghiere: a Teheran si piange il passato e si teme il futuro.
Mar Rosso e Yemen
Nel Mar Rosso, al largo delle coste yemenite, si è verificato un nuovo attacco contro una nave mercantile, a circa 51 miglia nautiche a sud-ovest di Al Hudaydah.
Secondo i primi rapporti, l’imbarcazione, battente bandiera liberiana, è stata colpita da colpi d’arma da fuoco e razzi RPG lanciati da 8–9 piccole imbarcazioni. La situazione è rimasta critica per ore.
Poi, Israele ha colpito nelle prime ore di oggi diversi porti e infrastrutture controllate dai ribelli Houthi in Yemen, tra cui Hodeida, Ras Isa, Salif e una centrale elettrica a Ras Kanatib.
Tel Aviv accusa gli Houthi di usare questi scali per traffici d’armi iraniani destinati ad attacchi contro Israele e i suoi alleati.
Kenya
È stata presa d’assalto da un gruppo armato la sede della Commissione per i Diritti Umani del Kenya (KHRC), proprio mentre era in corso una conferenza stampa contro gli abusi del governo.
Venti uomini, alcuni armati di bastoni, hanno fatto irruzione mentre gli attivisti chiedevano “la fine immediata degli arresti arbitrari, delle sparizioni forzate e delle esecuzioni extragiudiziali”.
L’attacco arriva alla vigilia delle proteste nazionali del 7 luglio, data simbolo delle lotte civili in Kenya.
La capitale Nairobi sarà militarizzata, con l’esercito schierato accanto alla polizia.
Le tensioni sono esplose già il 25 giugno: 19 morti, oltre 500 feriti, e 626 arresti secondo le ONG. La repressione cresce, e con essa la rabbia della società civile.
In Kenya come altrove, chi cerca giustizia è trattato come una minaccia. E quello di oggi rischia di essere un altro giorno da ricordare. O da piangere.
Croazia
A Zagabria, sabato notte, mezzo milione di persone ha affollato il più grande concerto mai tenuto in Croazia. Sul palco, Marko Perković, noto con il nome d’arte Thompson, idolo della destra ultranazionalista croata, ha intonato i suoi inni patriottici, tra cui una delle sue canzoni più controverse — quella che si apre con il famigerato saluto “Za dom – spremni!” (“Per la patria – pronti!”), lo stesso utilizzato dal regime ustascia filonazista durante la Seconda guerra mondiale.
In migliaia, sotto il palco, hanno risposto al richiamo: braccia tese nel saluto romano, bandiere e slogan che rievocano i fantasmi peggiori del passato. Il tutto trasmesso in video dalle emittenti croate, senza censure.
Il saluto è tecnicamente punibile dalla legge croata, ma i tribunali del Paese hanno permesso a Perković di usarlo all’interno dei suoi brani, considerandolo parte del contesto artistico legato alla guerra d’indipendenza degli anni ’90, in cui il cantante stesso ha combattuto.
Ma questa “licenza poetica” ha scatenato proteste in patria e all’estero.
Il quotidiano croato Večernji list ha parlato di una “perfetta organizzazione rovinata da un passato inaccettabile”.
L’emittente N1 ha ricordato che, mentre la Germania ha rotto nettamente con il suo passato nazista, la Croazia del 2025 “non è nemmeno vicina a quel livello di consapevolezza”.
Dalla Serbia, il presidente Aleksandar Vučić ha condannato l’evento come “una celebrazione di valori pro-nazisti”, mentre l’ex premier Boris Tadić ha definito il concerto “una vergogna per la Croazia e per l’Unione Europea”.
Eppure, Perković resta enormemente popolare, simbolo di un nazionalismo che affonda le radici nella guerra degli anni ‘90 ma spesso rievoca ben più antiche ideologie.
Dove finisce il patriottismo e dove inizia l’apologia del fascismo? In Croazia, oggi, la linea è più sfocata che mai.
Russia e Ucraina
È stato un fine settimana di fuoco nei cieli tra Russia e Ucraina. Mosca ha dichiarato di aver abbattuto quasi 160 droni ucraini, causando la chiusura di diversi aeroporti tra cui Sheremetyevo e Pulkovo, con pesanti disagi per i voli civili.
Anche altri scali nel centro e ovest del Paese sono stati temporaneamente paralizzati.
Ma la risposta russa non si è fatta attendere: drone strike su Kyiv e Kharkiv, con almeno cinque feriti, mentre l’offensiva aerea continua a colpire infrastrutture e popolazione.
Intanto, il presidente ucraino Zelensky ha annunciato accordi con alleati europei e un colosso della difesa statunitense per aumentare massicciamente la produzione interna di droni: “centinaia di migliaia” in arrivo, ha detto.
E ha lasciato intendere un possibile colloquio con Donald Trump per ottenere nuove batterie di Patriot contro gli attacchi russi.
Lo scontro si alza di quota, nel vero senso della parola: la guerra in Ucraina sta diventando una corsa tecnologica tra sciami di droni, con i cieli come nuovo fronte.
E con Trump tornato in gioco, Kiev scommette sull’equilibrismo diplomatico tra le due Americhe: quella dell’aiuto e quella del dazio.
Stati Uniti
Elon Musk torna a far parlare di sé, ma stavolta non per razzi o intelligenze artificiali. Il miliardario ha annunciato sabato la fondazione di un nuovo partito politico negli Stati Uniti, battezzato America Party.
Lo ha fatto, ovviamente, su X, la piattaforma social di cui è proprietario.
Il messaggio non include dettagli concreti sul programma o sulle politiche che il partito intende promuovere, ma Musk ha chiarito l’obiettivo: scardinare il duopolio Democratici-Repubblicani, puntando a ottenere seggi strategici in Congresso e guadagnare così un ruolo di ago della bilancia.
La mossa segna un’ulteriore escalation nel coinvolgimento diretto di Musk nella politica americana.
Fino a poco tempo fa, ricopriva il ruolo di capo dell’Ufficio federale per l’Efficienza del Governo, informalmente noto come Doge, sotto l’amministrazione Trump.
Ma i rapporti si sono rotti a giugno, quando Musk ha criticato pubblicamente la nuova legge economica firmata da Trump, definita la “big beautiful law”.
Una legge che taglia le tasse ai più ricchi e aumenta il debito pubblico. Musk l’ha bollata come una follia fiscale.
In un sistema politico dominato da due partiti, quello di Musk potrebbe sembrare un salto nel vuoto.
Ma in un’America sempre più polarizzata, la nascita dell’America Party potrebbe intercettare voti di protesta, delusi, e indecisi. Non ci sono ancora candidati né registrazioni ufficiali, ma l’intenzione è chiara: non sostituire, bensì influenzare.
Da Marte al Congresso: Musk ora vuole orbitare anche nella politica americana.
Le lettere “partiranno domani: O ci sarà un accordo” sui dazi o “ci saranno le lettere”. Lo ha detto Donald Trump con a fianco il ministro del commercio Howard Lutnick.
Lutnick ha precisato che in mancanza di un accordo i dazi entreranno in vigore.
In Texas, il bilancio delle devastanti inondazioni salite il 4 luglio è salito a 80 vittime, tra cui 21 bambini.
È una tragedia che si sta ancora scrivendo nel fango e nelle acque del fiume Guadalupe, che ha rotto gli argini a causa di piogge torrenziali nella zona di Kerr County, a circa 140 km da San Antonio.
Undici ragazze e una loro accompagnatrice risultano ancora disperse dal campo estivo cristiano Camp Mystic, che ospitava circa 700 bambine quando l’ondata d’acqua ha travolto la zona.
Il fiume è salito fino a 9 metri in poche ore. Alcuni bambini sono stati salvati aggrappati agli alberi, oltre 850 le persone tratte in salvo finora.
Il luogo è irriconoscibile: fango fino a due metri d’altezza nei dormitori, materassi spazzati via, muri crollati, finestre distrutte. Le famiglie attendono, i volontari scavano, e la pioggia continua a cadere.
Ma mentre si conta il dolore, crescono anche le accuse.
Donald Trump, è finito nel mirino per i tagli massicci al personale della NOAA, l’agenzia federale che controlla anche il Servizio Meteorologico Nazionale.
Secondo alcuni esperti, questi tagli avrebbero compromesso la capacità di prevedere eventi estremi e lanciare allerte tempestive. Il bollettino di giovedì parlava solo di “rischio moderato”.
L’amministrazione si difende. La segretaria alla Sicurezza Interna Kristi Noem ha ammesso che il sistema di allerta “va migliorato”. Ma il deputato democratico Joaquin Castro ha avvertito: “Senza personale sufficiente, una pioggia può diventare una strage.”
Il governatore del Texas Greg Abbott ha chiesto formalmente lo stato di disastro, per sbloccare gli aiuti federali. Trump, ha assicurato Noem, firmerà la dichiarazione.
E di questo sicuramente parleranno i giornali e i telegiornali, ma la stessa cosa sta accadendo in Pakistan e non lo leggerete in giro.
In Pakistan, le piogge monsoniche torrenziali e le inondazioni improvvise hanno causato almeno 72 morti e 130 feriti dal 26 giugno, secondo quanto riportato dall’Autorità nazionale per la gestione dei disastri (NDMA).
Solo nelle ultime 24 ore sono stati registrati sei nuovi decessi e tre feriti legati al maltempo, che continua a flagellare varie regioni del Paese.
Il bilancio più drammatico arriva dalla provincia nord-occidentale di Khyber Pakhtunkhwa, dove 28 persone, tra cui 12 bambini, hanno perso la vita. Altre 23 sono rimaste ferite.
Le autorità locali hanno lanciato un’allerta per ulteriori piogge nei prossimi giorni, esortando le comunità delle aree più esposte a prendere precauzioni e prepararsi a possibili evacuazioni.
Messico
Un altro omicidio politico scuote il Messico: Ignacio Alejandro Roaro, segretario comunale di Apaseo el Grande, è stato ucciso a sangue freddo durante una partita di basket amatoriale, davanti a famiglie e bambini.
Un uomo armato ha fatto irruzione nel palazzetto e ha aperto il fuoco. È stato poi arrestato, secondo fonti locali.
Siamo nello Stato di Guanajuato, il più violento del Messico, nonostante sia anche un centro industriale e turistico. La zona è contesa da anni tra i cartelli di Santa Rosa de Lima e Jalisco Nueva Generación, quest’ultimo considerato organizzazione terroristica dagli Stati Uniti.
Solo l’anno scorso, oltre 3.000 omicidi sono stati registrati a Guanajuato, il 10% del totale nazionale. Una scia di sangue che non si è fermata: esecuzioni pubbliche, fosse comuni, attacchi a feste di quartiere, bambini uccisi, interi nuclei familiari sterminati. Una cronaca di guerra in tempo reale.
Brasile
Il vertice dei BRICS, il blocco economico delle potenze emergenti, si è aperto il 6 luglio a Rio de Janeiro, in un clima di cauta neutralità e fragilità interna.
L’incontro riunisce Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica e i nuovi membri entrati nel 2023: Indonesia, Iran, Egitto, Etiopia ed Emirati Arabi Uniti.
Ma l’assenza dei grandi protagonisti pesa: Xi Jinping non partecipa per la prima volta dal 2012. Vladimir Putin interviene solo in videoconferenza, ancora limitato dal mandato d’arresto internazionale dopo l’invasione dell’Ucraina. Mancano anche i presidenti di Iran ed Egitto.
Risultato: un’agenda più tecnica che politica, plasmata soprattutto dalla volontà del presidente brasiliano Lula da Silva di non attirare l’attenzione dell’amministrazione Trump, tornata alla Casa Bianca con minacce di dazi al 100% per chi sfida il dollaro USA.
Tra i temi ufficiali: intelligenza artificiale, cambiamento climatico, commercio intra-BRICS e riforma della governance globale.
Lula ha parlato di “collasso senza precedenti del multilateralismo” e ha chiesto ai BRICS di guidare una nuova era multipolare.
i leader delle potenze emergenti hanno condannato gli attacchi a Gaza e all’Iran, chiesto riforme urgenti delle istituzioni globali e lanciato un chiaro messaggio: il multipolarismo è la loro risposta a un mondo sempre più polarizzato e dominato da guerre e nazionalismi economici.
Ma il vertice resta segnato da ambiguità e divergenze interne.
Secondo fonti diplomatiche, alcuni membri volevano una condanna più netta dell’attacco israeliano all’Iran e della crisi umanitaria a Gaza. Ma Brasile e India spingono per una linea non allineata e moderata.
Il risultato atteso: dichiarazioni finali annacquate, senza riferimenti diretti ai conflitti in corso o alla guerra in Ucraina.
Con 10 nuovi “partner strategici” e una crescita accelerata, il blocco fatica a definirsi.
L’espansione ha portato disomogeneità più che forza coesiva. E il rischio, sottolineano analisti come João Alfredo Nyegray, è che i BRICS perdano l’occasione di mostrarsi come un’alternativa credibile all’instabilità dell’Occidente.
India
Tra tamburi, cembali e pioggia monsonica, il Dalai Lama ha celebrato i suoi 90 anni nella cittadina himalayana di Dharamshala, in India, dove vive in esilio dal 1959 dopo essere fuggito dalla repressione cinese in Tibet.
Migliaia di fedeli e personalità da tutto il mondo si sono uniti ai festeggiamenti, tra cui attori di Hollywood, politici, monaci e suore tibetane.
Tra loro anche Richard Gere, devoto di lunga data, che ha definito il Dalai Lama “l’uomo più straordinario ad aver camminato su questo pianeta”.
Nel suo discorso, il 14° Dalai Lama, nato Tenzin Gyatso, si è definito “un semplice monaco buddhista”, ma ha rinnovato il suo impegno per la compassione, l’armonia religiosa e la promozione della saggezza antica indiana e della cultura tibetana.
Ma dietro le celebrazioni si cela una tempesta geopolitica.
La questione della successione è al centro di un braccio di ferro tra la comunità tibetana in esilio e la Cina. Il Dalai Lama ha dichiarato che solo il suo ufficio ha l’autorità di riconoscere la futura reincarnazione, e ha aggiunto che il suo successore nascerà in un Paese libero.
Parole che hanno fatto infuriare Pechino, che rivendica il diritto di scegliere il prossimo leader spirituale, nel tentativo di consolidare il controllo sul Tibet.
Anche l’India è finita nel mirino cinese: il premier Narendra Modi ha inviato un messaggio di auguri definendo il Dalai Lama “simbolo di amore e pazienza”, mentre il ministro Kiren Rijiju ha partecipato alle celebrazioni definendolo “l’ospite più onorato dell’India”.
La Cina ha subito protestato, minacciando conseguenze diplomatiche.
Messaggi di sostegno sono arrivati da tutto il mondo: Marco Rubio, segretario di Stato USA, ha riaffermato il diritto dei tibetani a scegliere i propri leader spirituali senza interferenze.
Taiwan, con il presidente Lai Ching Te, ha elogiato il Dalai Lama per il suo impegno per la libertà. E anche Clinton, Bush e Obama hanno inviato video-messaggi, sottolineando il suo ruolo nel difendere la pace e la dignità umana in tempi di divisione.
Cina
La Cina ha annunciato nuove restrizioni sull’importazione di dispositivi medici provenienti dall’Unione Europea, in risposta diretta alle misure adottate da Bruxelles lo scorso mese. A comunicarlo è stata l’agenzia statale Xinhua, citando il Ministero delle Finanze di Pechino.
Secondo le nuove regole, nei progetti di appalti pubblici cinesi, i dispositivi medici importati dall’UE non potranno superare il 50% del valore del contratto. Le misure, che entreranno in vigore dal 6 luglio, non si applicheranno però ai contratti già assegnati prima di quella data.
Il blocco arriva dopo che l’UE aveva vietato la partecipazione di aziende cinesi ai propri bandi pubblici nel settore medico, suscitando la reazione immediata di Pechino.
Ma non è finita qui: venerdì scorso, la Cina ha anche imposto dazi anti-dumping e limiti di prezzo ai brandy europei, per un periodo di cinque anni.
Il Ministero delle Finanze cinese ha dichiarato di aver cercato una soluzione diplomatica con Bruxelles, ma che l’UE avrebbe continuato su una strada “protezionista”, imponendo nuove barriere commerciali.
“La Cina è stata costretta a reagire – ha dichiarato Pechino – per difendere i diritti legittimi delle proprie imprese e garantire condizioni di concorrenza equa”.
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