2 luglio 2025 – Notiziario Mondo

Scritto da in data Luglio 2, 2025

  • Gaza: 170 Ong chiedono la fine del piano USA per la distribuzione di cibo, mentre Trump sostiene che Israele ha accettato un cessate il fuoco di due mesi.
  • Venezuela: detenzioni arbitrarie, torture e desaparecidos nel nuovo rapporto ONU.
  • India: esplosione in azienda farmaceutica, è strage.
  • Algeria condanna a 7 anni giornalista sportivo francese.
  • Nigeria: salvati 76 ghanesi vittime di una rete di truffe e traffico di esseri umani

Introduzione al notiziario: L’economia del genocidio
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli

Israele e Palestina

Il nuovo rapporto presentato al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite dalla relatrice speciale Francesca Albanese è un atto d’accusa senza precedenti. Titolo: Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio.

Secondo il documento, Israele ha trasformato l’occupazione della Palestina in un sistema economico sostenuto da distruzione sistematica, assedio e impunità. Albanese denuncia l’uso deliberato della fame come arma, la demolizione delle infrastrutture civili, l’uccisione mirata di personale medico e umanitario.

Un modello che non solo devasta vite, ma genera anche profitti: per l’industria militare, le aziende fornitrici di sorveglianza, i paesi esportatori di armi. Complicità che, si legge, «coinvolge governi, istituzioni e imprese, soprattutto occidentali».

Il rapporto chiede misure immediate: embargo sulle armi, sanzioni mirate, sospensione degli accordi con Israele. E sottolinea che la qualificazione giuridica di genocidio non è più in discussione, alla luce delle indicazioni già fornite dalla Corte Internazionale di Giustizia.

■ OSTAGGI/CESSATE IL FUOCO: Donald Trump ha dichiarato che Israele ha accettato le condizioni per un cessate il fuoco di 60 giorni a Gaza. Trump ha invitato Hamas ad accettare l’accordo, avvertendo: “Non ci sarà un’offerta migliore. Solo peggiore.”

Il piano, secondo Trump, sarà consegnato a Hamas da Qatar ed Egitto.

L’annuncio arriva a ridosso della visita del premier israeliano Benjamin Netanyahu alla Casa Bianca prevista per martedì, in un momento in cui gli Stati Uniti cercano di chiudere il capitolo Gaza e negoziare un pacchetto più ampio su ostaggi e aiuti umanitari.

Ma intanto Gaza muore. Israele continua a colpire. A Khan Younis, nel sud, almeno 37 persone sono state uccise dai raid, tra cui bambini e famiglie in tende.

Sul fronte diplomatico, il ministro israeliano Ron Dermer ha incontrato a Washington il vicepresidente JD Vance, il segretario di Stato Marco Rubio e l’inviato speciale Steve Witkoff per discutere non solo di tregua, ma anche di Iran.

■ GAZA: Gli attacchi israeliani hanno ucciso 112 palestinesi e ne hanno feriti 463 nelle ultime 24 ore, ha riferito il Ministero della Salute guidato da Hamas.

Secondo il ministero, 56.647 palestinesi sono stati uccisi a Gaza dall’inizio della guerra, il 7 ottobre 2023.

Oltre 170 organizzazioni umanitarie internazionali — tra cui Oxfam, Medici Senza Frontiere, Save the Children, Amnesty e il Norwegian Refugee Council — hanno chiesto lo smantellamento immediato del Gaza Humanitarian Foundation, il piano di distribuzione alimentare sostenuto da Stati Uniti e Israele.

Secondo le autorità mediche locali, più di 500 civili sono stati uccisi nei pressi di centri o convogli di aiuti protetti dalle forze israeliane da quando il programma è partito, alla fine di maggio.

Le ONG denunciano che il piano GHF, gestito da aziende private statunitensi di sicurezza e logistica, bypassa il sistema dell’ONU, minando la neutralità umanitaria e mettendo i civili di fronte a un dilemma atroce: “Morire di fame o rischiare di essere uccisi mentre si cerca di raggiungere il cibo.”

L’ONU ha già definito il piano “intralcio all’accesso umanitario sicuro” e “non conforme al diritto internazionale”.

Medici Senza Frontiere ha riferito che, solo nell’ultimo mese, due suoi centri hanno ricevuto 22 morti e 548 feriti, molti con colpi al petto e all’addome. “Non sono colpi di avvertimento,” ha detto il coordinatore d’emergenza Aitor Zabalgogeazkoa. “Sono colpi sparati per uccidere.”

Secondo Save the Children, oltre la metà degli incidenti mortali avviene in presenza di bambini. “Alcuni ci dicono che vogliono morire per raggiungere in paradiso i genitori uccisi. Perché lì ci sono acqua e cibo,” ha raccontato Rachel Cummings.

Ci vuole coraggio a chiamarlo “piano umanitario” è ormai una beffa tragica. Se per avere un sacco di farina un bambino deve rischiare di morire, non è più assistenza: è selezione.

E in questa selezione, chi sopravvive — e chi no — non dipende più dal bisogno, ma dalla mira di un soldato.

■ CISGIORDANIA: Due giovani sono stati uccisi nella notte tra martedì e mercoledì dal fuoco delle IDF a Hebron e Ramallah, ha riferito il Ministero della Salute palestinese. Amjad Khoshya, 16 anni, è stato colpito durante un’attività delle IDF nel centro di Ramallah ed è stato portato in ospedale, dove è stato successivamente dichiarato morto.

Samer al-Zaarna, 24 anni, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco nei pressi del muro di separazione, nel sud di Hebron.

A seguito dei recenti episodi di violenza dei coloni contro le forze dell’IDF, il ministro della Difesa Israel Katz ha affermato che ” verrà istituito un organismo congiunto , guidato dalla polizia e in collaborazione con l’IDF e lo Shin Bet, per coordinare la gestione della questione”.

Iran

L’Iran ha approvato una nuova legge che inasprisce drasticamente le pene per il reato di spionaggio e per la collaborazione con Israele o altri “Stati ostili”. Un provvedimento che, secondo attivisti e analisti, rischia di trasformarsi in un’arma per reprimere ogni forma di dissenso.

Il testo, approvato dal parlamento meno di una settimana dopo l’inizio del conflitto con Israele, rende molto più facile accusare i cittadini di spionaggio.

Basterà, per esempio, inviare una foto a un media straniero, oppure commentare questioni di sicurezza sui social: azioni che potrebbero ora essere considerate “corruzione sulla Terra” — un reato che in Iran può comportare la pena di morte.

Secondo Amnesty International, almeno sei persone sono già state giustiziate in meno di due settimane con accuse di spionaggio o collaborazione con Israele.

Le esecuzioni sono avvenute dopo processi a porte chiuse, spesso senza assistenza legale.

Oltre 700 persone sarebbero state arrestate in pochi giorni, tra cui attivisti, artisti, giornalisti e persino semplici cittadini fermati per “movimenti sospetti” o per aver seguito pagine considerate vicine a Israele sui social.

L’ONU ha espresso seria preoccupazione. Il Relatore Speciale per l’Iran ha denunciato una spirale di repressione alimentata dal timore dell’infiltrazione ma usata, di fatto, per controllare la società e silenziare il dissenso.

Turchia

A Istanbul, almeno 10.000 persone si sono radunate davanti al municipio per chiedere la liberazione di Ekrem Imamoglu, sindaco popolare della città e figura chiave dell’opposizione, detenuto da 100 giorni in quella che molti definiscono una farsa giudiziaria a sfondo politico.

Poche ore prima, la polizia aveva arrestato oltre 120 persone a Smirne, storica roccaforte del CHP, terza città turca e simbolo della resistenza a Recep Tayyip Erdogan.

Un copione già visto: inchieste per corruzione, retate all’alba, e la criminalizzazione sistematica dell’opposizione. Come a marzo, quando lo stesso Imamoglu fu arrestato insieme a centinaia di collaboratori.

Sul palco di Istanbul, il leader del CHP Özgur Özel ha parlato chiaro: “Questa è una lotta contro il fascismo. Ekrem Imamoglu sarà presidente.”

Un attacco frontale a Erdogan, accusato di voler cancellare Imamoglu non solo dalla scena politica, ma persino dai cartelloni pubblicitari.

Le manifestazioni di marzo si erano rapidamente trasformate in proteste nazionali, le più gravi da oltre un decennio, con quasi 2.000 arresti tra studenti, attivisti e giornalisti.

Nigeria

Settantasei cittadini ghanesi sono stati liberati in Nigeria dopo essere finiti vittime di un vasto schema di truffa legato al reclutamento lavorativo.

Lo ha annunciato la polizia del Ghana, precisando che si trattava per lo più di uomini attirati con promesse di contratti con squadre di calcio estere, impieghi all’estero o assistenza per ottenere visti.

Una volta arrivati in Nigeria, i loro documenti e telefoni venivano sequestrati. Erano poi costretti a vivere in stanze sovraffollate, in condizioni precarie, e a chiamare le famiglie per farsi inviare soldi — l’equivalente di oltre 700 sterline — per presunti corsi di formazione o “spese di facilitazione”.

Le loro rubriche telefoniche venivano utilizzate per truffare amici e parenti.

Sette cittadini ghanesi sono stati arrestati, accusati di essere coinvolti nella rete di traffico.

Secondo Lydia Yaako Donkor, responsabile del CID, le vittime venivano spesso convinte a viaggiare via terra in paesi che non conoscevano, per poi essere confinate in veri e propri “campi di trattenimento”, dove dividevano piccole stanze con fino a 40 persone.

Alcune di loro sarebbero state costrette a truffare a loro volta amici e familiari. “I danni psicologici ed economici sono devastanti”, ha detto Donkor, “alcuni sono talmente provati da non riuscire più a riprendere una vita normale”.

Algeria

Christophe Gleizes, giornalista francese specializzato in calcio africano, è stato condannato in Algeria a sette anni di carcere per “sostegno al terrorismo”.

Ha 36 anni, e da oltre un anno era bloccato nel paese, dopo essere stato arrestato nel maggio 2024 mentre lavorava a un reportage sul club JSK – la storica squadra della regione berbera della Cabilia.

Secondo il tribunale, Gleizes avrebbe avuto contatti con un esponente del Movimento per l’Autodeterminazione della Cabilia, il MAK, dichiarato gruppo terroristico da Algeri nel 2021.

Ma secondo Reporters Sans Frontières, i contatti — tre in tutto — erano legati esclusivamente alla storia del club e risalivano a prima del divieto. Non parlavano di politica. Solo di calcio.

Per oltre un anno la sua famiglia, colleghi e diplomatici francesi hanno mantenuto il silenzio, nella speranza di una soluzione diplomatica.

Ma dopo la sentenza, i sindacati dei giornalisti di oltre 40 media francesi hanno rotto gli indugi: “La prigione per un giornalista che fa il suo lavoro è una linea rossa che non va mai superata”, si legge in un appello pubblico.

Il ministero degli Esteri francese ha definito “eccessiva” la condanna, ma si è fermato prima di chiedere la liberazione.

Christophe Gleizes non è un militante, non è un dissidente. È un giornalista che si è innamorato dell’Africa attraverso il calcio.

La sua colpa? Aver parlato con la persona sbagliata nel paese sbagliato. Ma la domanda vera è: quanto è fragile uno Stato se ha paura persino di un taccuino?

Caldo ed Europa

Nel caso non ve ne foste accorti, un’ondata di calore senza precedenti sta colpendo gran parte d’Europa. A Parigi, dove le temperature hanno sfiorato i 38,3 gradi, la Tour Eiffel ha annunciato la chiusura anticipata alle 16.

Ultimo ingresso per i visitatori: le 14:30. Sul sito ufficiale del monumento si consiglia ai turisti senza biglietto di rimandare la visita a dopo giovedì.

Il caldo estremo ha travolto anche Spagna, Portogallo e Regno Unito. A El Granado, nel sud della Spagna, è stato raggiunto il picco record di 46 gradi, il più alto mai registrato nel paese.

A Londra, è stato il giorno di apertura di Wimbledon più caldo della storia: 34 gradi.

In Scozia, invece, si continua a combattere gli incendi nel parco dei Cairngorms, alimentati dalle temperature anomale e dal terreno secco.

Le autorità raccomandano di evitare le attività fisiche nelle ore centrali della giornata, idratarsi costantemente e cercare riparo dal sole. “Tutti sono a rischio”, ha dichiarato Clare Nullis dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale.

Il caldo estremo non è più un’eccezione: è la nuova normalità, avverte il Segretario Generale dell’ONU António Guterres.

E l’Europa lo sta imparando a proprie spese. Serve adattamento, ma soprattutto azione: climatica, politica, collettiva. Perché nessun paese è al sicuro.

Russia e Ucraina

Il Pentagono ha sospeso alcune forniture di missili di difesa aerea e munizioni di precisione all’Ucraina, preoccupato dalle scorte interne ormai troppo basse.

Una decisione che arriva in un momento critico: Kyiv fatica a respingere gli attacchi russi, e la mancanza di intercettori rischia di lasciare il paese ancora più esposto.

Un portavoce del Dipartimento della Difesa ha dichiarato che si stanno studiando opzioni per continuare il supporto, in linea con l’obiettivo (ancora proclamato) di porre fine alla guerra.

Ma la realtà, sempre più, è che l’Ucraina sembra scivolare in fondo all’agenda.

Intanto, dopo due anni di silenzio, Vladimir Putin e Emmanuel Macron hanno avuto una lunga telefonata – due ore – in cui hanno discusso di Ucraina e Medio Oriente.

Il presidente francese ha chiesto un cessate il fuoco e l’apertura di negoziati. Ma il Cremlino parla solo di un “colloquio sostanziale”.

La Russia afferma di aver preso il controllo totale della regione di Luhansk, per la prima volta dall’inizio dell’invasione nel 2022. Secondo Mosca, sarebbero ormai sotto il suo controllo anche circa il 70% delle regioni di Donetsk, Kherson e Zaporizhzhya.

L’offensiva, descritta come una delle più massicce degli ultimi mesi, ha visto l’uso intensivo di droni: secondo il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, sono stati oltre 1.000 quelli lanciati dalla Russia solo in questa nuova fase dell’attacco.

Sul campo, si segnalano combattimenti pesanti e bombardamenti continui lungo la linea del fronte orientale, mentre le forze ucraine cercano di contenere l’avanzata.

L’obiettivo russo non sembra più solo la pressione militare, ma l’occupazione definitiva di intere regioni. E mentre i riflettori mediatici si spostano altrove, la guerra in Ucraina continua a riscrivere le mappe — una città alla volta, una trincea alla volta.

Stati Uniti

Nuovo capitolo nella guerra personale tra Donald Trump ed Elon Musk. Il presidente americano ha dichiarato che potrebbe “valutare la possibilità” di espellere Musk dagli Stati Uniti, alimentando uno scontro ormai pubblico e feroce.

Il tutto nasce da un attacco frontale di Trump sui sussidi pubblici ricevuti dalle aziende del miliardario.

Su Truth Social, Trump ha accusato Musk di aver costruito il suo impero – da Tesla a SpaceX – grazie a “più sovvenzioni di chiunque altro nella storia”, e ha suggerito che senza quei fondi federali, Musk dovrebbe “chiudere e tornare in Sudafrica”.

Il riferimento più controverso? Il “DOGE” – l’Ufficio per l’Efficienza Governativa che Musk stesso aveva guidato sotto l’amministrazione Trump – che secondo il presidente dovrebbe ora “dare un’occhiata seria” alla sua situazione. “BIG MONEY TO BE SAVED!!!”, ha scritto Trump in maiuscolo.

Musk ha risposto su X dicendo: “Tagliate tutto. Ora.” E ha attaccato duramente la legge fiscale da 4.000 miliardi approvata da Trump, definendola “un’aberrazione disgustosa” e accusando entrambi i partiti di aver tradito il Paese.

Ha anche minacciato di fondare un nuovo partito: l’America Party, parlando di un sistema politico ridotto a “Porky Pig Party” – un partito unico affamato di soldi pubblici.

A rincarare la dose ci ha pensato Steve Bannon, ex stratega di Trump, che ha chiesto un’indagine sulla cittadinanza di Musk, insinuando che abbia mentito sulla sua immigrazione. Accuse rilanciate anche da alcuni esponenti del Congresso.

Musk, naturalizzato cittadino USA nel 2002, ha negato ogni irregolarità.

È una resa dei conti tra due narcisismi in cerca di potere. Ma sotto la superficie resta una questione molto concreta: chi controlla davvero il rapporto tra tecnologia, Stato e consenso? E chi paga il prezzo di questi duelli tra giganti?

Jimmy Swaggart, uno dei volti più noti del televangelismo negli Stati Uniti, è morto all’età di 90 anni. Lo ha annunciato la sua chiesa, ricordandolo come “un uomo che per oltre sette decenni ha predicato il Vangelo e guidato milioni di fedeli nel nome di Cristo”.

Swaggart era andato in arresto cardiaco il 15 giugno nella sua casa di Baton Rouge, in Louisiana, ed era stato ricoverato in condizioni critiche.

La sua carriera cominciò negli anni ’60 alla radio, ma fu con la televisione che costruì un vero impero mediatico, diffondendo sermoni e musica gospel in tutto il mondo. Il suo ministero arrivò a incassare milioni di dollari.

Ma la sua ascesa si interruppe bruscamente negli anni ’80, quando fu travolto da uno scandalo sessuale che coinvolgeva prostitute. Il crollo della sua credibilità portò a un rapido declino del suo impero.

Swaggart fu simbolo di un’epoca in cui fede e televisione si fusero nel culto del carisma, ma anche della caduta pubblica di chi predica rigore e vive nel peccato.

La sua eredità è un mix di fervore religioso, spettacolo e ipocrisia americana.

Zohran Mamdani, giovane deputato socialista di origini ugandesi e indiane, ha vinto le primarie Democratiche per la carica di sindaco di New York, superando l’ex governatore Andrew Cuomo con il 56% dei voti.

La notizia è stata confermata dall’Associated Press dopo il conteggio finale del voto a scelta multipla.

Un risultato che ribalta le previsioni e cambia i giochi nella metropoli americana.

Mamdani, 33 anni, ha conquistato l’elettorato grazie a una campagna energica, popolare e profondamente radicata nei movimenti progressisti, sostenuta da sindacati, volontari e organizzazioni della sinistra.

Cuomo, al contrario, ha pagato una campagna definita “spenta e distante”, e la percezione di essere ormai fuori dal tempo.

Il sistema di voto ha premiato la strategia del fronte progressista, che questa volta ha evitato la dispersione del 2021 e si è coagulato attorno a Mamdani, spingendolo oltre il 50% anche dopo il conteggio dei voti redistribuiti.

Ora Mamdani affronterà una corsa a quattro alle elezioni di novembre: contro di lui ci sarà Eric Adams, sindaco uscente e ora candidato indipendente dopo il ritiro dal Partito Democratico, Curtis Sliwa per i Repubblicani e l’indipendente Jim Walden.

Ma la sfida sarà tutt’altro che semplice. Mamdani è già sotto attacco per le sue posizioni sulla Palestina e la guerra a Gaza.

Le sue dichiarazioni — tra cui il rifiuto di condannare lo slogan “globalizzare l’intifada” — hanno suscitato critiche da parte di leader ebraici e politici centristi. Al contempo, è stato bersaglio di una campagna islamofoba da parte di esponenti della destra.

La vittoria di Mamdani racconta un desiderio di cambiamento radicale nella città più grande d’America. Ma racconta anche i limiti del consenso progressista quando si toccano temi globali come Israele e Palestina.

Il suo successo sarà una prova: quanto può davvero un movimento popolare resistere agli attacchi coordinati del potere economico, dei media e delle macchine politiche? E quanto potrà, davvero, cambiare New York?

Venezuela

Il nuovo rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani denuncia un peggioramento allarmante della situazione in Venezuela.

Secondo Volker Türk, l’alto commissario, nel 2024 il paese ha visto un’impennata di detenzioni arbitrarie, torture, sparizioni forzate e maltrattamenti — in particolare durante le ultime tornate elettorali.

Tra gli episodi più gravi, l’arresto di quasi 70 persone prima delle elezioni parlamentari del 24 maggio, tra cui oppositori politici, attivisti e 17 cittadini stranieri.

 Accusati di far parte di un gruppo terroristico, sarebbero stati detenuti in condizioni inumane, senza accesso adeguato a cibo, acqua o cure mediche. Alcuni sono finiti in isolamento dopo aver denunciato gli abusi.

Dopo le elezioni presidenziali di luglio, almeno 28 persone sono scomparse nel nulla — tra loro, 12 stranieri a cui è stato negato anche l’accesso consolare.

Il rapporto documenta inoltre 32 casi di tortura, di cui 15 su minori. L’ONU chiede il rilascio immediato e incondizionato di tutti i prigionieri politici, compresi nomi noti come Rocío San Miguel, giurista e attivista per i diritti umani, e Eduardo Torres, ingegnere legato alla campagna dell’opposizione democratica.

San Miguel, arrestata a febbraio, è accusata di tradimento e terrorismo. Tenuta in isolamento, sarebbe stata privata del diritto a difendersi. Torres, consulente elettorale per l’opposizione, è stato arrestato a maggio con accuse simili. Entrambi restano in carcere.

La repressione si accompagna al collasso dei servizi pubblici. Solo metà degli studenti frequenta regolarmente la scuola, gli ospedali chiedono ai pazienti di portarsi da casa i materiali per le operazioni, e il salario minimo mensile — meno di un dollaro — non basta nemmeno per comprare una scatola di uova.

Dopo aver espulso l’ufficio ONU per i diritti umani, il governo Maduro prova a silenziare anche chi resta.

Ma i documenti, le testimonianze e i corpi parlano ancora. E in un paese dove anche dire la verità può costarti la libertà, il dovere di raccontare — da fuori — è ancora più urgente.

India

Tragedia industriale in India. Un’esplosione devastante ha raso al suolo un edificio di quattro piani in uno stabilimento farmaceutico a Pashamylaram, vicino Hyderabad, nello stato del Telangana.

Il bilancio è gravissimo: almeno 36 morti e decine di feriti. Ma molti lavoratori risultano ancora dispersi e il numero delle vittime è destinato a salire.

Sul posto c’erano oltre 140 persone al momento della deflagrazione, avvenuta stamattina alle 9. I

 corpi, riferisce il ministro della Salute locale, sono irriconoscibili: serviranno test del DNA. Le immagini mostrano cumuli di macerie alti come palazzi.

La fabbrica appartiene alla Sigachi Industries, uno dei principali produttori indiani. Il governo del Telangana ha promesso un risarcimento di circa 117mila dollari alle famiglie delle vittime.

A queste si aggiungono i 2300 dollari annunciati da Narendra Modi, che ha espresso il proprio cordoglio su X.

L’India è il terzo produttore mondiale di farmaci e vaccini, ma dietro l’efficienza di mercato si nasconde un mondo di lavoro precario, controlli scarsi e sicurezza assente.

La lista delle tragedie industriali è lunga: Mumbai, Andhra Pradesh, Chhattisgarh… e adesso Telangana. Ogni volta si piangono i morti. Ma nessuno cambia davvero le regole del gioco.

La memoria della strage di Bhopal nel 1984 — la peggiore catastrofe industriale della storia — non è bastata. In India si continua a morire sul lavoro.

Thailandia

La Corte Costituzionale thailandese ha sospeso la prima ministra Paetongtarn Shinawatra, in attesa di un’indagine per presunta violazione dell’etica.

Al centro dell’accusa, una telefonata trapelata con Hun Sen, presidente del Senato cambogiano, in cui la premier viene ritenuta “troppo accondiscendente” nel tentativo di smorzare le tensioni dopo un confronto armato al confine, in cui è morto un soldato cambogiano.

La corte ha votato 7 a 2 per la sospensione immediata. Paetongtarn ha 15 giorni per difendersi. A prendere le redini del governo ad interim è il vicepremier Suriya Jungrungruangkit.

Ma la questione va oltre la telefonata. Paetongtarn è il terzo esponente della dinastia Shinawatra a essere sospeso o rimosso: prima di lei, suo padre Thaksin fu deposto da un colpo di stato nel 2006 e sua zia Yingluck da una sentenza nel 2014.

Tutti accusati di “aver sfidato” l’establishment conservatore, sempre più allergico a governi popolari e indipendenti.

Nel frattempo, la Thailandia affronta rallentamento economico, proteste di piazza e un crescente malcontento verso il partito Pheu Thai, ora accusato di aver barattato la democrazia per riportare Thaksin dall’esilio.

Quando si parla di deferenza eccessiva, non può non venirvi in mente il ministro Tajani e la sua boutade sulla bandiera europea fatta dalle tribù di Israele e l’azzurro del velo di Maria. In Italia la deferenza eccessiva, non se la fila nessuno.

Australia

Un orrore che scuote l’Australia. Le autorità sanitarie dello stato di Victoria hanno chiesto test sanitari per 1.200 bambini potenzialmente esposti a malattie infettive, dopo che un educatore di 26 anni è stato incriminato per oltre 70 reati sessuali.

Le vittime accertate finora sono otto, di età compresa tra i cinque mesi e i due anni.

L’uomo ha lavorato tra il 2017 e il 2025 in 20 diversi asili nido di Melbourne, lasciando dietro di sé una scia di sospetti, dolore e silenzi spezzati.

Il responsabile sanitario Christian McGrath ha spiegato che i test sono precauzionali, per verificare l’eventuale esposizione a malattie trattabili con antibiotici.

Ma la ferita è aperta. La premier del Victoria, Jacinta Allan, ha parlato di “crimini disgustosi”, aggiungendo: “È il peggior incubo di ogni genitore”.

Venti asili, otto anni, centinaia di bambini. Nessuno ha visto? Nessuno ha parlato? In fondo, l’unica malattia da cui quei bambini dovevano essere protetti era l’indifferenza degli adulti.

Ti potrebbe interessare anche:

E se credi in un giornalismo indipendente, serio e che racconta il mondo recandosi sul posto, puoi darci una mano cliccando su Sostienici


Opinioni dei Lettori

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.I campi con * sono obbligatori



[There are no radio stations in the database]