Gaza, GSF: Miglia che pesano
Scritto da Barbara Schiavulli in data Settembre 23, 2025
Miglia che pesano. Cinque giorni di navigazione, 380 miglia sulle 1100 che ci separano da Gaza. Un numero secco, che dovrebbe bastare a dire la fatica, la lentezza, la distanza.
Ma le miglia in mare non sono tutte uguali: alcune scorrono lisce come seta sotto la chiglia, altre si arrampicano su onde e pensieri più pesanti.
Una compagna evacuata
Ieri sera abbiamo perso un pezzo di equipaggio: una delle nostre compagne si è sentita male ed è stata evacuata sulla nave di Emergency che ci segue. La sua malattia è stata un avvertimento: questo viaggio non è la vacanza che molti pensano, qui i corpi hanno la loro fragilità e la loro resistenza, proprio come le idee.
Il lupo e la favola al contrario
Intanto Israele si ricorda di noi. Non come segno di attenzione, ma come chi ti punta il dito per dire: “Siete terroristi”. Hamas, Hamas, Hamas: la parola magica per delegittimare chiunque osi opporsi. E poi la proposta: portate tutto ad Ashkelon, fidatevi di noi, noi ce ne occuperemo. Sembra quasi la scena di una favola al contrario: il lupo che offre a Cappuccetto Rosso di consegnargli il cestino così ci pensa lui a portarlo alla nonna.
La risposta di Thiago Ávila
Thiago Ávila, dalla sua barca Familia, ha risposto che no, non funziona così. Che il blocco è illegale e che nessun aiuto può passare attraverso il carnefice. Che l’unico porto sicuro è quello di Gaza, perché è lì che batte il cuore del nostro viaggio.
Che improvvisamente tutto il clamore provocato faccia temere agli israeliani di perdere il consenso dei poteri che lo circondano?
“La recente richiesta del Ministero degli Esteri israeliano alle navi della flottiglia di “attraccare e trasferire” gli aiuti umanitari attraverso il porto di Ashkelon, in Israele, non può essere interpretata come una neutra esigenza logistica – si legge in una nota della Flotilla – Si inserisce in un modello di lunga data: la deliberata ostruzione da parte di Israele degli aiuti destinati a Gaza e i suoi tentativi di delegittimare chi contesta il suo blocco illegale. Il passato di Israele —intercettazione di imbarcazioni, blocco dei convogli e restrizioni alle rotte— dimostra che l’obiettivo non è facilitare i soccorsi, bensì controllarli, ritardarli e negarli.
La retorica di Israele contro la Global Sumud Flotilla prepara il terreno a ulteriori escalation.
Dipingere una missione umanitaria pacifica come una “violazione della legge” è un pretesto per la violenza contro civili che agiscono legittimamente per consegnare aiuti”, continua la nota.
Un altro pezzo che cade intorno allo stato ebraico, é la Francia che oggi ha riconosciuto la Palestina.
Le piazze e i palazzi italiane
Nel frattempo, mentre navighiamo e discutiamo con la geografia e la politica, arrivano immagini da un’altra tempesta: le piazze italiane ieri.
Imponenti, colorate, arrabbiate. Migliaia di persone che hanno deciso che non si può restare in silenzio.
Certo, la premier Meloni all’ONU non parlerà di questo. Parlerà di stabilità, di sicurezza, di equilibri globali.
E forse, a distanza, sentirà l’eco delle strade di casa che chiedono giustizia. Il mare, almeno, amplifica le voci. I palazzi spesso le soffocano.
Rotta testarda
Così il quinto giorno si chiude sospeso tra l’odore di salsedine e l’odore acre della politica. Tra i nostri corpi che resistono, una compagna che lasciamo alle cure, e la certezza che se non sei tu a decidere la rotta, qualcun altro lo farà al posto tuo.
E noi, caparbi, la rotta non possiamo lasciarla, per i palestinesi e le nostre coscienze.
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