17 novembre 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Raffaella Quadri in data Novembre 17, 2025
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- Gaza: spinta per votare il piano di ricostruzione mentre i palestinesi fanno i conti con il maltempo
- Ucraina: Zelensky annuncia il riassetto delle aziende energetiche statali
- Perù: la “Generazione Z” manifesta contro criminalità e instabilità politica
- Venezuela: escalation di tensione con gli Stati Uniti
- Cile: elezioni presidenziali e legislative in corso di scrutinio; il successore di Boric si deciderà al ballottaggio
- Regno Unito: il Parlamento discute la stretta sulla politica di asilo
- Etiopia: confermato un focolaio del virus Marburg
Questo – e non solo – nel notiziario di Radio Bullets, a cura di Raffaella Quadri
Gaza
Le condizioni sempre più precarie della popolazione palestinese a Gaza preoccupano l’ONU.
Nelle ultime ore, la Striscia di Gaza è stata colpita da forti piogge che hanno allagato le migliaia di tende in cui vivono gli sfollati.
Molte famiglie palestinesi si sono ritrovate con vestiti, cibo e beni completamente bagnati.
L’ONU ha denunciato proprio come una parte consistente della popolazione sia ormai completamente esposta al maltempo.
L’Ocha, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, che da settimane prepara interventi per l’arrivo delle piogge, ha distribuito nuove tende, teloni, coperte e indumenti invernali agli sfollati, nel tentativo di tamponare l’emergenza.
Piani di ricostruzione
Intanto, continuano a emergere dettagli sul piano statunitense per il futuro della Striscia.
Secondo The Guardian, gli Stati Uniti immaginerebbero una divisione tra una zona “verde”, controllata da Israele e da una missione internazionale, dove verrebbe avviata la ricostruzione, e una zona “rossa”, destinata invece a rimanere in condizioni di grave distruzione.
Washington, insieme a diversi Paesi arabi, sta spingendo per una votazione rapida della propria risoluzione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
La Russia però ha presentato una bozza alternativa di risoluzione su Gaza, in contrapposizione proprio a quella americana.
Il testo non prevede la smilitarizzazione della Striscia e chiede il ritiro israeliano oltre la Linea Gialla.
Esclude, inoltre, il “Board of Peace” (Consiglio per la Pace) previsto dal piano Trump e che dovrebbe gestire i finanziamenti dei progetti di ricostruzione.
Mosca invece propone che il Segretario generale dell’ONU valuti la possibilità di una forza internazionale.
Una posizione, quella russa, che rende più complesso trovare un consenso all’interno del Consiglio delle Nazioni Unite.
Cisgiordania
In Cisgiordania, il primo ministro Netanyahu ha affermato che gli attacchi dei coloni contro i palestinesi e i soldati israeliani dell’IDF saranno perseguiti con fermezza.
Secondo quanto riferisce il quotidiano israeliano Haaretz, li avrebbe definiti azioni di una minoranza che non rappresenta l’insieme dei residenti degli insediamenti.
Nelle stesse ore, secondo fonti palestinesi, alcuni coloni avrebbero danneggiato alcune auto nella città di Sinjil.
A Nablus, un diciannovenne è stato ucciso durante un’operazione dell’IDF: l’esercito israeliano sostiene che il giovane avesse lanciato un ordigno contro i soldati.
Sempre nel fine settimana, tredici israeliani sono stati arrestati alla Tomba dei Patriarchi, a Hebron, con accuse che vanno dall’aggressione alla violazione di proprietà privata.
Netanyahu ha ribadito però anche la sua strenua opposizione alla creazione di uno Stato palestinese, nonostante la bozza americana ne preveda un percorso graduale.
Diversi ministri del governo hanno preso posizione pubblicamente, dichiarando che Israele non accetterà l’idea di uno Stato palestinese e chiedendo una risposta chiara alla comunità internazionale.
Arabia Saudita
Sul fronte diplomatico, fonti palestinesi riferiscono che l’Arabia Saudita non intende procedere verso la normalizzazione con Israele finché resterà in carica l’attuale governo.
L’esecutivo di Netanyahu è ritenuto non adatto a portare avanti iniziative politiche significative.
Per Riad la normalizzazione con Israele non può prescindere da una proposta credibile verso la creazione di uno Stato palestinese.
Israele
Il governo di Israele ha annunciato anche l’avvio di un’indagine sulle mancanze nella risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, riporta sempre Haaretz.
Non si tratterà però di una commissione d’inchiesta statale.
Una scelta, quest’ultima, criticata dalle opposizioni, che chiedono un organismo indipendente.
Sul fronte internazionale, Netanyahu ha avuto una conversazione telefonica con Putin, su iniziativa di Mosca.
Il colloquio ha toccato i temi più caldi della geopolitica mediorientale: la situazione a Gaza, il tema del cessate il fuoco, la questione nucleare iraniana e la stabilità in Siria.
Libano
Infine, sempre sul fronte mediorientale, aumenta la tensione anche nel sud del Libano.
Due soldati di UNIFIL –la Forza di Interposizione in Libano delle Nazioni Unite – sono stati raggiunti dai colpi sparati da truppe israeliane, mentre erano di pattuglia domenica mattina.
L’IDF parla di un errore legato alle condizioni meteorologiche, mentre l’UNIFIL sostiene che i colpi siano partiti da un carro armato israeliano in territorio libanese e definisce l’incidente una grave violazione della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza.
Tale risoluzione aveva posto fine al conflitto tra Israele e Hezbollah del 2006.
L’ONU ha chiesto a Israele di evitare ulteriori episodi simili, ricordando che le forze di pace operano per la stabilità lungo il confine.
Ucraina
Il presidente dell’Ucraina Zelensky ha annunciato un riassetto completo delle principali aziende energetiche statali, una decisione arrivata nel pieno del più serio scandalo di corruzione del suo mandato.
Secondo il Kyiv Independent, l’indagine ha coinvolto alti funzionari accusati di aver ricevuto tangenti da appaltatori del settore.
Il piano prevede revisioni gestionali, audit finanziari approfonditi e una riorganizzazione dei vertici di società come Energoatom, Naftogaz, Ukrhydroenergo e il gestore della rete di trasmissione del gas.
Zelensky ha spiegato che sarà necessario formare rapidamente nuovi consigli di sorveglianza e selezionare nuovi dirigenti attraverso concorsi pubblici, per ristabilire fiducia e trasparenza.
Il fronte di guerra con la Russia
Intanto, sul fronte di guerra, è stata colpita nella notte la città di Balakliya nella regione di Kharkiv, provocando tre morti e dieci feriti.
Nelle ore precedenti, invece, le forze ucraine avevano fatto saltare la strada che, nel Donetsk, collega Selydove e Pokrovsk.
L’obiettivo è tagliare le vie logistiche russe verso quest’ultima città, considerata un nodo strategico degli attacchi di Mosca.
La strada era già stata danneggiata da un precedente raid aereo, e la sua distruzione totale elimina, secondo Kiev, una delle possibili vie di infiltrazione per i veicoli leggeri russi.
Selydove, che prima dell’invasione contava circa 20 mila abitanti, era stata dichiarata sotto controllo russo due settimane fa, insieme ad altri villaggi circostanti.
La capitale Kiev, invece, ha vissuto uno dei momenti più difficili dall’inizio della guerra nella notte tra venerdì e sabato, a causa di un massiccio bombardamento russo.
L’attacco ha provocato almeno sei morti e decine di feriti.
Le autorità ucraine parlano di oltre quattrocento droni e diciotto missili impiegati contro Kiev e altre città.
Nonostante la maggior parte dei velivoli e dei missili sia stata abbattuta, la caduta dei detriti ha colpito edifici residenziali, scuole e strutture mediche in diversi quartieri.
Gli ucraini hanno risposto colpendo obiettivi in territorio russo, tra cui – secondo Mosca – la centrale nucleare di Novovoronezh e il porto petrolifero di Novorossijsk, uno dei più importanti terminal del Mar Nero.
I danni riportati dal porto hanno temporaneamente interrotto le esportazioni di greggio.
Le armi e la difesa europea
Zelensky ha confermato che l’Ucraina ha impiegato anche i nuovi missili da crociera a lungo raggio di produzione nazionale, i Long Neptune, senza però indicarne gli obiettivi.
Sul fronte internazionale, il rifornimento di armi resta uno dei punti più critici per Kiev.
La riunione, a Berlino, dei ministri della Difesa del gruppo E5 di cui fanno parte Italia, Francia, Germania, Polonia e Regno Unito non ha portato a novità significative.
L’alta rappresentante dell’Unione europea Kaja Kallas ha ricordato che l’UE non dispone di proprie difese antiaeree e che sono i singoli Stati membri a dover decidere quale sostegno fornire.
Kallas ha ribadito, inoltre, che “se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra”, sottolineando che l’Europa deve dotarsi di una capacità di difesa adeguata alle minacce attuali.
Ha ricordato che la guerra in Ucraina rappresenta una sfida diretta all’ordine internazionale e che la Russia continua a rifiutare il dialogo.
La Germania, intanto, mantiene il riserbo sull’eventuale invio a Kiev dei missili Taurus.
Mentre Zelensky cercherà nuovi accordi nel suo prossimo tour europeo, che lo porterà a Parigi, Atene e Madrid.
All’Eliseo incontrerà Macron e visiterà lo stato maggiore della “forza multinazionale” che Francia e Germania stanno preparando in vista di un potenziale cessate il fuoco.
Nei colloqui in Grecia, invece, si discuterà anche del “Corridoio verticale”, un progetto infrastrutturale per trasportare gas americano dal Mediterraneo ai Balcani e poi in Ucraina.
Perù
Sabato scorso, a Lima, decine di giovani manifestanti sono scese in strada per denunciare l’aumento della criminalità e la persistente instabilità politica.
Una protesta portata avanti nonostante lo stato di emergenza.
Si tratta della prima manifestazione in Perù dopo gli scontri del 15 ottobre, quando una persona era rimasta uccisa e oltre cento ferite.
Le proteste sono guidate dalla cosiddetta “Generazione Z” peruviana, che denuncia un clima di insicurezza crescente e un sistema politico in crisi, segnato dall’alternarsi di sette presidenti in dieci anni.
Il Paese è reduce anche dall’impeachment della presidente Dina Boluarte il 10 ottobre, sostituita dall’allora presidente del Parlamento José Jeri, al centro ora delle contestazioni.
Venezuela
Escalation di tensione con gli Stati Uniti in Venezuela.
Nelle prime ore di sabato, il presidente Nicolás Maduro ha dichiarato che il Venezuela “non sarà la Gaza del Sud America”, denunciando il massiccio dispiegamento militare statunitense nel Mar dei Caraibi.
Secondo Caracas, si tratta di una minaccia volta a favorire un cambio di regime.
Maduro ha fatto appello alla popolazione statunitense affinché “fermi la mano di chi ordina bombardamenti e guerre”.
Nel frattempo, il ministro dell’Interno, della Giustizia e della Pace Diosdado Cabello ha avvertito che un attacco statunitense potrebbe avvenire “in qualsiasi momento”, invitando le milizie civili a essere pronte a rispondere senza preavviso.
Poche ore dopo, nella tarda serata di sabato, la leader dell’opposizione e premio Nobel per la Pace Maria Corina Machado ha lanciato un appello pubblico ai militari affinché disobbediscano agli ordini di Maduro definiti “infami”.
Machado ha affermato che “il momento decisivo è imminente”.
Nella giornata di domenica, Maduro ha chiesto a sei regioni del Venezuela orientale di organizzare una “mobilitazione permanente” contro la ripresa delle esercitazioni statunitensi nelle acque di Trinidad e Tobago.
Ha invitato forze popolari, militari e di polizia a mantenere un atteggiamento patriottico e a non cedere alle provocazioni.
Secondo alcune fonti, gli Stati Uniti starebbero valutando diversi scenari per un “dopo Maduro”, inclusa l’ipotesi di offrire al presidente e ai suoi collaboratori un esilio sicuro all’estero oppure un arresto con processo negli Stati Uniti.
Si discuterebbero anche misure future sul piano delle sanzioni e sulla ricostruzione economica del Paese.
Ecuador
Domenica in Ecuador si è avviato un referendum nazionale con quattro quesiti voluti dal presidente Daniel Noboa in risposta alla gravissima crisi di sicurezza che attraversa il Paese.
Gli elettori devono esprimersi su:
- ritorno delle basi militari statunitensi in Ecuador
- eliminazione del finanziamento pubblico ai partiti
- riduzione dei seggi parlamentari
- convocazione di una Assemblea Costituente.
Il referendum si svolge in un clima di forte tensione interna: il governo ha dichiarato lo stato di “conflitto interno” e ha richiesto il supporto statunitense nella lotta contro le gang legate ai cartelli colombiani e messicani.
Per garantire la sicurezza del voto sono stati mobilitati migliaia tra agenti di polizia e militari.
Secondo l’International Crisis Group (ICG), l’organizzazione indipendente che svolge ricerche sul campo in zone a rischio di conflitto, il primo semestre del 2025 è stato il più violento nella storia del Paese, con circa 4.500 omicidi.
Cile
Domenica 16 novembre il Cile è stato chiamato alle urne per le elezioni presidenziali e legislative.
Oltre 15 milioni di elettori hanno votato per scegliere il successore di Gabriel Boric e per rinnovare la Camera e metà del Senato.
I sondaggi, alla vigilia del voto, indicavano il possibile ballottaggio al 14 dicembre e così gli scrutini finora fatti confermano.
A contendersi la presidenza saranno la favorita Jeannette Jara, candidata della sinistra di Unidad por Chile, e José Antonio Kast, esponente dell’ultradestra repubblicana.
Secondo i dati del Servizio Elettorale cileno, Jara è in testa con il 26,45%, mentre Kast segue da vicino con il 24,46%.
Una distanza irreversibile secondo gli analisti.
La sorpresa è stata però il terzo posto di Franco Parisi, candidato populista che ha raggiunto il 18,62%.
Un risultato che gli ha permesso di superare sia la candidata della destra tradizionale, Evelyn Matthei, sia l’ultra conservatore Johannes Kaiser.
Secondo gli esperti, il voto conferma una netta affermazione della destra che si ricompatta attorno alla figura di Kast.
Sia Kaiser sia Matthei hanno annunciato, infatti, il loro sostegno alla sua candidatura in vista del secondo turno.
La tornata elettorale cilena si distingue anche per il ritorno del voto obbligatorio, che potrebbe far aumentare l’affluenza di oltre 5 milioni di votanti rispetto al 2021.
Stati Uniti
Negli Stati Uniti, Donald Trump ha annunciato una significativa retromarcia sulla politica dei dazi.
La Casa Bianca ha comunicato la rimozione delle tariffe su carne, banane, caffè e decine di altri prodotti agricoli.
Ufficialmente, la decisione viene giustificata con i progressi nei negoziati commerciali e con l’impossibilità per gli Stati Uniti di produrre autonomamente quantità sufficienti di questi beni.
Dietro il cambio di rotta, però, gli analisti leggono soprattutto la preoccupazione per l’aumento del costo della vita e per la crescente irritazione degli elettori.
Trump continua a sostenere pubblicamente che i prezzi stiano scendendo, ma nel suo entourage cresce il timore di un contraccolpo politico.
I benefici promessi agli americani non si vedono, mentre a gennaio la fine dei sussidi all’Obamacare rischia di far aumentare i costi dell’assicurazione sanitaria per milioni di persone.
I repubblicani, inoltre, non hanno ancora presentato un piano alternativo.
Intanto, la questione resta aperta sul fronte giudiziario: la Corte Suprema appare scettica sulla legittimità delle tariffe e, se dovesse bocciarle, per la Casa Bianca sarebbe un duro colpo, con la possibilità di dover restituire fino a 3.000 miliardi di dollari.
Svizzera
Intanto la Svizzera ha annunciato di aver raggiunto un accordo con gli Stati Uniti per la riduzione dei dazi doganali dal 39% al 15%.
L’annuncio arriva dopo la visita a Washington del ministro svizzero dell’Economia, Guy Parmelin, che ha incontrato il rappresentante americano per il commercio, Jamieson Greer.
Per il governo elvetico, che ha ringraziato Trump per il “contributo costruttivo”, si tratta di un passo importante per allentare una pressione tariffaria ritenuta eccessiva e introdotta solo ad agosto.
Regno Unito
Il governo britannico ha presentato una stretta sulla politica di asilo, definita dalla ministra dell’Interno del Regno Unito Shabana Mahmood una vera e propria “missione morale”.
Le nuove misure prevedono:
- status di rifugiato ridotto da 5 anni a 30 mesi, con controlli periodici
- 20 anni di attesa prima di poter chiedere la residenza permanente, finora erano 5
- la possibilità di invitare i rifugiati a rientrare se il loro Paese viene considerato sicuro.
Il pacchetto completo sarà illustrato oggi in Parlamento e punta a rispondere alle pressioni interne sull’immigrazione irregolare, definita dal governo una minaccia che “lacera il Paese”.
Etiopia
In Etiopia, le autorità sanitarie hanno confermato un focolaio del virus Marburg nel sud del Paese.
L’Africa CDC – l’istituzione sanitaria pubblica dell’Unione africana – e l’OMS – l’Organizzazione Mondiale della Sanità – hanno riportato almeno nove casi accertati.
Il virus di Marburg è uno dei patogeni più letali conosciuti: simile all’Ebola, provoca febbre, gravi emorragie e ha un tasso di mortalità che può arrivare all’80%.
Non esistono al momento terapie antivirali specifiche o vaccini approvati, anche se reidratazione intensiva e cure di supporto aumentano le possibilità di sopravvivenza.
Le autorità etiopi hanno attivato rapidamente misure di contenimento e ulteriori analisi di laboratorio.
Il ceppo individuato mostra somiglianze con quelli già rilevati nell’Africa orientale.
Recenti epidemie di Marburg si sono registrate in Tanzania, con 10 morti a inizio anno, e in Ruanda, dove nel 2024 è stato sperimentato anche un vaccino.
Foto di copertina: Save_Palestine (AI generated) – Pixabay
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