12 giugno 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Barbara Schiavulli in data Giugno 12, 2025
- Israele: la Knesset non si scioglie, Netanyahu tira un sospiro di sollievo.
- Gaza: ancora sangue agli aiuti – Almeno 39 morti mentre cercavano cibo.
- Irlanda del Nord: rivolte xenofobe a Ballymena – 17 agenti feriti, famiglie immigrate in fuga.
- Burundi: il partito al potere conquista tutti i seggi in Parlamento – opposizione esclusa, accuse di brogli.
- USA: ridotto il personale all’ambasciata in Iraq per le tensioni con l’Iran.
Introduzione al notiziario: Non siamo il megafono della propaganda
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli
Israele e Palestina
In Israele, per ora, niente elezioni anticipate. La Knesset ha respinto nella notte una mozione preliminare per il proprio scioglimento, con 61 voti contrari e 53 favorevoli: bastava un solo voto in più perché la maggioranza passasse.
Un voto che avrebbe potuto segnare l’inizio della fine per il governo Netanyahu, dato in caduta libera nei sondaggi.
La crisi ruota attorno a uno dei temi più esplosivi della politica israeliana: la leva militare obbligatoria, e in particolare le esenzioni per gli studenti ultraortodossi, che il premier cerca di difendere per mantenere l’appoggio dei partiti religiosi della sua coalizione.
Ma la guerra a Gaza ha cambiato le carte in tavola: Israele registra il numero più alto di caduti in combattimento da decenni e l’esercito è in affanno. Cresce la rabbia di chi combatte al fronte mentre altri, in nome della religione, restano fuori.
Netanyahu, in difficoltà, ha però guadagnato tempo. Secondo Yuli Edelstein, presidente della commissione Esteri e Difesa, si sarebbe raggiunto un accordo di principio sulla nuova legge per la coscrizione.
Ma l’intesa è fragile e il malcontento nel paese resta forte.
Un governo appeso a un voto. Un premier che sopravvive grazie a compromessi su un tema che divide profondamente la società israeliana.
E sullo sfondo, una guerra che non si ferma, mentre la politica fa di tutto per non guardare in faccia la realtà: il paese è spaccato, e la fiducia, sempre più sottile.
Gaza: 120 morti a Gaza, 57 sotto il fuoco delle IDF mentre si aspettano aiuti nella Striscia di Gaza centrale, affermano i funzionari del Ministero della Salute guidato da Hamas;
La GHF (Global Humanitarian Foundation), che distribuisce gli aiuti con contractor privati e supporto militare israeliano, afferma di non essere a conoscenza di questi incidenti ma di lavorare per garantire “corridoi sicuri”.
In realtà, Cinque operatori della Gaza Humanitarian Foundation, un’organizzazione sostenuta dagli Stati Uniti e Israele, sono stati uccisi questa notte in un attacco attribuito a Hamas.
L’organizzazione parla di un’azione deliberata, e teme che alcuni membri del proprio staff siano stati rapiti.
L’attacco è avvenuto intorno alle 22 ora locale, mentre il gruppo si dirigeva verso un centro di distribuzione umanitaria.
Dall’inizio delle operazioni della fondazione, 163 palestinesi sono stati uccisi e più di 1.000 feriti mentre cercavano di ottenerli.
L’ONU ha condannato gli attacchi e ha rifiutato di collaborare con la GHF, definendo il metodo “una violazione degli standard umanitari”.
Il bilancio totale dell’offensiva israeliana – secondo il ministero della Sanità di Gaza – è ora salito a 55.104 morti, in gran parte civili.
Intanto, mentre Netanyahu parla di “progressi significativi” sul fronte ostaggi, fonti di Hamas smentiscono: nessun accordo è imminente.
■ I corpi dell’ostaggio israeliano Yair Yaakov e di un altro ostaggio, il cui nome non è ancora stato reso noto, sono stati recuperati a Gaza.
■ L’Argentina trasferirà la sua ambasciata in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme nel 2026 , ha annunciato mercoledì il presidente Javier Milei durante un discorso alla Knesset.
■ L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta scoraggiando i governi di tutto il mondo dal partecipare alla conferenza delle Nazioni Unite che si terrà la prossima settimana a New York su una possibile soluzione a due stati tra Israele e palestinesi.
■ La Casa Bianca ha affermato che Gaza è inabitabile. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, ha affermato che la priorità numero uno del presidente Donald Trump è porre fine alla guerra tra Israele e Hamas “il prima possibile”, in modo che la Striscia di Gaza possa essere ricostruita “con l’aiuto dei nostri partner arabi”.
Alla domanda se il presidente sostenga la soluzione a due stati, Leavitt non ha risposto direttamente, affermando invece che Trump è “realista riguardo all’attuale stato delle cose in questa regione del mondo”.
■ Mercoledì oltre 200 manifestanti pro-Palestina hanno occupato la sede centrale della Maersk a New York, denunciando il ruolo del gigante del trasporto marittimo nella fornitura di armi per il programma F-35 di Israele.
Iran
Secondo fonti di Newsweek, Tel Aviv si starebbe preparando a un attacco contro l’Iran, mentre gli Stati Uniti evacuano il personale non essenziale da Iraq, Bahrein e Kuwait. A lanciare un chiaro avvertimento è il movimento yemenita Ansar Allah (i cosiddetti Houthi), alleato di Teheran: “Siamo già in stato di guerra con Israele e pronti a reagire a qualsiasi escalation americana”.
Gli Houthi accusano Israele di crimini a Gaza e attacchi in Yemen e minacciano di intensificare le operazioni contro “l’entità usurpatrice sionista”. Hanno avvertito anche Washington: “Ogni attacco contro l’Iran trascinerebbe l’intera regione nel baratro”.
A poche ore dai nuovi colloqui nucleari in Oman tra Stati Uniti e Iran, entrambe le parti sembrano scettiche su un accordo. Trump ha parlato di una possibile “alternativa molto, molto grave” se Teheran non accetta l’intesa.
Tuttavia, il ministro degli Esteri iraniano ha mostrato apertura: “Il no alle armi nucleari è un punto comune, possiamo costruire su questo”.
Teheran ha minacciato di colpire le basi statunitensi nella regione in caso di attacco e avverte: potrebbe rivelare dossier sul presunto arsenale nucleare israeliano.
Intanto, mercoledì, l’Iran ha lanciato un nuovo missile balistico verso Israele, poche ore dopo un raid navale israeliano contro il porto yemenita di Al-Hodeidah.
Dopo il cessate il fuoco di Hezbollah e la tregua delle milizie irachene, Ansar Allah è oggi il membro più attivo dell’“Asse della Resistenza” filo-iraniano.
Nonostante un accordo provvisorio con Trump per fermare gli attacchi navali, gli Houthi hanno continuato a colpire Israele con missili e droni. Controllano circa un terzo del territorio yemenita e l’80% della popolazione.
In Medio Oriente, ogni mossa diplomatica rischia di trasformarsi in un detonatore. Tra minacce nucleari, evacuazioni e missili in volo, il margine tra deterrenza e disastro si fa sempre più sottile
Burundi
Il partito di governo del Burundi, il CNDD-FDD, ha vinto tutti i 100 seggi dell’Assemblea Nazionale nelle elezioni parlamentari della scorsa settimana. Lo ha annunciato la commissione elettorale, dichiarando che il partito ha ottenuto il 96,51% dei voti. Nessun altro partito ha superato la soglia del 2% richiesta per entrare in Parlamento.
Ma l’opposizione grida ai brogli: il principale partito rivale, il CNL, era stato escluso dal voto, e numerosi osservatori hanno denunciato irregolarità sistematiche, votazioni multiple, schede precompilate e l’arresto arbitrario di osservatori. Il leader del partito Uprona ha accusato: “Abbiamo ucciso la democrazia”.
Diversi giornalisti e cittadini, sotto anonimato, hanno confermato irregolarità diffuse. In alcune zone il CNDD-FDD avrebbe preso il 100% dei voti, senza schede nulle né assenze – nonostante la presenza ufficiale di candidati di altri partiti.
Sullo sfondo, un Paese in piena crisi: con il PIL pro capite più basso al mondo, il 75% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. L’inflazione ha superato il 40% mensile e il Burundi è alle prese con una grave carenza di carburante da quasi tre anni.
Irlanda del Nord
Per il secondo giorno consecutivo, Ballymena, cittadina nordirlandese di 32.000 abitanti, è stata teatro di violente rivolte alimentate da disinformazione e razzismo.
L’innesco? L’arresto di due adolescenti sospettati di una violenza sessuale. La presenza di un interprete rumeno in aula ha scatenato speculazioni non confermate sull’origine dei minori e acceso la miccia di un’ondata di odio contro gli immigrati.
Auto e cassonetti incendiati, vetrine sfondate, molotov e mattoni lanciati contro la polizia. Almeno 17 agenti sono rimasti feriti, dopo i 15 del giorno precedente. Cinque arresti finora, ma le autorità stanno visionando ore di video per identificare altri partecipanti.
Famiglie straniere si sono barricate in casa o sono fuggite. Alcuni residenti hanno esposto bandiere britanniche o cartelli con scritto “Qui vivono filippini” per cercare di proteggersi dall’attacco.
Il caos è stato amplificato dai social, con dirette e messaggi che indicavano dove colpire e come aggirare i blocchi. Il tutto – specificano le autorità – senza il coinvolgimento di gruppi paramilitari organizzati, ma con un evidente coordinamento digitale.
Forze antisommossa da tutto il Regno Unito sono arrivate in rinforzo, e la situazione – almeno per ora – sembra sotto controllo. Ma le autorità si preparano a una terza notte di scontri.
Il premier Keir Starmer ha definito gli eventi “molto inquietanti” e ha fatto sapere che sta monitorando da vicino la situazione.
Groenlandia
Una nuova analisi del gruppo World Weather Attribution ha confermato che il caldo eccezionale che ha colpito Islanda e Groenlandia lo scorso maggio sarebbe stato impossibile senza l’intervento umano sul clima.
In Islanda si sono toccati i 26,6°C a Egilsstadir, il valore più alto mai registrato a maggio, mentre in Groenlandia lo scioglimento del ghiaccio è stato decine di volte più rapido del normale.
Gli scienziati parlano di un evento che, senza cambiamento climatico, avrebbe avuto meno dell’1% di probabilità di verificarsi in un anno. Oggi, con l’attuale livello di emissioni, è 40 volte più probabile rispetto all’epoca preindustriale.
Lo scioglimento accelerato della calotta glaciale della Groenlandia sta rilasciando enormi quantità di acqua dolce negli oceani, un fenomeno che potrebbe rallentare la Circolazione Meridionale Atlantica, influenzando drasticamente clima e precipitazioni in Europa, Nord America e oltre.
Oltre all’aumento del livello del mare, la fusione dei ghiacci artici minaccia anche le comunità indigene della Groenlandia, private dell’accesso ai luoghi di caccia tradizionali e messe a rischio da permafrost instabile, frane e onde anomale.
Sullo sfondo, anche le mire geopolitiche: la Groenlandia è tornata al centro dell’attenzione globale dopo che Trump aveva ipotizzato di “comprarla”. Ma il premier Jens-Frederik Nielsen è stato chiaro: “La Groenlandia non è in vendita”.
Russia e Ucraina
Un gesto minimo, ma carico di significato in mezzo a una guerra che non accenna a finire.
L’Ucraina ha annunciato di aver ricevuto i corpi dei propri soldati caduti nell’ambito di uno scambio con la Russia, concordato durante l’ultimo round di colloqui diretti a Istanbul.
Mosca ha restituito i resti di 1.212 militari ucraini, mentre ha ricevuto da Kyiv i corpi di 27 soldati russi.
Un numero che dice molto: sul fronte orientale, a morire sono soprattutto gli ucraini, spesso in condizioni di disparità. Ma anche un segnale di apertura, seppur limitata, in un conflitto segnato finora da ostilità implacabili.
Stati Uniti
A Los Angeles è tornato il coprifuoco. Le proteste anti-immigrazione, iniziate sabato scorso, sono entrate nel sesto giorno, e mentre in città si segnala una calma apparente, le manifestazioni si allargano ad altre metropoli: New York, Chicago, Austin, Dallas, Denver. E non accennano a fermarsi.
Sabato si prevede un’escalation: saranno in molti a scendere in piazza, proprio nel giorno del 250° anniversario dell’esercito statunitense e – coincidenza che sa di miccia – del compleanno del presidente Trump, che compirà 79 anni.
Dall’inizio delle proteste, le autorità hanno arrestato circa 400 persone, tra cui 330 migranti senza documenti e altri manifestanti accusati di aggressione, blocchi stradali e persino tentato omicidio.
Due uomini sono stati incriminati per aver lanciato molotov contro agenti in due episodi distinti a Los Angeles.
Per gestire la crisi, l’amministrazione Trump ha dispiegato migliaia di soldati, inclusi 700 marines, autorizzati a trattenere i manifestanti fino all’arrivo della polizia. Una misura che alimenta ulteriori polemiche sull’uso della forza militare in operazioni di ordine pubblico.
Secondo un’inchiesta del Washington Post, l’amministrazione Trump starebbe valutando di trasferire migliaia di migranti irregolari nel carcere militare di Guantánamo Bay, Cuba – incluso cittadini di Paesi “amici” come Ucraina, Francia, Regno Unito, Italia e Germania.
L’obiettivo: liberare spazio nei centri di detenzione interni, saturi per effetto della promessa trumpiana di “deportazioni di massa”.
La notizia ha provocato forti reazioni internazionali, ma la Casa Bianca smentisce: “Fake news”, ha scritto su X la portavoce Karoline Leavitt. Anche l’ambasciata ucraina a Washington ha rilanciato la smentita.
Ma il Post insiste, citando fonti anonime dell’amministrazione e documenti interni che parlano di screening medico su 9.000 persone per valutarne il trasferimento.
L’indignazione monta anche in Europa: il politico italiano Angelo Bonelli denuncia un piano “feroce e fascista”, che includerebbe “bambini in manette e madri separate dai figli”.
Il contesto: Trump ha rilanciato l’uso di Guantánamo – simbolo delle torture e dell’illegalità post-11 settembre – come possibile luogo di detenzione di massa, dichiarando a gennaio che potrebbe ospitare fino a 30.000 migranti.
Non importa se sia vero o meno: il solo evocare Guantánamo come risposta alla migrazione dice tutto. Se il campo che un tempo rinchiudeva sospetti terroristi diventa la risposta alla disperazione di chi fugge, allora stiamo assistendo a una mutazione politica profonda. Della democrazia, della legge, dell’umanità.
Weinstein è stato invece assolto dall’accusa legata alla ex modella Kaja Sokola, e non è stato ancora raggiunto un verdetto per il terzo capo d’accusa, relativo all’attrice e parrucchiera Jessica Mann.
Questo nuovo processo arriva dopo che, nel 2023, la Corte d’Appello di New York ha annullato la condanna originaria a 23 anni di carcere, citando errori giudiziari gravi che avevano compromesso la sua possibilità di difesa nel primo processo.
Prima della lettura del verdetto, Weinstein ha preso la parola dichiarando: “La mia vita è in gioco, e questo processo non è stato equo. È tempo di dire che il processo è finito.”
Cuba
La rabbia non si spegne tra gli studenti cubani dopo l’aumento delle tariffe per l’internet mobile deciso a maggio dal governo: scioperi nelle aule, comunicati di protesta e solidarietà da parte dei docenti stanno scuotendo gli atenei dell’isola, da Santiago a L’Avana.
Le nuove tariffe imposte dall’azienda statale Etecsa superano gli 11.000 pesos cubani (circa 400 euro) – oltre il doppio di uno stipendio minimo – mentre le ricariche in valuta nazionale restano ferme a 360 pesos (11 euro). A beneficiarne sono solo i pacchetti in dollari, inaccessibili alla stragrande maggioranza della popolazione.
Ma la risposta delle autorità non è il dialogo: secondo l’Osservatorio per la libertà accademica, agenti in borghese hanno fatto irruzione nei campus di L’Avana e Las Villas per interrogare studenti in protesta.
In un comunicato, gli studenti della Facoltà di Lettere dell’Università di Santiago de Cuba definiscono le misure “odiose e socialmente regressive”, un “muro insormontabile” che divide chi può accedere all’informazione da chi ne è escluso. E ribadiscono: internet non è un lusso, ma un diritto e uno strumento di studio fondamentale nel XXI secolo.
Corea del Sud
La Corea del Sud ha spento i megafoni lungo il confine: niente più propaganda contro Pyongyang, niente più K-pop sparato a tutto volume verso il Nord. È il primo gesto distensivo del nuovo presidente progressista Lee Jae-myung, insediatosi la scorsa settimana dopo le elezioni anticipate che hanno rimosso l’ex presidente conservatore Yoon Suk-yeol.
Il governo sudcoreano parla di “un passo per ricostruire la fiducia e promuovere la pace nella penisola coreana”. Un gesto simbolico, ma importante, dopo mesi di escalation.
L’anno scorso, infatti, la Corea del Nord aveva lanciato circa 7.000 palloni colmi di rifiuti – carta, mozziconi, escrementi – in risposta ai volantini anti-regime e chiavette USB con drama sudcoreani lanciati da attivisti del Sud. Uno di questi palloni era arrivato perfino vicino al palazzo presidenziale di Seoul.
In risposta, la Corea del Sud aveva riattivato le sue trasmissioni di propaganda: non solo notizie, ma anche canzoni pop, in barba alla campagna lanciata da Kim Jong-un per eliminare ogni influenza culturale sudcoreana.
Il Nord aveva reagito con suoni molesti trasmessi dalle proprie postazioni: ruggiti, gong e sirene, disturbando anche i civili sudcoreani delle zone di confine.
Ora, Lee Jae-myung ha deciso di cambiare rotta: via le casse, appello agli attivisti perché smettano di lanciare volantini. Ma dal Nord nessuna risposta.
Kim Jong-un continua a guardare a Mosca e ha ormai riscritto la costituzione nordcoreana, definendo il Sud un “nemico principale”, archiviando l’obiettivo storico della riunificazione.
Cina e USA
“L’accordo è fatto.” Con queste parole il presidente Donald Trump ha annunciato su Truth Social l’intesa commerciale tra Stati Uniti e Cina, in attesa solo del via libera formale da parte dei due leader.
Trump ha dichiarato che l’intesa prevede tariffe totali del 55% a favore degli USA e solo il 10% per la Cina. Pechino si sarebbe impegnata a fornire “magneti completi e tutte le terre rare necessarie”, risorse strategiche per la tecnologia e la difesa.
In cambio, Washington manterrà alcuni impegni, tra cui l’accesso degli studenti cinesi alle università statunitensi – “che per me è sempre stato un bene”, ha aggiunto Trump.
Mentre firma accordi con Pechino, Trump prepara le valigie a Baghdad. Due fronti, due toni: da un lato il linguaggio del business, dall’altro quello dell’evacuazione. La diplomazia americana sembra muoversi tra calcolatrice e valigia d’emergenza.
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