16 ottobre 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Stefania Cingia in data Ottobre 16, 2025
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- Gaza, tregua fragile tra scambi di corpi, accuse e tensioni politiche. Le voci dei prigionieri palestinesi liberati
- Germania sotto accusa per presunto patto segreto con Israele
- Iran avverte Israele: “Le violazioni del cessate il fuoco avranno conseguenze”
- Crisi tra Pakistan e Afghanistan
- Ecuador: violenza e tensione tra proteste e attentati
- Perù, sciopero nazionale contro crisi e insicurezza
- Colpo di stato in Madagascar
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets – a cura di Stefania Cingia
Gaza, tregua fragile tra scambi di corpi, accuse e tensioni politiche
Hamas ha dichiarato di aver consegnato tutti i resti degli ostaggi israeliani che è riuscita a recuperare nella Striscia di Gaza. Il gruppo ha spiegato che la ricerca delle salme è resa difficilissima dalle macerie e dalla distruzione diffusa, e che servono mezzi e tecnologie speciali per recuperare altri corpi.
Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha confermato di aver ricevuto altri due feretri con resti di ostaggi israeliani, trasferiti poi all’Istituto Nazionale di Medicina Forense di Tel Aviv per l’identificazione.
L’esercito israeliano, tuttavia, ha ribadito che Hamas deve rispettare pienamente l’accordo e restituire tutti gli ostaggi, vivi o morti.
Il piano di pace prevedeva che entro il 13 ottobre Hamas consegnasse 20 ostaggi vivi e 28 deceduti. I 20 prigionieri sopravvissuti sono stati liberati, ma solo otto corpi sono stati restituiti, e uno di questi non apparteneva a un ostaggio israeliano. Restano quindi almeno 19 corpi ancora dispersi.
Gli Stati Uniti hanno invitato alla calma, sottolineando che il livello di devastazione rende quasi impossibile muoversi nella Striscia. Washington sta addirittura condividendo informazioni di intelligence con Hamas per aiutare a localizzare i resti, mentre la Turchia si è offerta di inviare squadre specializzate nel recupero, simili a quelle impiegate nei terremoti.
Israele, però, considera ogni ritardo una violazione dell’accordo. Il Ministro della difesa Israel Katz ha avvertito che qualsiasi ulteriore inadempienza “avrà conseguenze”.
Il premier Benjamin Netanyahu ha ribadito che non ci sarà pace finché Hamas non consegnerà tutti gli ostaggi e non deporrà le armi.
Il presidente Trump ha lanciato un monito: “Se Hamas non si disarma, lo faremo noi, e sarà rapido — forse violento”. Netanyahu ha risposto: “Spero che non succeda, ma siamo pronti a tutto”.
Sul terreno, intanto, prosegue lo scambio di corpi e prigionieri: Israele ha restituito 45 salme di palestinesi, mentre circa 400 camion di aiuti umanitari sono entrati a Gaza dopo due giorni di stop. Più che una pace, una tregua precaria sul filo del rasoio.
Le voci dei prigionieri palestinesi liberati

Silenzio e sirene negli ospedali di Gaza, dove decine di ex detenuti palestinesi vengono ricoverati in condizioni gravi dopo la loro liberazione. Le testimonianze raccolte parlano di torture sistematiche nelle carceri israeliane: pestaggi, privazione del sonno, umiliazioni, denutrizione e isolamento prolungato.
Un uomo racconta di essere stato costretto a inginocchiarsi per ore, un altro di essere stato colpito con liquidi ustionanti. Un fotoreporter, Shadi Abu Sido, ha perso conoscenza al momento del rilascio: in cella, dice, era costretto a mangiare in ginocchio e minacciato di morte.
Molti detenuti presentano fratture, infezioni, segni di scariche elettriche e amputazioni. Secondo medici e gruppi per i diritti umani, le lesioni riscontrate confermano le accuse di abusi sistematici.
Le organizzazioni internazionali denunciano che queste pratiche non sono episodi isolati, ma parte di un meccanismo strutturale di violenza e umiliazione. In Israele, il caso del centro di detenzione di Sde Teiman — dove un video mostrava un detenuto palestinese picchiato e violentato — aveva già scosso l’opinione pubblica, ma le indagini si sono fermate senza condanne.
Tra i testimoni ci sono anche attivisti internazionali, tra cui Greta Thunberg, che ha denunciato pestaggi e insulti dopo essere stata catturata dalle forze israeliane durante la missione umanitaria sulla Global Sumud Flotilla.
Al momento, circa novemila palestinesi restano in carcere, molti senza accuse formali. Per chi è tornato libero, la sopravvivenza comincia adesso: tra interventi chirurgici, riabilitazioni e la ricostruzione di una memoria segnata da anni di violenza.
Germania sotto accusa per presunto patto segreto con Israele
La Germania è al centro di nuove polemiche internazionali dopo un’inchiesta del Tehran Times, secondo cui Berlino avrebbe firmato un accordo segreto con Israele e dispiegato truppe nei territori occupati durante la guerra tra Israele e Iran lo scorso giugno.
Secondo il quotidiano iraniano, militari tedeschi avrebbero partecipato alle operazioni israeliane che, in 12 giorni di conflitto, avrebbero colpito infrastrutture militari, nucleari e civili iraniane.
In cambio, Berlino avrebbe ricevuto compensi economici, chiedendo però che la cooperazione restasse riservata. Non è chiaro se il Bundestag, il parlamento tedesco, fosse a conoscenza dell’accordo.
Il Ministero degli Esteri tedesco e l’ambasciata di Germania a Teheran non hanno né confermato né smentito la notizia, rifiutandosi di commentare la presunta intesa.
Dal fronte iraniano, le reazioni sono durissime. Il portavoce della Commissione Esteri del Parlamento di Teheran, Ebrahim Rezaei, ha accusato Berlino, Londra e Parigi di seguire “una linea ostile verso l’Iran” e di agire su mandato statunitense e israeliano.
Rezaei ha aggiunto che “dopo l’attivazione dello snapback – il meccanismo di reintroduzione automatica delle sanzioni – l’Europa ha perso ogni credibilità sul dossier nucleare iraniano”.
Il presunto coinvolgimento di Berlino rappresenterebbe la seconda collaborazione militare tedesca contro l’Iran nella storia recente, dopo il sostegno fornito a Saddam Hussein negli anni Ottanta.
Iran avverte Israele: “Le violazioni del cessate il fuoco avranno conseguenze”
Da Teheran, in Iran, il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ismail Baghaei, ha lanciato un duro avvertimento a Israele, accusandolo di violare ripetutamente il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.
Nelle ultime 24 ore, secondo le autorità iraniane, nuovi attacchi israeliani avrebbero provocato almeno dieci vittime tra morti e feriti. Baghaei ha parlato anche della distruzione di uliveti, incendi di abitazioni in Cisgiordania e della profanazione della moschea di Al-Aqsa da parte di coloni estremisti.
Un linguaggio duro, che riflette l’irritazione crescente di Teheran di fronte a ciò che considera un tradimento degli impegni presi.
Il portavoce iraniano ha chiesto ai garanti del cessate il fuoco — tra cui Egitto, Qatar e Stati Uniti — di intervenire con decisione, per fermare le azioni israeliane e “impedire nuove tragedie”.
Il cessate il fuoco, firmato solo pochi giorni fa tra Israele e Hamas, era stato salutato come un passo verso la stabilità dopo mesi di guerra e migliaia di vittime.
Ma secondo Teheran, Israele starebbe sfruttando la tregua per continuare le operazioni militari sotto copertura, mettendo a rischio la fragile pace appena conquistata.
Dal canto suo, il governo israeliano non ha commentato direttamente le accuse, ma continua a parlare di azioni mirate contro gruppi armati ancora attivi nella Striscia.
Intanto, la diplomazia internazionale prova a tenere in vita l’accordo.
Trump “ottimista” su una pace in Ucraina
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si dice “ottimista” sulla possibilità di raggiungere la pace in Ucraina, dopo l’accordo di cessate il fuoco firmato tra Israele e Hamas e la liberazione degli ostaggi in Medio Oriente.
Secondo fonti della Casa Bianca, Trump ritiene che il recente successo diplomatico possa aprire la strada anche a un’intesa tra Mosca e Kyiv, in un momento in cui la Russia si trova in difficoltà economiche e militari.
Venerdì 17 ottobre è previsto un incontro tra Trump e il presidente ucraino Zelensky, parte di una campagna coordinata da Kyiv per riportare l’attenzione americana sul fronte europeo.
Un funzionario statunitense ha dichiarato che “se la Russia fosse saggia, cercherebbe con urgenza un accordo per porre fine a una guerra che ha danneggiato la sua reputazione e il suo futuro”.
Secondo Politico, il presidente Trump considera la fine del conflitto in Ucraina uno dei tre obiettivi principali del suo secondo mandato, insieme alla pace in Gaza e a un nuovo accordo nucleare con l’Iran.
Zelensky ha fatto sapere di star preparando nei dettagli il vertice con Washington, dove si discuterà anche della possibile fornitura di missili a lungo raggio Tomahawk a Kyiv.
Spagna risponde a Trump: “I dazi colpirebbero gli americani”
Tensione diplomatica tra Spagna e Stati Uniti dopo le nuove minacce del presidente americano Donald Trump, che ha annunciato possibili dazi contro Madrid se il Paese non aumenterà la spesa per la difesa all’interno della NATO.
Da Madrid la risposta non si è fatta attendere. La vicepremier Yolanda Díaz ha definito l’annunciata misura “una punizione costosa per gli stessi americani”, ricordando che la bilancia commerciale tra i due Paesi è in deficit per la Spagna, quindi eventuali dazi danneggerebbero soprattutto le imprese statunitensi.
Díaz ha aggiunto che la Spagna “difenderà la propria industria, dal settore energetico a quello automobilistico” e ha ribadito che “in Spagna comandano gli spagnoli — non siamo un protettorato”.
Dalle stesse ore, il ministro degli Esteri José Manuel Albares ha voluto chiarire che l’impegno della Spagna nella NATO “resta oltre ogni dubbio”: Madrid, ha detto, “è un alleato affidabile, con una presenza fondamentale sul fianco orientale dell’Europa”.
Intanto, la ministra della Scienza Diana Morant ha minimizzato le parole di Trump, definendole “abituali”, e ricordando che nei recenti colloqui con il premier Pedro Sánchez, i toni tra i due leader erano stati “piuttosto cordiali”.
Crisi tra Pakistan e Afghanistan
Pakistan e Afghanistan hanno concordato una tregua temporanea di 48 ore, entrata in vigore mercoledì alle 18:00 ora locale pakistana (13:00 GMT), dopo giorni di violenti scontri al confine.
Secondo il ministero degli Esteri pakistano, entrambe le parti si impegnano a dialogare con serietà per trovare una soluzione “positiva” a una situazione che definiscono complessa ma risolvibile.
Il governo pakistano afferma che la tregua è stata richiesta da Kabul, mentre un portavoce dei Talebani ha detto che l’accordo è avvenuto su “insistenza del lato pakistano”.
Kabul avrebbe ordinato alle proprie forze di mantenere il cessate il fuoco “a patto che l’altro lato non violi l’accordo”.
Al centro del conflitto c’è la linea Durand, una frontiera tracciata in epoca coloniale che l’Afghanistan non ha mai riconosciuto. Il confine divide le comunità pashtun, presenti da entrambi i lati, e continua a essere motivo di attrito politico e militare.
Ma la crisi va oltre la geografia. Islamabad accusa Kabul di proteggere i miliziani del TTP, il Tehrik-i-Taliban Pakistan, responsabili di numerosi attentati nel Paese. I Talebani afghani respingono le accuse, ma la tensione cresce.
Negli ultimi giorni si sono registrati bombardamenti e scontri armati con decine di vittime civili, soprattutto nelle zone di confine tra Chaman e Spin Boldak.
Dietro le armi, resta la diffidenza politica: il Pakistan teme un Afghanistan troppo autonomo e vicino all’India, mentre Kabul accusa Islamabad di interferenze.
Per ora la tregua serve solo a fermare il fuoco, ma le radici del conflitto — storiche, etniche e politiche — restano tutte aperte.
Ecuador: violenza e tensione tra proteste e attentati
Martedì scorso la città di Otavalo, nel nord dell’Ecuador, era stata teatro di scontri tra esercito e manifestanti. I blocchi stradali organizzati contro l’aumento del prezzo del diesel hanno provocato decine di feriti e 31 arresti, con 13 soldati feriti da attacchi a Molotov, machete e coltelli.
La Confederazione delle Nazionalità Indigene (CONAIE) ha denunciato repressione e ostacolo all’accesso alle cure mediche, mentre il governo ha inviato 5.000 militari aggiuntivi nella provincia di Imbabura per ristabilire la pace, dichiarata in stato d’emergenza in dieci province.
Otavalo è rimasta praticamente isolata: i blocchi hanno paralizzato commercio e turismo, con perdite giornaliere stimate in circa 2 milioni di dollari.
Le autorità hanno inviato un convoglio con carburante, cibo e medicinali, ma la tensione rimane alta. La CIDH – commissione interamericana per i diritti umani – ha chiesto un dialogo inclusivo e il rispetto dei principi di legalità e proporzionalità nell’uso della forza, mentre le organizzazioni indigene ribadiscono che le proteste sono pacifiche e giuste.
Sempre martedì sera a Guayaquil, un attentato con autobomba ha colpito gli uffici principali di un’azienda della famiglia del presidente Daniel Noboa e un grande centro commerciale.
La deflagrazione ha causato almeno una vittima e due feriti, mentre immagini della zona mostrano un pickup in fiamme e finestre infrante, con panico diffuso tra la popolazione.
Il ministro dell’Interno John Reimberg ha definito l’attacco un “atto terroristico”, sottolineando che un secondo veicolo pieno di esplosivi è stato neutralizzato dalla polizia prima di poter detonare.
Gli ordigni erano di tipo professionale, attribuiti a gruppi criminali che cercano di creare caos. Il governatore di Guayas, Humberto Plaza, ha promesso una risposta severa: “Chi ha perpetrato questo atto terroristico sarà perseguito senza tregua e pagherà l’intero peso della legge”.
In Ecuador, dunque, il Paese affronta una crisi a più livelli: da un lato l’escalation criminale e gli attentati, dall’altro le proteste sociali e indigene contro decisioni economiche controverse, con un governo che giura fermezza e dialogo limitato e una popolazione preoccupata per sicurezza, scarsità di beni e instabilità economica.
Perù, sciopero nazionale contro crisi e insicurezza
Mercoledì 15 ottobre in Perù c’è stata una nuova giornata di mobilitazione sociale.
La cosiddetta Marcha Nacional, promossa dalla Generación Z e da diversi collettivi, punta a denunciare l’aumento della criminalità, la corruzione e la mancanza di risposte del governo e del Congresso.
Le manifestazioni sono iniziate nel pomeriggio a Lima, con concentrazioni previste dalle 16:00, mentre in diverse regioni del Paese i punti di incontro erano attivi già a partire dalla mattina.
Sono almeno 15 le regioni confermate per la protesta: Lima, Chachapoyas, Arequipa, Huancayo, Cusco, Puno, Huaraz, Trujillo, Iquitos, Huánuco, Cajamarca, Ayacucho, Puerto Maldonado, Piura, Chimbote e Ucayali.
Le motivazioni della mobilitazione includono la richiesta di misure urgenti contro violenza e impunità, riforme strutturali del sistema politico e politiche pubbliche per lavoro, giustizia e sicurezza.
Tra i temi sociali e ambientali: contrasto alla mineraria illegale, difesa dell’acqua pubblica e delle aree naturali protette, opposizione alla legge antiforestale 1873, una legge che prevede il cambio d’uso di destinazione del suolo in modo da terre forestali ad agricole in modo facilitato e l’amnistia per la deforestazione illegale preesistente al 2024.
Il settore trasporti mostra posizioni contrastanti: alcune associazioni hanno confermato la partecipazione alla protesta, altre hanno scelto di non aderire. Anche studenti universitari sono in piazza, chiedendo maggiore sicurezza e investimenti nell’istruzione.
Le autorità hanno annunciato operativi di sicurezza e invitano a manifestazioni pacifiche. La giornata è una delle più significative delle ultime settimane, con alta partecipazione cittadina in tutto il territorio nazionale.
Brasile, tre decisioni cruciali per il presidente
Il presidente Luiz Inácio Lula da Silva è rientrato a Brasilia dopo il viaggio a Roma, dove ha partecipato alla Settimana Mondiale dell’Alimentazione e incontrato Papa Leone XIV.
Ora sul tavolo ha tre questioni decisive: la scelta del nuovo giudice della Corte Suprema, il riequilibrio dei conti pubblici per il 2026 e il possibile ingresso del deputato Guilherme Boulos nel governo.
Per la Corte Suprema, Lula deve nominare il successore di Luís Roberto Barroso: il favorito è Jorge Messias, attuale avvocato generale dello Stato, ma restano in corsa anche Rodrigo Pacheco, Bruno Dantas e la giudice Daniela Teixeira.
La cantante Anitta ha rivolto un appello al presidente Luiz Inácio Lula da Silva affinché nomini una donna per il posto vacante alla Corte Suprema lasciato dal ministro Luís Roberto Barroso.
In 134 anni di storia, il Supremo ha avuto 172 giudici, di cui solo tre donne e nessuna nera. Se Lula scegliesse un uomo, il tribunale tornerà ad avere dieci giudici con una sola donna: Cármen Lúcia, nominata da Lula nel 2006.
Anitta ha dichiarato: “Sono sicura che ci siano donne qualificate nel nostro Paese, dove la maggioranza della popolazione è donna. Condivido con tutta la speranza.”
Sul fronte economico, il governo cerca soluzioni dopo la bocciatura della misura provvisoria che avrebbe aumentato le tasse. Lula propone di tassare maggiormente le fintech e di rafforzare i controlli sui sussidi sociali per ridurre le frodi.
Infine, il presidente valuta di nominare Boulos alla Segreteria Generale della Presidenza, incarico strategico nei rapporti con i movimenti sociali — una scelta che però divide la coalizione di governo.
Haiti ristruttura il Consiglio Elettorale mentre cresce la pressione per le elezioni
Ad Haiti, il governo transitorio ha nominato Jacques Desrosiers, giornalista e leader storico dell’Associazione dei Giornalisti Haitiani, come nuovo presidente del Consiglio Elettorale Provvisorio (CEP), sostituendo Patrick Saint-Hilaire.
La ristrutturazione arriva mentre la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, chiede con urgenza un calendario elettorale chiaro.
Il governo ha anche deciso di abbandonare la controversa riforma costituzionale, un progetto costoso e criticato per aver sottratto risorse alle elezioni, concentrandosi ora esclusivamente sull’organizzazione del voto, previsto idealmente entro il 7 febbraio 2026, quando scadrà il mandato transitorio.
Desrosiers ha promesso trasparenza, inclusione e dialogo per rafforzare la fiducia in un sistema elettorale paralizzato da anni di ritardi, corruzione e interferenze politiche.
Tuttavia, non è stato ancora fissato un calendario preciso, suscitando scetticismo tra osservatori politici.
Le sfide restano enormi: circa il 90% della capitale è controllato da gang, e molte zone chiave dell’Artibonite e dell’Ouest sono praticamente inaccessibili, rendendo difficoltosa l’organizzazione di un voto nazionale.
La comunità internazionale ha avvertito che elezioni senza sicurezza e fiducia pubblica potrebbero aggravare la crisi invece di risolverla.
Nonostante l’instabilità, le autorità transitorie insistono sul fatto che le elezioni devono procedere, anche in fasi, per ridare legittimità allo Stato dopo anni di governi non eletti e la morte del presidente Jovenel Moïse nel 2021.
Il nuovo CEP rappresenta un gesto simbolico, ma la comunità haitiana e gli osservatori internazionali guardano con attenzione: il tempo stringe e le prossime mosse potrebbero determinare se Haiti riuscirà a ripristinare fiducia, democrazia e stabilità.
Colpo di stato in Madagascar
Il Madagascar vive una crisi politica senza precedenti. Il presidente Andry Rajoelina è stato deposto da un colpo di Stato guidato da un’unità militare d’élite, la stessa che lo aveva portato al potere nel 2009.
Rajoelina si troverebbe ora in un luogo sicuro, mantenuto segreto per motivi di sicurezza, dopo un presunto tentativo di assassinio.
Il colonnello Mickael Randrianirina, comandante del Capsat, ha annunciato la presa del potere militare, ricevendo il sostegno immediato della Corte Costituzionale. Le altre istituzioni, incluso il Senato e la commissione elettorale, risultano sospese, mentre l’Assemblea Nazionale fedele ai militari resta operativa.
Randrianirina ha promesso la formazione di un nuovo governo e ha assicurato che le elezioni si terranno entro i prossimi 18 mesi o due anni. Ha inoltre dichiarato che i manifestanti giovanili della cosiddetta “Generazione Z” avranno voce nei cambiamenti futuri, sottolineando di aver agito in risposta alle proteste diffuse nel Paese.
La crisi è scoppiata dopo settimane di proteste giovanili contro blackout continui e interruzioni dell’approvvigionamento idrico, che avevano progressivamente indebolito la figura di Rajoelina.
Fonti locali riportano che l’ex presidente potrebbe essere stato evacuato dall’esercito francese e trasferito a Dubai.
A seguito del colpo di Stato, l’Unione Africana ha sospeso il Madagascar da tutte le attività del blocco continentale. Il Consiglio di Pace e Sicurezza dell’UA ha condannato il cambiamento incostituzionale di governo e sollecitato il ripristino della guida civile, ricordando che “lo Stato di diritto deve prevalere sulla forza”.
Il colpo di Stato ha già scatenato proteste di massa e defezioni nelle forze di sicurezza.
Il Madagascar, pur essendo ricco di risorse naturali, resta uno dei Paesi più poveri del continente, con circa il 75% della popolazione sotto la soglia di povertà. La popolazione chiede ora riforme e il ritorno alla normalità politica.
Kenya – muore ex primo ministro
È morto all’età di 80 anni Raila Odinga, ex primo ministro del Kenya e figura storica della politica del Paese. Secondo quanto riportato da diversi media internazionali, Odinga è deceduto in un ospedale in India, dove era ricoverato per cure mediche.
La notizia della sua scomparsa ha portato centinaia di sostenitori a scendere in strada in Kenya per rendergli omaggio.
Leader dell’opposizione per decenni, Odinga si era candidato per la presidenza cinque volte senza mai riuscire a vincere, contestando però i risultati di ogni elezione e guidando nel 2007 proteste che sfociarono in una delle peggiori crisi politiche della storia del Kenya.
Come ricorda Reuters, la sua eredità politica resta legata a due riforme fondamentali: l’introduzione del multipartitismo nel 1991 e la nuova Costituzione del 2010.
Messaggi di cordoglio sono arrivati da tutto il Paese: l’ex presidente Uhuru Kenyatta ha parlato di “un silenzio che riecheggia in tutta la nazione”, mentre l’attuale presidente William Ruto ha fatto visita alla famiglia di Odinga nella loro casa di Nairobi per esprimere personalmente le proprie condoglianze.
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