17 gennaio 2025 – Notiziario Africa

Scritto da in data Gennaio 17, 2025

  • Sudan: l’esercito ha usato armi chimiche
  • Algeria: la violenza dei rimpatri forzati
  • Nigeria: Charity, la giornalista  con 3 milioni di follower che racconta gli stereotipi dell’Africa
  • Svizzera: Art Basel Week

Questo e altro nel notiziario Africa di Radio Bullets, a cura di Elena L. Pasquini

“Le guerre appaiono inevitabili, lo appaiono sempre quando per anni non si è fatto nulla per evitarle”, sosteneva Gino Strada.

È con le sue parole che vogliamo iniziare il notiziario di oggi che ci riporta in Sudan, perché quella guerra, che sta costando la vita ad un incalcolabile numero di persone sta diventando sempre più atroce. Una guerra, come tutte le altre che affliggono il pianeta che non si è fatto nulla per evitare.

Poi, andremo in Algeria, dove continua la violenza dei rimpatri forzati e dove un gruppo di matrice islamista avrebbe rapito un cittadino spagnolo. Quindi saremo in Africa occidentale, in Nigeria e infine in Svizzera, per tornare a parlare di arte, oggi 17 gennaio 2025.

Sudan

Armi chimiche, probabilmente gas cloro. Armi micidiali, capaci di condurre rapidamente alla morte e lasciare danni permanenti ai sopravvissuti, che l’esercito sudanese ha sganciato in aree remote del paese contro i paramilitari delle Rapid Support Forces, contro cui combatte una guerra che va avanti dall’aprile del 2023.

Nel Sudan devastato, la cui conta dei morti, per quanto mai certa, avrebbe raggiunto le 150 mila persone e dove sono 11 mila gli sfollati, in quella che è la più grande crisi umanitaria del mondo, l’impego di armi chimiche è stato rivelato da alcuni funzionari statunitensi, rivelazioni trapelate mentre il governo degli Stati Uniti comminava sanzioni al capo dell’esercito, Abdel Fattah al-Burhan. Esercito accusato di aver commesso atrocità.

Bombardamenti sui civili, fame come arma di guerra, questi i cimini dei militari che si oppongono ai miliziani guidati da Mohamed Hamdan, anche lui sottoposto a sanzioni.

“Sotto la guida di Burhan, le tattiche di guerra (dell’esercito) hanno incluso bombardamenti indiscriminati di infrastrutture civili, attacchi a scuole, mercati e ospedali ed esecuzioni extragiudiziali”, scrive il New Yok Times, riportando le affermazioni del Dipartimento del Tesoro americano. Al-Burhan, sarebbe stato a conoscenza dell’impiego di armi chimiche, che, secondo i funzionati americani, potrebbero essere utilizzate anche su centri abitati.

L’ambasciatore del Sudan negli Sati Uniti nega, accusando invece le RSF di averle utilizzate, RSF che a loro volta gli Stati Uniti accusano di essere gli autori di un genocidio.

L’impiego di armi chimiche era già stato documentato nel 2016 da Amnesty International, che “ha affermato di avere prove credibili di almeno 30 probabili attacchi che hanno ucciso e mutilato centinaia di persone, compresi bambini, nella regione occidentale del Darfur. L’organizzazione ha pubblicato foto di bambini coperti di lesioni e vesciche, alcuni dei quali vomitavano sangue o erano incapaci di respirare”, ricorda ancora il New York Times.

Nel 1993, è stato firmata da 165 Paesi, ma fino ad ora ratificata solo da 65, la convenzione sulle armi chimiche, il trattato per il disarmo di questi strumenti di morte, impiegati per la prima volta nella prima guerra mondiale, che ne proibisce  sviluppo, produzione, acquisizione, detenzione, conservazione, trasferimento e ovviamente l’uso.

Il Sudan è uno degli stati aderenti alla convenzione. Armi facili, per guerre sporche, impiegate in passato in Iraq, in Siria, dai miliziani dell’Isis.

Denuncia e sanzioni arrivano in un momento del conflitto in cui l’esercito sudanese sembra avanzare sul terreno. “Negli ultimi giorni”, prosegue il New York Times, “sono emerse segnalazioni di rappresaglie feroci da parte delle truppe sudanesi contro presunti collaboratori di RSF nella zona, tra cui torture ed esecuzioni sommarie.

Le Nazioni Unite hanno dichiarato di aver avviato delle indagini.

Algeria

Sarebbero oltre 30 mila le persone deportate dall’Algeria al Niger nel 2024, secondo quanto denuncia l’ONG Alarme Phone Sahara, un numero che cresce rispetto all’anno precedente.

Deportazioni di massa, spesso in condizioni disumane che costano la vita a donne, uomini e bambini che dall’Africa subsahariana cercano di raggiungere il Mediterraneo.

Secondo l’ONG, una delle ragioni della crescita è la sempre maggiore “cooperazione tra i paesi del Maghreb, che cercano di rendere sempre più difficile per le persone arrivare dal Niger e continuare il loro viaggio”.

Le forze di scurezza algerine, prosegue Alarme Phone Sahara, conducono raid regolari e arresti di massa “dove i migranti vivono e lavorano”.

“Allo stesso tempo, dal 2023 si è verificato un aumento delle deportazioni a catena, in cui le persone vengono deportate dalla Tunisia, spesso dopo respingimenti via mare, verso il confine algerino, e poi dalle forze di sicurezza algerine al confine con il Niger”.

Le persone sono poi spesso abbandonate ferite e malate. Muoiono cosi, lasciate a se stesse, esauste, scaricate nel deserto. Convogli carichi di esseri umani, lasciati lì come spazzatura,  a marcire e morire.

“Abrogando la legge 2015-036 nel novembre 2023”, scrive ancora l’ONG, “lo Stato del Niger ha compiuto un passo considerevole verso il ripristino della libertà di movimento sulle rotte dell’esilio e della migrazione.

D’altro canto, gli stati del Maghreb, incoraggiati dalle politiche degli stati membri dell’UE, stanno aumentando il numero di arresti, respingimenti e deportazioni di massa.

Con l’obiettivo dichiarato di reprimere l’arrivo di persone sulle rotte transahariane verso il Niger, e in stretto coordinamento con gli attori europei, gli stati di Tunisia, Algeria e Libia hanno lanciato una nuova alleanza del Maghreb nell’aprile 2024.

Il risultato di questa politica è che molti deportati rimangono bloccati in varie località della regione di Agadez, nel nord del Niger, in condizioni precarie. Spesso non hanno i mezzi per proseguire sulla rotta migratoria e anche il ritorno nei paesi di origine risulta difficile”.

Ad Agadez, Arlit e Assamak, ci sono alcuni dei campi dell’Organizzazione Internazionale delle migrazioni. Ma per molti “deportati” è difficile essere accolti per la carenza di posti. Molti sono costretti a vivere per strada “in quelli che sono noti come ghetti dei migranti”.

Tra le mole cose che Alarme Phone Sahara chiede per fermare l’orrore, la fine degli accordi di controllo tra i Paesi delle regioni del Sahel e sahariana e i Paesi dell’Unione Europea.

Secondo i dati forniti da Alarme Phone Sahara, sono almeno 11606 le persone deportate da Algeria e Niger tra il 14 agosto e il 31 dicembre 2024, ma il numero reale è molto più grande.

Sarebbe un cittadino spagnolo, l’uomo rapito il 14 gennaio nel sud dell’Algeria, nei pressi di Tamanrasset, secondo quando riporta Radio France Internazionale e sarebbe stato portato nel vicino Mali. “Il rapimento non è stato rivendicato, ma fonti contattate da RFI accusano la branca del Sahel del gruppo jihadista Stato islamico”.

Il rapimento sarebbe avvenuto martedì sera, uomini armati lo avrebbero caricato su un camioncino insieme ad altri algerini che sono stati invece rilasciati, secondo le fonti di RFI.

Sono incorso indagini per verificare le indiscrezioni della stampa. “A RFI è stato trasmesso il nome di un uomo sulla sessantina, ma non è stato possibile verificare sufficientemente la sua identità e le ragioni del suo soggiorno”.

L’uomo sarebbe stato sequestrato in una zona in cui si sconsiglia di viaggiare, tra i Monti Hoggar e il Parco Culturale Nazionale Ahaggar, in quella terra di confine con il Mali dove è forte la presenza di del gruppo di matrice islamista vicino ad al-Quaeda, il Jnim (Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani), anche se le fonti della testata francese ritengono il rapimento condotto dal gruppo rivale, il ramo saheliano dello Stato islamico. Un’incursione, scrive RFI, che equivarrebbe quasi ad “un colpo di stato” nel regno di Jnim.

Per molti anni non si erano verificati rapimenti in Algeria, dove nel 2011 erano stati rapiti due operatori umanitari e un italiano, nel 2014 un turista francese che viaggiava nella zona del massiccio del Djurdjura e che fu poi giustiziato da un gruppo affiliato allo Stato Islamico.

Nel 2013, invece, fu un gruppo vicino ad al-Qaeda, a sequestrare i dipendenti della compagnia energetica, Amenas. “L’evento si è concluso con un assalto militare. Morirono quasi quaranta dipendenti di varie nazionalita”, ricorda RFI.

Africa Occidentale

Sono state arrestate oltre 200 persone coinvolte nell’attività minerarie illegale in Africa Occidentale. Un’operazione transfrontaliera, l’operazione Sanu, condotta dall’INTERPOL tra il luglio e l’ottobre 2024, in Burkina Faso, Gambia, Guinea e Senegal “ha portato al sequestro di ingenti quantità di sostanze chimiche e attrezzature utilizzate nell’attività mineraria illegale: 150 kg di cianuro, 325 kg di carbone attivo, 14 bombole di mercurio per un valore stimato di oltre 100.000 dollari, 20 litri di acido nitrico e due contenitori da 57 litri di acido solforico. Sono stati sequestrati anche 10 chilogrammi di cocaina e circa 7.000 dispositivi esplosivi”, si legge su un comunicato dell’INTERPOL.

Centinaia di agenti sono stati schierati in aree remote e isolate per seguire le rotte criminali lungo cui i minerali lasciano illegalmente i pesi.

Un costo umano altissimo, quello pagato dai minatori che scavano in condizioni pericolose e durissime. Nel corso dell’operazione, spiega l’Interpol, sono state sequestrate “grandi quantità di compresse antidolorifiche oppioidi, comunemente utilizzate dai minatori della regione per alleviare il dolore causato dall’uso di sostanze chimiche come mercurio e cianuro nell’estrazione illegale di oro su piccola scala. Queste sostanze chimiche possono avere gravi effetti tossici sul sistema nervoso umano”.

I danni delle attività minerarie sono incalcolabili anche per l’ambiente: deforestazione, frane, deviazione del corso dei fiumi, “che porta a siccità o inondazioni, nonché al suo impatto sulle economie e sulle comunità della regione”.

“Le reti criminali transnazionali sfruttano le risorse minerarie in tutto il mondo, danneggiando l’ambiente, danneggiando le economie nazionali, indebolendo le comunità fragili e mettendo a repentaglio la salute e la sicurezza pubblica”, ha detto Valdecy Urquiza, il segretario generale dell’Interpol.

Un’operazione che si è concentrata in particolare sulle miniere d’oro in Guinea – è stato anche sequestrato mercurio per un valore di 100 mila dollari, sostanza utilizzata nell’estrazione dell’oro, estremamente pericolosa e inquinante. Indagini anche nelle cave di sabbia in Gambia, “con incursioni in diverse località del Kombo e nella regione della fascia costiera meridionale, che hanno portato a sette arresti e al sequestro di attrezzature minerarie e camion carichi di sabbia e ghiaia.

L’operazione è stata la prima di questo tipo di azione in Gambia ed è stata anche un’opportunità per le autorità di comprendere meglio come sono organizzati l’estrazione illegale di sabbia e il commercio.

L’estrazione illegale di sabbia ha registrato livelli senza precedenti negli ultimi anni e rappresenta una grave minaccia per l’ambiente e per i mezzi di sostentamento e le condizioni di vita delle comunità locali”, scrive Radio France Internationale.

Nigeria

 Lei si chiama Charity Ekezie ed è una giornalista in Nigeria ma ha raggiunto di 3,3 milioni di followers su Tsu TikTok e quasi 600 mila su Instagram  raccontato con humor gli stereotipi con cui il mondo guarda all’Africa.

Fa parte di quelle  “giovani voci africane che stanno guadagnando popolarità sui social media in tutto il mondo, utilizzando queste piattaforme per la comicità e il dibattito politico”, scrive su The Conversation Rowland Chukwuemeka Amaefula professore presso il Diipartimento di Arti teatrali, alla Alex Ekwueme Federal University di Ndufu-Alike.

Charity è una studentessa nigeriana che ha iniziato a realizzare video durante il lockdown per la pandemia di al COVID-19.

Aveva iniziato Facebook e YouTube. È diventata virale con un video che raccontava gli abiti culturali di diversi paesi africana. Virale per via degli attacchi “​​di non africani che deridevano la sua origine africana”, racconta il professor Amaefula.

“Hanno posto domande che suggerivano che l’Africa è un continente (anche se alcuni pensavano che fosse un paese) carente di risorse, tecnologia e comfort moderni”.

Più domande le venivano poste, più visualizzazioni il video otteneva. Oggi pubblica sketch che rispondono in modo ironico alle domande reali che le vengono poste da chi non è africano.

“Alla domanda se ci siano caramelle in Africa, per esempio, risponde che, in effetti, non ce ne sono: gli africani baciano le api e succhiano il loro miele quando vogliono qualcosa di dolce da mangiare. Lo fa in piedi davanti a un tavolo pieno di caramelle e ne mangia un po’”, racconta ancora.

“Fornisce spiegazioni esilaranti su come gli africani possano avere un buon odore senza profumo, convivere con animali selvatici, bere saliva al posto dell’acqua o percorrere lunghe distanze a piedi”.  Ekezie usa il sarcasmo come strumento principale per sfidare gli stereotipi negativi. Il professor Amaefula ha analizzatto il lavoro di Ekezie su TikTok.

“Le azioni di Ekezie – spiega – sono importanti perché interrompono gli sforzi consapevoli di demonizzare l’Africa e gli africani. Quando attacchi così sconsiderati o ignoranti rimangono senza risposta, si irrigidiscono in ritratti mainstream.

Questi ritratti semplificano la complessità della vita nei paesi africani e riducono gli esseri umani a stereotipi. A giudicare dalle loro risposte, molti dei non africani che interagiscono con Ekezie non sanno nemmeno che l’Africa non è un paese”.

Il suo studio conferma che i contenuti veicolati sui social possono contribuire in modo significativo agli sforzi di decolonizzazione culturale.

Ekezie è una delle voci, sempre più numerose, che pubblicano contenuti panafricani sui social media, “molte delle voci principali sono quelle delle donne africane”, spiega ancora Amaefula. “Queste nuove star di TikTok propongono prospettive spiccatamente politiche che contrastano le diffuse rappresentazioni e proiezioni negative sull’Africa e affermano la creatività, la gioia e la complessità della vita africana”.

Arte

Per una settimana, a Basilea, l’arte contemporanea africana si mostrerà in tutto il suo dinamismo e la sua diversità, dal 17 al 22 di giungo, Africa Basel.

Non una settimana qualunque, ma la settimana in cui nella città svizzera va in scena la più prestigiosa fiera internazionale d’arte contemporanea al mondo, l’Art Basel Week.

Una fiera, che nell’intenzione degli organizzatori, vuole promuovere il dialogo tra “gallerie, collezionisti, artisti e appassionati d’arte e aiutare a rendere ancora più forte l’interesse globale per l’arte africana”.

Fondata da Benjamin Füglister e Sven Eisenhut-Hug, Africa Basel si pone l’ambizioso obiettivo di “ridefinire il modo in cui l’arte africana è posizionata e percepita all’interno del dialogo culturale globale”, scrive Art Africa Magazine, in una lunga intervista a Benjamin Füglister.

“La fiera sottolinea l’importanza di curare un impegno sostenibile e promuovere una comprensione più profonda delle narrazioni artistiche del continente”, spiega Füglister che ritiene fondamentale “sostenere il meglio che emerge dal continente e metterlo in mostra nelle location più significative del circuito artistico”, proprio dopo due anni in cui il mercato ha visto un rallentamento, “con alcuni nomi africani speculativi crollati sul mercato”.

La nomina della camerunense Koyo Kouoh a curatrice della Biennale di Venezia per il 2026, la prima curatrice africana nella storia della Biennale, e altri importati nomi chiamati in prestigiosi allestimenti internazionali “segnano un momento di trasformazione per l’arte africana.

Questi leader stanno rimodellando la narrazione artistica globale, portando in primo piano le prospettive africane e della diaspora africana in modi che sfidano gli stereotipi ed espandono la comprensione dell’arte contemporanea”, spiega ancora Füglister.

“Promuovendo un clima di impegno rigoroso ed eccellenza artistica, Africa Basel può costruire sulle fondamenta gettate da questi pionieri, assicurando una presenza sostenibile e significativa per l’arte africana sulla scena internazionale”, aggiunge.

La fiera vuole garantire che venga rappresentata una pluralità di voci, dai nomi già affermati a quelli già emergenti, con l’intento di “diventare una pietra angolare del calendario artistico globale”.

Le candidature per le gallerie sono aperte fino al 31 gennaio 2025. Contatta  application@africabasel.com

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