Gaza: il respiro di un bambino
Scritto da Radio Bullets in data Novembre 29, 2024
GAZA – L’aria è pesante nel reparto di terapia intensiva pediatrica del Patient-Friendly Hospital di Gaza, un bambino giace immobile su un letto per adulti.
Il suo nome non ha importanza
La storia di questo bambino è scritta sul suo corpo. Ha 13 anni, ridotto alla fragilità di un neonato. Un tubo per tracheostomia gli sporge dalla gola, legandolo al ventilatore meccanico che lo fa respirare.
Quel ventilatore, che ronza monotonamente, è uno dei soli tre presenti nell’unità, condiviso tra pazienti pediatrici e neonatali. Le risorse sono così limitate che nessuno si stupirebbe se cedessero da un momento all’altro.
La vita cambiata in un istante
Un frammento di scheggia ha squarciato l’aria, tagliando la terza vertebra cervicale come una lama attraverso il vetro.
La quadriplegia è il risultato di una guerra di cui non ha mai chiesto di far parte. Una punizione per essere nato nel pezzo di terra sbagliato.
Fissa le piastrelle del soffitto macchiate, senza battere ciglio, senza piangere. Mi chiedo se sappia cosa stia accadendo. Sente il peso della sua condizione? I medici non possono dirlo con certezza.
È intrappolato nel suo corpo, prigioniero della sua ferita, un bambino in un luogo dove per lui non c’è futuro.
Questa terapia intensiva non è una soluzione a lungo termine. In uno dei pochi ospedali che ancora arrancano nel nord di Gaza, è una sala d’attesa glorificata e il tempo scorre inesorabile.
Ogni giorno arrivano nuovi pazienti. Neonati che boccheggiano, bambini con sepsi, altri bambini dilaniati da schegge o schiacciati da detriti. Ogni caso ci ricorda che non abbiamo abbastanza ventilatori. Non abbiamo abbastanza mani. Non abbiamo abbastanza speranza.
Nella Striscia non ci si può curare
Ha bisogno è un trasferimento – urgente – in una struttura in grado di gestire un bambino nel suo stato, che non stia annegando nei propri limiti. Un posto con una riabilitazione dedicata, un supporto respiratorio a lungo termine e un’ampiezza di banda tale da poterlo curare.
Ma a Gaza i trasferimenti sono miracoli e i miracoli scarseggiano in questo mondo. Le evacuazioni mediche dalla Striscia di Gaza, specialmente per un caso come questo, rimangono un sogno. Bambini che non sognano più di giocare, ma solo di continuare a respirare. O di camminare. O di avere ancora i propri genitori con sé. O anche solo una parola che dica che si sta facendo tutto il possibile per aiutarli.
Il personale qui a Gaza combatte battaglie che sa di non poter vincere. Aspirano le vie respiratorie del bimbo. Monitorano i suoi parametri vitali. Regolano le impostazioni del ventilatore, sapendo che ogni ora che passa per lui è un’ora che non passa per qualcun altro.
Un neonato in difficoltà respiratoria potrebbe morire da un momento all’altro perché non c’è un ventilatore per lui o lei.
Solo tre ventilatori a Gaza City
In questi giorni difficili a Gaza City ci sono solo tre ventilatori disponibili per i neonati che hanno bisogno di cure intensive, di questi tre ventilatori uno è occupato da questo bambino quadriplegico.
Prima del conflitto, l’ospedale El Shifa aveva il più grande reparto di terapia intensiva neonatale della Striscia di Gaza, con cinquanta incubatrici complete di tutte le attrezzature per la terapia intensiva. Ma è stato distrutto. Bombardato, ferito, violato, come le persone, come i medici, come gli operatori sanitari, come i civili.
Come questo bambino, la cui battaglia per la vita era appena iniziata e ha già perso molto. Che vita l’aspetta, legato alle macchine, dipendente da cure che questo posto non può fornire? Il mondo fuori dal reparto di terapia intensiva potrebbe essere un altro pianeta.
All’interno, è una lenta marcia verso decisioni che nessuno vuole prendere. Ogni bip del ventilatore è un promemoria: qualcosa deve cedere. E a Gaza sono sempre i bambini a cedere per primi.
Questa storia arriva da Gaza, Radio Bullets è a conoscenza dell’autore. Per ragioni di sicurezza deve restare anonimo.
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