17 ottobre 2025 – Notiziario Mondo

Scritto da in data Ottobre 17, 2025

  • Israele e Palestina: Trump minaccia Hamas: “Se non si disarma, li uccideremo”.
  • Yemen: ucciso il capo di stato maggiore degli Houthi in un raid israeliano.
  • Kenya: caos e morti ai funerali di Raila Odinga.
  • Perù: un morto e decine di feriti nelle proteste contro il nuovo presidente Jeri.
  • Trump e Putin verso un vertice a Budapest per fermare la guerra in Ucraina, ucciso un giornalista.

Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli e con Elena Pasquini in collegamento dal Libano.
Introduzione: Quando il mare tace, la verità continua a navigare

Sono passati dieci giorni.
Dieci giorni da quella cella israeliana dove ci hanno chiamati terroristi, da quella flotilla che voleva soltanto portare aiuti, dignità e verità a Gaza.
Dieci giorni da quando il mare si è chiuso alle nostre spalle, e noi — con le nostre ferite, visibili o nascoste — siamo tornati alle nostre vite. Ma non si torna mai davvero dopo aver guardato in faccia l’ingiustizia.

Ci mancano i compagni di barca, quelli che hanno condiviso il vento e la paura.
Ci mancano i compagni di cella, che nel buio hanno trasformato la rabbia in resistenza.

Eppure non possiamo abbassare la guardia.
Perché quella che chiamano pace non è pace: è solo una pausa tra un bombardamento e l’altro, tra una menzogna e una resa.
A Gaza si continua a morire, e noi che siamo tornati abbiamo il dovere di non dimenticare.

Grata — profondamente — alle mie colleghe e amiche di Radio Bullets, che hanno tenuto viva la voce, la baracca, la memoria.
Perché anche quando il mare tace, la verità deve continuare a navigare.

Israele e Palestina

Il presidente americano Donald Trump ha lanciato un duro avvertimento a Hamas, minacciando un intervento “per eliminarli” se continueranno le violenze interne a Gaza dopo il recente cessate il fuoco e l’accordo sugli ostaggi.

In un post su Truth Social, Trump ha scritto: “Se Hamas continua a uccidere persone a Gaza, cosa che non era parte dell’accordo, non avremo altra scelta che entrare e ucciderli”. Successivamente, però, ha chiarito che gli Stati Uniti non invieranno truppe: “Non saremo noi, ma altri molto vicini lo faranno, sotto la nostra supervisione.”

Il riferimento implicito sarebbe a Israele, ma un suo intervento violerebbe i termini della tregua. Trump, che finora aveva minimizzato la violenza interna a Gaza, ha cambiato tono affermando che “Hamas deve disarmarsi, altrimenti lo faremo noi, rapidamente e forse con la forza”.

Intanto Hamas è sotto pressione per non aver ancora consegnato i corpi di 19 ostaggi come previsto dall’accordo. Israele accusa il gruppo di violazione della tregua, mentre Hamas afferma di aver restituito tutti i resti in suo possesso e di aver bisogno di “mezzi speciali” per localizzare gli altri.

■ RILASCIO DEGLI OSTAGGI: Il ritardo di Hamas nel restituire i corpi di alcuni ostaggi a Israele non sta influenzando i lavori sulla seconda fase dell’accordo di cessate il fuoco sostenuto dagli Stati Uniti, hanno affermato funzionari stranieri coinvolti nei negoziati.

Un alto funzionario israeliano ha dichiarato ad Haaretz che Israele ha fornito informazioni di intelligence ai mediatori per aiutarli a localizzare i corpi.

Commentando il ritardo, un alto consigliere statunitense ha affermato: ” Non siamo ancora al punto in cui riteniamo che l’accordo sia stato violato “, aggiungendo che se la questione non verrà risolta, verrà considerata una violazione.

I corpi dei due ostaggi trasferiti da Hamas mercoledì sera sono stati identificati come Inbar Haiman e Muhammad al-Atrash.

■ Hamas ha affermato di aver consegnato tutti “ i corpi che siamo riusciti a raggiungere “, aggiungendo che il recupero dei corpi rimanenti “richiede sforzi significativi e attrezzature speciali”.

Un consigliere statunitense ha affermato che gli Stati Uniti intendono offrire una ricompensa finanziaria come incentivo agli abitanti di Gaza che contribuiranno a localizzare i corpi che devono ancora essere restituiti.

I consulenti statunitensi hanno affermato che la Turchia ha messo a disposizione un team di 80 esperti con esperienza nel recupero post-terremoto per aiutare a riportare le salme.

L’Hostages and Missing Families Forum ha chiesto al governo di sospendere l’attuazione del cessate il fuoco finché Hamas ” continuerà a violare il suo ruolo nel restituire tutti gli ostaggi caduti ” .

■ PIANO DI TRUMP PER IL CESSATE IL FUOCO: I consiglieri statunitensi hanno delineato la seconda fase del piano per Gaza, chiedendo un’amministrazione palestinese apolitica e tecnocratica, composta da candidati qualificati della diaspora.

Il piano dà priorità alla protezione dei civili, alla ricostruzione e alla creazione di forze di sicurezza locali nelle aree liberate dal controllo di Hamas.

I consulenti hanno sottolineato la creazione di zone sicure per i civili a rischio dietro la “linea gialla” – la linea di ritiro delle IDF prevista dall’accordo – per proteggere la popolazione di Gaza e consentire la distribuzione degli aiuti.

La ricostruzione e gli aiuti finanziari non entreranno nelle aree ancora sotto il controllo di Hamas.

■ GAZA: Il Ministero della Salute guidato da Hamas ha dichiarato che quattro palestinesi sono stati uccisi dal fuoco delle IDF ieri. Secondo il Ministero, 67.967 persone sono state uccise nella Striscia dall’inizio della guerra.

Almeno due persone sono state uccise in un attacco di droni israeliani a Gaza, hanno dichiarato giovedì i medici palestinesi. Le IDF hanno dichiarato che la segnalazione è in fase di indagine.

L’incertezza sul cessate il fuoco sta creando confusione tra le truppe israeliane , hanno detto i soldati ad Haaretz. Secondo un ufficiale, i soldati possono vedere dai posti di osservazione che membri armati di Hamas stanno sparando ai palestinesi che cercano di resistere – o che sono sospettati di aiutare Israele – ma hanno ricevuto l’ordine di non intervenire.

L’ufficiale ha affermato che i soldati hanno l’ordine di non attaccare i membri di Hamas a meno che non oltrepassino la “linea gialla”.

Il Ministero degli Esteri israeliano sostiene l’ingresso di giornalisti stranieri a Gaza dopo la fine dei combattimenti , ha dichiarato una fonte ad Haaretz.

Le testate giornalistiche straniere chiedono sempre più l’ingresso e i funzionari israeliani comprendono che sarà difficile impedire loro di coprire la situazione a Gaza.

Il Coordinatore delle Attività Governative nei Territori, l’agenzia governativa israeliana che attua la politica civile in Cisgiordania e a Gaza, ha affermato che sono in corso i preparativi con l’Egitto per riaprire il valico di Rafah al movimento delle persone , la cui data sarà annunciata.

Israele aveva precedentemente avvertito che avrebbe potuto mantenere Rafah chiuso e ridurre gli aiuti a causa del ritardo nel rilascio dei corpi degli ostaggi.

Il COGAT ha affermato che gli aiuti umanitari non sarebbero passati da Rafah, ma che avrebbero continuato a entrare attraverso il valico di Kerem Shalom e altri valichi.

CISGIORDANIA: Un bambino palestinese di 11 anni, Mohammad Bahjat Al-Hallaq, è stato dichiarato morto dopo che le forze israeliane hanno aperto il fuoco nel villaggio di Al-Rihiya, a sud di Hebron.

Lo scrive l’agenzia palestinese Wafa secondo cui i soldati israeliani avrebbero sparato proiettili veri contro un gruppo di bambini che stavano giocando a calcio nel cortile della scuola secondaria femminile di Al-Rihiya.     Al-Hallaq era uno studente di quarta elementare.

■ ISRAELE: Durante una cerimonia commemorativa per i soldati uccisi in guerra, il Primo Ministro Netanyahu ha respinto le accuse secondo cui Israele avrebbe commesso un genocidio a Gaza.

“Due anni fa, abbiamo ricevuto una scioccante illustrazione dell’espressione ‘genocidio’. Non sto parlando di un genocidio fittizio, del tipo di quello che viene scagliato nei complotti antisemiti diretti contro di noi “, ha detto Netanyahu.

E ora abbiamo Elena Pasquini in collegamento dal Libano

La notte del Libano è stata illuminata a giorno ed è rimasta a lungo con il fiato sospeso. Israele ha sferrato violenti attacchi nel Sud del Paese, uno dopo l’altro, vicini, senza sosta. Almeno sette i feriti. Un morto, sempre ieri, nella valle della Bekaa.

Già nel primo pomeriggio, un drone e un aereo da caccia, avevano bombardato il villaggio di Bnaafoul, nella regione di Nabatieh. Non lontano, c’è una scuola pubblica, accanto delle abitazioni. Poi, è stato il turno di Kawthariyet al-Siyyad, Ali Taher, Dabbash, Deir Antar, Blida, dell’artiglieria dalla collina occupata di Tallet Hamames e da Jabal Blat.

E quindi è arrivata la notte: almeno otto attacchi nella zona tra Ansar e Sinai. Nomi di villaggi, piccoli centri, sottoposti a un costante stillicidio, nonostante il cessate il fuoco, e da cui si cerca, chi può, di scappare.

Avichay Adraee, portavoce dell’esercito israeliano per i media arabi, ha dichiarato su X, che i bombardamenti hanno preso di mira infrastrutture che Hezbollah starebbe utilizzando per ricostruire la propria potenza militare. Colpita anche una ONG ambientalista, Green Without Borders, sanzionata dagli Stati Uniti.

La giustificazione per i bombardamenti che hanno terrorizzato una popolazione sfinita e traumatizzata, colpendo anche strutture civili, recita sempre nello stesso modo: Hezbollah sta “cercando di sfruttare le infrastrutture civili libanesi per ricostruire le sue capacità terroristiche in declino”, dice Adraee.

“Le IDF operano contro elementi legati a Hezbollah, appaltatori, ingegneri, imprenditori e elementi locali” che farebbero accordi con il Partito di Dio. Anche nella valle della Beeka, a Shmustar, la stessa motivazione.

Il presidente della Repubblica, Joseph Aoun considera gli attacchi di questa notte parte di una politica sistematica per distruggere infrastrutture produttive, ostacolare la ripresa e minare la stabilità nazionale con falsi pretesti di sicurezza.

Un’escalation che non rispetta né la risoluzione dell’ONU né l’accordo di cessate il fuoco con Hezbollah.

“Conferma come Israele continua a violare i suoi obblighi internazionali e a usare la forza al di fuori di qualsiasi quadro giuridico o mandato internazionale, il che richiede una posizione internazionale per porre fine a queste riprovevoli violazioni”, si legge sull’account X della presidenza della Repubblica libanese.

Nei giorni precedenti, c’erano stati altri raid, attacchi multipli e auto incenerite, mentre a Beirut, mercoledì, è tornato a farsi sentire, forte, sulle nostre teste, il rumore inquietante dei droni.

Siria

Per due decenni, e per tutti i 13 anni di guerra civile che hanno causato la morte di mezzo milione di persone, il dittatore siriano Bashar al-Assad ha fatto affidamento su una rete di scagnozzi per sostenere il suo governo, scrive Christiaan Triebert , reporter del team Visual Investigations del New York Times.

Questi uomini hanno torturato civili. Hanno costruito e usato armi chimiche. Hanno gestito farmaci che hanno contribuito a finanziare il governo.

 Hanno ordinato il bombardamento di ospedali. E quando il regime è caduto nel dicembre 2024, molti di loro sono semplicemente scomparsi. Il Times ha deciso di scoprire le prove delle loro azioni e scoprire dove potrebbero essere ora: in Russia, per esempio, o a tramare vendetta dal Libano.

Hanno scovato frammenti di informazioni – una foto di una lussuosa casa a Damasco pubblicata su una pagina Facebook di quartiere, il nome di un piccolo villaggio menzionato in un documento sulle sanzioni, un numero di telefono con prefisso internazionale russo condiviso con discrezione con i giornalisti – e hanno aggiunto il lavoro giornalistico di lettura di atti legali, bussando alle porte e chiamando amici, familiari e colleghi.

 Hanno letto come i funzionari sono riusciti a fuggire , incluso il volo nel cuore della notte che ha portato via molti di loro.

Yemen

In Yemen, il movimento Houthi ha annunciato la morte del suo capo di stato maggiore, Mohammed al-Ghamari, insieme al figlio tredicenne. Secondo la dichiarazione del gruppo, entrambi sono rimasti uccisi durante “la battaglia d’onore contro il nemico israeliano”.

Israele ha confermato che al-Ghamari è morto per le ferite subite in un raid aereo su Sana’a lo scorso agosto, in cui erano stati colpiti anche il primo ministro e altri ministri del governo Houthi.

Il premier Netanyahu ha commentato: “Raggiungeremo tutti i capi del terrore che cercano di colpirci”.

Gli Houthi, sostenuti dall’Iran e padroni del nord-ovest del paese, attaccano da mesi Israele e le navi nel Mar Rosso in “solidarietà con Gaza”. Nella loro nota, hanno promesso vendetta e assicurato che “i giri del conflitto non sono finiti”.

Da quando è entrata in vigore la tregua a Gaza, non si registrano nuovi attacchi Houthi contro Israele.

Kenya

In Kenya, almeno quattro persone sono morte e decine sono rimaste ferite a Nairobi, quando le forze di sicurezza hanno sparato e lanciato lacrimogeni per disperdere la folla che cercava di entrare nello stadio Kasarani, dove era esposta la salma dell’ex primo ministro Raila Odinga.

Le immagini in diretta della presidenza keniota, trasmesse su X e YouTube, hanno mostrato momenti di panico e colpi d’arma da fuoco mentre migliaia di persone cercavano di avvicinarsi al feretro del leader dell’opposizione, morto mercoledì in India per un arresto cardiaco durante un trattamento in un ospedale ayurvedico.

Già all’arrivo della salma, migliaia di sostenitori avevano preso d’assalto l’aeroporto internazionale Jomo Kenyatta, arrampicandosi persino su aerei fermi sulla pista per vedere l’aereo di Kenya Airways che trasportava il corpo del politico, figura storica della lotta democratica in Kenya. Il governo ha promesso un’inchiesta sulle violenze.

Madagascar

Il colonnello Micheal Randrianirina, che ha preso il potere con un colpo di stato in Madagascar, ha dichiarato di essere aperto al dialogo con l’Unione Africana, che ha sospeso il Paese dopo la destituzione del presidente Andry Rajoelina.

Randrianirina sarà insediato come presidente venerdì davanti alla Corte Costituzionale di Antananarivo, mentre l’ONU ha condannato il cambio di potere definendolo “incostituzionale” e chiedendo un ritorno allo stato di diritto.

Rajoelina, fuggito all’estero per timore di un attentato, ha a sua volta condannato la presa di potere militare, nata da settimane di proteste giovanili e ammutinamenti che ne chiedevano le dimissioni.

Grecia

In Grecia, il Parlamento ha approvato una legge che consente ai datori di lavoro del settore privato di estendere la giornata lavorativa fino a 13 ore, rispetto alle attuali otto.

Il governo sostiene che la misura renderà il mercato del lavoro più flessibile, ma i sindacati denunciano un grave passo indietro nei diritti dei lavoratori.

La norma permette turni prolungati per un massimo di tre giorni al mese, fino a 37 giorni l’anno, e tutela i dipendenti che rifiutino gli straordinari. Tuttavia, i sindacati avvertono che, in un Paese con salari stagnanti e diffuso lavoro nero, i lavoratori avranno ancora meno potere di contrattazione.

Il disegno di legge introduce anche maggiore libertà per i contratti a breve termine e la possibilità di lavorare quattro giorni a settimana per tutto l’anno, previo accordo.

Ma nelle piazze di Atene e Salonicco è esplosa la rabbia: due scioperi generali in un mese contro una misura vista come una minaccia alla dignità e ai diritti del lavoro.

Francia

In Francia, il primo ministro Sébastien Lecornu è sopravvissuto a due mozioni di sfiducia che avrebbero potuto far cadere il suo fragile governo e spingere il paese in una nuova crisi politica.

Le mozioni, presentate dalla sinistra radicale di France Insoumise e dall’estrema destra di Marine Le Pen, sono state respinte: la prima per soli 18 voti di scarto, la seconda con un margine più ampio.

La sopravvivenza di Lecornu evita per ora al presidente Emmanuel Macron di sciogliere l’Assemblea nazionale e convocare nuove elezioni.

Ma il premier dovrà ora affrontare la difficile approvazione del bilancio 2026 e cercare compromessi su riforme impopolari, come quella delle pensioni. La sua maggioranza resta precaria e nuovi voti di sfiducia non sono esclusi.

Stati Uniti e Russia

Il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato che incontrerà il presidente russo Vladimir Putin a Budapest, su invito del premier ungherese Viktor Orbán, per discutere di una possibile fine della guerra in Ucraina.

La decisione è arrivata dopo una telefonata di due ore e mezza, definita “lunga e produttiva” da Trump, che ha detto di aver voluto agire rapidamente “grazie al suo rapporto con Putin”. La chiamata — avvenuta su richiesta di Mosca — precede di un giorno l’incontro del leader americano con Volodymyr Zelensky a Washington.

Trump ha dichiarato che il summit mira a fermare la “guerra ingloriosa” in Ucraina, ispirandosi al successo del recente cessate il fuoco a Gaza da lui mediato.

Tuttavia, dopo il colloquio con Putin, ha espresso riserve sull’invio di missili Tomahawk a Kyiv, sostenendo che “anche gli Stati Uniti ne hanno bisogno” e che si tratta di “armi offensive e incredibilmente distruttive”.

Zelensky ha interpretato l’apertura di Mosca come segno di nervosismo: “Appena sentono parlare di Tomahawk, corrono a negoziare.”

Al contrario, l’opposizione democratica a Washington accusa Trump di legittimare Putin senza ottenere nulla in cambio. La senatrice Jeanne Shaheen ha detto che il presidente “sta ripetendo gli errori del passato, evitando di armare l’Ucraina fino ai denti e permettendo a Putin di guadagnare tempo”.

Secondo Trump, Putin avrebbe ringraziato Melania Trump per il suo impegno nel favorire il ritorno di alcuni bambini ucraini deportati in Russia: otto sarebbero già tornati alle loro famiglie.

I due leader avrebbero inoltre discusso di future relazioni commerciali tra USA e Russia, condizionate alla fine del conflitto.

Il vertice di Budapest sarebbe il primo viaggio di Putin in una capitale dell’UE dal 2022, reso possibile dal recente annuncio dell’Ungheria di voler uscire dalla Corte Penale Internazionale, che ha emesso un mandato d’arresto contro il leader russo. Orbán, alleato di entrambi i presidenti e in difficoltà politica, potrebbe così ottenere un colpo mediatico in vista delle elezioni.

In attesa di una data ufficiale, l’incontro tra Trump e Putin promette di ridisegnare — o di congelare ancora una volta — le speranze di una vera pace in Ucraina.

Il corrispondente di guerra russo Ivan Zuyev è stato ucciso giovedì da un attacco di droni ucraini nella regione di Zaporizhzhia, nel sud dell’Ucraina, mentre era in missione per l’agenzia statale RIA Novosti. Un suo collega, Yuri Voitkevich, è rimasto gravemente ferito.

Zuyev, premiato più volte per il suo lavoro, era stato recentemente ringraziato dal presidente Vladimir Putin. Deputati della Duma hanno accusato Kiev di “cacciare sistematicamente i giornalisti russi”.

All’inizio del mese, un drone russo aveva ucciso il fotoreporter francese Antoni Lallican, il primo caso del genere. Dall’inizio dell’invasione russa nel 2022, almeno 18 giornalisti sono morti nella zona di conflitto.

Stati Uniti

Negli Stati Uniti, un’improvvisa stretta sulla libertà di stampa al Pentagono ha scatenato un vero terremoto mediatico. Le principali testate americane e internazionali – dal New York Times alla BBC, da Reuters a CNN – hanno restituito i loro accrediti in segno di protesta contro una nuova direttiva che impone a giornalisti e reporter di ottenere l’autorizzazione ufficiale prima di pubblicare qualsiasi informazione raccolta da fonti del Dipartimento della Difesa, anche se non classificata.

La misura, lunga 21 pagine, prevede persino la revoca del tesserino per chi ponga domande “non autorizzate”, un fatto che le associazioni di stampa definiscono “uno dei peggiori colpi alla trasparenza democratica degli ultimi decenni”.

Il risultato è stato un vero e proprio media walkout: le sale stampa del Pentagono sono ora deserte.
Un precedente pericoloso, che rischia di indebolire la credibilità di Washington come difensore della libertà di stampa e di offrire un alibi ai regimi autoritari nel mondo per nuove restrizioni all’informazione.

L’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump, John Bolton, è stato incriminato negli Stati Uniti per violazione dell’Espionage Act: avrebbe condiviso informazioni riservate con la moglie e la figlia per un libro.

L’accusa riguarda oltre mille pagine di appunti presi durante incontri con leader stranieri e briefing di intelligence.

Bolton nega ogni illecito e parla di “abuso di potere” da parte dell’amministrazione Trump. È la terza incriminazione in poche settimane contro un critico del presidente, dopo James Comey e Letitia James, alimentando accuse di uso politico della giustizia.

Caraibi

Gli Stati Uniti avrebbero colpito un’altra presunta imbarcazione di narcotrafficanti nel Mar dei Caraibi, il sesto attacco dallo scorso mese. Sarebbe la prima volta con dei sopravvissuti, due o tre persone ora ricercate dai soccorsi americani. Finora 27 persone sono morte in questi raid, ma le identità restano poco chiare.

Tra le vittime, potrebbe esserci Chad Joseph, 26 anni, pescatore di Trinidad e Tobago, che secondo la famiglia non aveva nulla a che fare con il traffico di droga.

Washington definisce però tutti i morti “narcoterroristi maschi”.

Le operazioni, condotte dal Comando Sud degli Stati Uniti, sono molto controverse: il capo dell’unità, l’ammiraglio Alvin Hosley, ha annunciato il ritiro dopo aver espresso dubbi sulla legittimità degli attacchi.

Venezuela accusa gli USA di escalation militare e mobilita truppe, mentre giuristi e ONG come l’ACLU parlano di “omicidi extragiudiziali”.

Trump ha ammesso di aver autorizzato anche missioni della CIA in Venezuela e di valutare interventi di terra, nel più grande dispiegamento americano nei Caraibi dagli anni ’80.

Perù

Il nuovo governo peruviano ha annunciato l’intenzione di dichiarare lo stato di emergenza nella capitale. Almeno una persona è morta e decine di agenti di polizia sono rimasti feriti durante le proteste di massa scoppiate nella notte contro il nuovo presidente José Jeri, salito al potere solo pochi giorni fa dopo la destituzione di Dina Boluarte.

Le manifestazioni, guidate da giovani della Generazione Z, lavoratori del trasporto e gruppi civili, hanno infiammato tutto il Paese, con scontri violenti davanti al Congresso a Lima.

La polizia ha usato lacrimogeni mentre alcuni manifestanti lanciavano pietre e oggetti incendiari, gridando “Devono andarsene tutti!”.

Un uomo di 32 anni, Eduardo Mauricio Ruiz, è stato ucciso da un colpo d’arma da fuoco — un episodio che sarà oggetto d’indagine. Jeri ha espresso rammarico per la morte, promettendo un’inchiesta “obiettiva”, ma ha accusato “delinquenti infiltrati” di aver trasformato una protesta pacifica in caos.

Il nuovo presidente, già sotto accusa per presunti casi di corruzione e molestie sessuali che ne minano la credibilità, dovrà affrontare un Paese stremato dalla crisi politica e sociale, con elezioni previste per luglio del prossimo anno.

Cile

Il ministro dell’Energia cileno Diego Pardow ha presentato le dimissioni dopo lo scandalo legato a un errore di calcolo che ha causato aumenti indebiti nelle bollette della luce per milioni di cittadini.

Al suo posto è stato nominato l’attuale ministro dell’Economia Álvaro García, che manterrà entrambi gli incarichi e ha promesso di compensare le famiglie colpite.

Secondo i media, l’errore — dovuto a una scorretta applicazione dell’indice dei prezzi al consumo — avrebbe comportato una riscossione indebita di circa 100 milioni di euro.

Afghanistan e Pakistan

Il premier pakistano Shehbaz Sharif ha dichiarato che Islamabad è pronta al dialogo con Kabul per risolvere le tensioni, mentre una tregua di 48 ore sembra reggere dopo giorni di scontri armati lungo il confine.

Il Pakistan aveva lanciato raid aerei contro obiettivi afghani, causando decine di morti e centinaia di feriti, dopo una serie di attacchi di militanti provenienti dall’Afghanistan. Sharif ha avvertito che “la pazienza è finita”, ma che il governo è disposto a parlare “a condizioni valide”.

Da parte afghana, il ministro dell’interno Sirajuddin Haqqani ha detto all’Iran che Kabul vuole “buone relazioni con tutti i Paesi”, chiedendo rispetto reciproco. Secondo l’ONU, dal 10 ottobre sono rimasti uccisi almeno 18 civili e oltre 360 feriti in Afghanistan.

Giappone

La Camera bassa del Parlamento giapponese terrà il voto per eleggere il nuovo primo ministro il 21 ottobre, secondo quanto riferito da un membro della commissione parlamentare.

La data è stata proposta dal Partito Liberal Democratico (LDP) guidato da Sanae Takaichi, ma le opposizioni hanno espresso obiezioni per via delle trattative di coalizione ancora in corso.

Il LDP sta cercando un accordo con il Partito dell’Innovazione del Giappone, di orientamento conservatore, per garantirsi la maggioranza e permettere a Takaichi di diventare la prima donna premier del Paese.

Se eletta, dovrà affrontare subito importanti impegni diplomatici, tra cui i vertici internazionali in Malesia e Corea del Sud e la visita del presidente americano Donald Trump in Giappone.

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