18 luglio 2025 – Notiziario Africa
Scritto da Elena Pasquini in data Luglio 18, 2025
- RDC e Rwanda, pace fragile e nuove tensioni
- Sport e re-branding, la Repubblica Democratica del Congo punta sul calcio
- Camerun: il presidente Paul Biya corre per l’ottavo mandato tra sfide e proteste
- Disuguaglianze e attivismo in Africa: ricchezza concentrata e crescente partecipazione civica
Questo e molto altro nel notiziario Africa a cura di Elena L. Pasquini
“L’autentico eroismo è sobrio, non drammatico. Non è il bisogno di superare gli altri a qualunque costo ma il bisogno di servire agli altri a qualunque costo”. Diceva così Arthur Ashe, il primo ed unico tennista non bianco nero ad aver vino il torneo di Wimbledon, cinquant’anni fa.
Si aggiudicò tre prove del Grande Slam e usò la sua popolarità nella lotta contro l’apartheid in Sudafrica, prima; contro l’Aids, che lo uccise, poi. “Vi prego”, disse, “di non considerarmi una vittima. Io sono un messaggero”.
“Servire gli altri a qualunque costo”, diceva il campione nato nella Virginia Segregazionista. “Servire gli altri” è il compito di un eroe, di un atleta, di un capo di Stato, di un artista. Oggi, inizieremo da qui.
A chi serve davvero l’accordo di pace tra Repubblica democratica del Congo e Rwanda? E un logo sulla maglietta di una squadra di Calcio? Andremo poi in Camerun, nel lungo regno di Paul Biya che si candida per l’ottava volta, vi racconteremo di continente dove la ricchezza è sempre più concentrata ma la partecipazione politica sempre più diffusa.
E infine celebreremo la scrittrice Leila Aboulela che ha vinto il prestigioso Pen Pinter Prize. Oggi, venerdì 18 luglio 2025.
Repubblica Democratica del Congo
Non sono passate neppure due settimane dalla firma dell’accordo di pace, mediato dagli Stati Uniti, tra Repubblica democratica del Congo e Ruanda che la guerra è tornata a scuotere il Nord e il Sud Kivu.
Sabato 12 luglio e poi di nuovo lunedì, una serie di attacchi avrebbero colpito postazioni dell’esercito congolese a Kalehe, Masisi e Kabare, nell’Est del Paese, secondo una dichiarazione delle Forze Armate. A condurre le operazioni, i ribelli dell’M23, il gruppo armato sostenuto dal Ruanda.
“Questi atti spregevoli costituiscono non solo una violazione intenzionale della tregua e del cessate il fuoco da osservare, ma anche un tentativo deliberato di sabotare il processo di pace in corso”, ha affermato il maggiore Nestor Mavudisa, portavoce della Terza Zona di Difesa, come riporta Radio Okapi.
Il testo impegna i firmatari alla cessazione delle ostilità, al rispetto dell’integrità territoriale, al disimpegno, al disarmo, alla reintegrazione dei gruppi armati, e alla creazione di un quadro di cooperazione economica regionale.
Il Movimento 23 Marzo, però, non è parte dell’intesa. Sono in corso negoziati separati, mediati dal Qatar, tra l’M23 e la RDC, “ma l’esclusione dell’M23 dall’accordo” del 27 giugno “getta seri dubbi sulle prospettive di un’attuazione completa o di una de-escalation significativa”, sostiene il Global Centre for the Responsibility to Protect.
Secondo quanto riporta Radio France Internationale, infatti, “stanno emergendo tensioni armate” proprio mentre le parti discutono a Doha, “tensioni (che) hanno nuovamente innescato spostamenti di popolazione”.
A Goma, la capitale del Nord Kivu caduta a gennaio nelle mani dei ribelli, una “cauta speranza” si accompagna a “un realistico scetticismo”, scrive su Peace News Anicet Kimonyo, che ha raccolto le voci di attivisti come Justin Mwanatabu.
“[L’accordo]è ciò che tutti aspettavano”, afferma Mwanatabu, insegnante e analista politico. Ma il Congo ha visto troppi tentativi finiti in un nulla di fatto per non coltivare il timore che anche questa volta possa accadere lo stesso: “Quindi sì, i dubbi sono leciti”, ha detto senza mezzi termini.
“Firmare un accordo è una parte, l’altra è istituire meccanismi di giustizia di transizione per le vittime di guerra. Questa giustizia può anche servire da lezione per scoraggiare atti di guerra in futuro”, ha aggiunto, Hubert Masomeko, ricercatore presso il Centro di Ricerca sulla Democrazia e lo Sviluppo in Africa.
Una “rara apertura diplomatica in una regione segnata da decenni di conflitti armati e atrocità di massa”, lo definisce ancora il GCR2P, che manca però “di impegni chiave in materia di giustizia, responsabilità e risarcimento, elementi essenziali per spezzare il radicato ciclo di violenza e impunità”.
E continua a preoccupare per l’altro patto a cui questo è subordinato, quello che ha permesso agli Stati Uniti di arrivare alla firma offrendo pace e sicurezza in cambio dell’accesso privilegiato a risorse minerarie strategiche.
Un accordo “separato che garantirebbe alle aziende occidentali l’accesso ai vasti giacimenti di tantalio, oro, litio e cobalto della regione, vitali per i veicoli elettrici e le tecnologie avanzate”, ma che “rischia di replicare le dinamiche estrattive che hanno storicamente alimentato il conflitto nella RDC orientale, avvantaggiando al contempo in modo sproporzionato gli interessi ruandesi e statunitensi”, sostengono i ricercatori.
Si è sollevata in questi giorni anche la voce critica del cardinale Fridolin Ambongo. L’arcivescovo metropolita di Kinshasa ritiene che (l’intesa) si basi su un cinico baratto di minerali in cambio di una pace di facciata, scrive la testata congolese Ouragan.
“Ma nel nostro Paese tutti scappano. Tutti hanno paura di Trump”, ha detto Ambongo. “Siete in guerra tra di voi e la causa della guerra sono i minerali. Io, il grande Trump, vengo a riconciliarvi e voi mi date i minerali “, ha detto in una conferenza stampa.
Congo e Rwanda, calcio e Re-Branding
“RDC – Cuore dell’Africa”. Sarà scritto così sul retro delle maglie da allenamento e da riscaldamento dei calciatori del Barcellona, e su quelle dello staff tecnico, con il logo della Repubblica Democratica del Congo sulle formazioni maschile e femminile del club.
Il costo della sponsorizzazione è di oltre 40 milioni di euro, secondo il contratto visionato dall’agenzia di stampa Reuters.
In più, la RDC avrà qualche minuto di pubblicità ad ogni partita nel nuovo stadio, il Camp Nou, oltre a uno spazio per ospitare delegazioni e la possibilità di portare in Spagna giovani giocatori congolesi per una formazione tecnica.
Il Paese dove non c’è pace da oltre trent’anni, ha scelto di promuoversi come meta turistica e terra d’investimento con un accordo che arriva dopo quelli con l’AS Monaco e l’AC Milan, che varrebbero rispettivamente, 1,6 milioni di Euro per stagione e 14 milioni di euro.
Non sono mancate le critiche. “Molti osservatori definiscono queste iniziative come esempi di sportwashing, ovvero l’uso dello sport come strumento di marketing per distogliere l’attenzione dai problemi interni”, scrive su AfricaRivista, Andrea Spinelli Barrile.
Una strategia di riposizionamento che segue quella del Ruanda, il vicino, eterno nemico, che ha scelto l’Arsenal, il Bayern Monaco, l’Atletico Madrid e il Paris St Germain per lanciare il suo messaggio: “Visit Rwanda”.
Campagna, quella del Ruanda, che ha scatenato forti polemiche per il coinvolgimento di Kigali nel conflitto congolese. Uh gruppo di deputati francesi ha denunciato quella con il PSG, come “la partnership della vergogna”, accusando il Ruanda di utilizzare lo sport per “ripulire” agli occhi del mondo la propria implicazione nel conflitto”, ricorda Barrile.
Anche in Gran Bretagna, l’accordo con l’Arsenal all’epoca “provocò interrogazioni parlamentari e l’apertura di un’inchiesta … Le critiche si concentravano sul contrasto tra l’immagine promossa all’estero e le gravi condizioni interne: circa il 37% dei bambini ruandesi soffre ancora oggi di malnutrizione cronica, mentre le regioni orientali del Paese affrontano gravi crisi alimentari”.
Camerun
È il più anziano capo di Stato del mondo, ha 92 anni ed è al potere dal 1982. Paul Biya, presidente del Camerun ha annunciato che si candiderà per un ottavo mandato nelle elezioni fissate per il 12 ottobre.
“Siate certi che la mia determinazione nel servirvi è all’altezza dell’urgenza delle sfide che ci troviamo ad affrontare”, ha affermato in un post su X, l’uomo che parla direttamente ai suoi cittadini con un nuovo, inatteso piglio sui social.
Il Paese, ricco di cacao e petrolio, vive una difficile fase economica, la vita è sempre più costosa, la disoccupazione giovanile è oltre il 70 percento, dal 2016 nelle regioni anglofone non cessa la guerra con i separatisti che chiamano quelle terre Ambazonia e dal confine con la Nigeria arriva la minaccia del terrorismo islamista.
Ci si chiede se Biya sia davvero in grado di affrontare tali sfide in questo suo “regno” travagliato, accusato troppe volte di malgoverno, corruzione e repressione.
Una lunga assenza dalla scena pubblica, lo scorso anno aveva fatto circolare con insistenza le voci di una sua malattia e persino della sua morte. Voci smentite.
L’annuncio della candidatura aveva scatenato un’ondata di polemiche e proteste sulla stampa e sui social media e per le strade della capitale, Yaoundé, “molte persone hanno dichiarato alla BBC di non sentirsi sicure a commentare apertamente la politica per timore di rappresaglie. Altri hanno omesso nomi, età o professioni per precauzione”.
Qualcuno vuole il cambiamento, altri sostengono l’anziano “sovrano” che si prepara alla battaglia elettorale con tutti gli strumenti di cui dispone.
L’esercito, per prima cosa. In vista delle elezioni, Biya, che nel ha abolito i limiti di mandato e può correre per la presidenza a tempo indeterminato, avrebbe già riformato i vertici militari, scrive l’agenzia Reuters, “in quello che gli analisti definiscono uno sforzo per garantire che le forze armate appoggino la sua candidatura per un ottavo mandato dopo le proteste pubbliche”.
Una serie di decreti, resi noti due giorni dopo l’annuncio della candidatura, avrebbero stravolto i vertici: “nuovi capi di stato maggiore per la fanteria, l’aeronautica e la marina, nonché la promozione di otto generali di brigata al grado di maggiore generale”, e un nuovo consigliere militare presidenziale, si legge sulle pagine dell’agenzia.
Una strategia “per consolidare il potere costruendo attorno a sé una fortezza di generali dell’esercito leali” in grado di reprimere qualsiasi protesta al suo continuo governo”, spiega a Reuters, Anthony Antem, analista di pace e sicurezza presso il Nkafu Policy Institute di Yaoundé.
Forze armate, repressione, ma anche una nuova strategia social.
“Il recente incremento dell’attività del presidente Paul Biya sui social media, caratterizzato da post regolari su piattaforme come X e Facebook, segna un notevole cambiamento rispetto alla sua immagine pubblica tradizionalmente riservata”, ha spiegato Ousmane Badiane, giornalista digital della BBC, in un’ampia analisi dei messaggi diffusi dal presidente.
“Adottando strumenti di comunicazione contemporanei, [Biya] cerca di modernizzare l’immagine del suo governo e di dimostrare di essere al passo con l’evoluzione tecnologica e sociale.
Questa ondata digitale rientra in una logica ben ponderata: dimostrare che mantiene il controllo del Paese, modernizzare la sua comunicazione, disinnescare le speculazioni sulla sua successione e ripristinare una legittimità indebolita in un contesto politico incerto”, aggiunge Badiane.
Attivismo e disuguaglianze
Quattro persone in Africa possiedono una fortuna stimata in 57,4 miliardi di dollari, più della ricchezza di 750 milioni di persone tutte insieme, ovvero metà della popolazione del continente.
L’Africa delle diseguaglianze, dei tassi di povertà più alti del mondo, dove abitano sette poveri su dieci, dove 850 milioni di persone soffrono la fame, è anche, però, il continente dove più forte è il coinvolgimento dei cittadini, la partecipazione alla vita delle comunità.
Nel 2000, l’Africa non aveva miliardari, oggi ne ha 23, ci dice Oxfam, nel rapporto “La crisi delle disuguaglianze in Africa e l’ascesa degli ultra-ricchi “. La loro ricchezza ha raggiunto i 112,6 miliardi di dollari. Il 5% più ricco dell’Africa possiede 4 trilioni di dollari, più del doppio della ricchezza complessiva del resto del continente.
“La ricchezza dell’Africa non è carente; viene sperperata da un sistema truccato che permette a una piccola élite di accumulare immense fortune, privando centinaia di milioni di persone dei servizi più elementari. Questa non è sfortuna. È un fallimento politico, e deve cambiare”, ha dichiarato Fati N’zi-Hassane, direttore di Oxfam per l’Africa.
In soli tre giorni, spiega il rapporto, una persona che fa parte dell’1% più ricco guadagna quanto un anno di chi è dall’altra parte, nella metà più povera. E gli uomini sono tre volte più ricchi delle donne, qui dove c’è “il divario di genere più ampio tra tutte le regioni del mondo”.
Se pochissimi sono i ricchi, però, molti di più sono quelli che in Africa s’impegnano per cambiare il destino dei loro Paesi e dell’intero continente. “Coinvolgimento dei cittadini, la nostra più grande speranza”, è il titolo di un altro studio, condotto in 39 paesi con 53.444 interviste, dalla no profit Afrobarometer.
“La nostra analisi … rivela che, nonostante le preoccupazioni relative al regresso democratico e alla perdita di libertà politica, la maggior parte degli africani partecipa a molteplici attività politiche e civiche, dimostrando un impegno a livelli che reggono il confronto con altre regioni del mondo”, scrivono i ricercatori.
Gli africani, per prima cosa, votano: quasi i tre quarti degli aventi diritto vanno alle urne. Anche se pochissimi limitano la loro partecipazione al solo appuntamento elettorale.
Quattro su dieci, il 41%, si “sentono vicini” a un partito politico. Circa un terzo ha partecipato a un comizio prima delle ultime elezioni del proprio Paese, e il 17% afferma di aver lavorato per un candidato o un partito.
Più di sei su 10 discutono “occasionalmente” o “frequentemente” di politica con la famiglia o gli amici. E ancora, spiega il rapporto, quasi la metà ha partecipato almeno una volta a un incontro della comunità, più di quattro su dieci si sono uniti ad altri per portare all’attenzione pubblica una questione, oltre un terzo ha contattato un leader tradizionale, e in molti hanno fatto appello a un cogliere del governo locale, a un membro del Parlamento o a un funzionario di un partito politico.
E nonostante le tante, dure repressioni, quasi uno su 10 tra gli intervistati, ha partecipato a una protesta o a una manifestazione.
“Questo livello di coinvolgimento rappresenta un’enorme ricchezza di impegno e competenze e una potenziale fonte di energia che può rafforzare l’efficacia e la legittimità del governo se i leader sono disposti ad ascoltare e rispondere”, scrivono i ricercatori.
E contrariamente a quanto si pensi in Occidente, aggiungono, sono “gli africani più poveri e meno istruiti”, e quelli che abitano nelle aree rurali, che tendono a partecipare maggiormente alle attività politiche e civiche rispetto alle loro controparti più ricche e istruite” e chi vive nelle zone urbane.
Pen Pinter Prize
“In un mondo apparentemente in fiamme, con immense sofferenze taciute e poco pianti, in Sudan, Gaza e altrove, la sua scrittura è un balsamo, un rifugio e un’ispirazione”.
La scrittura è quella di Leila Aboulela, sudanese, vincitrice quest’anno del PEN Pinter Prize, il premio assegnato in memoria di Harold Pinter a chi lancia uno sguardo “impassibile e incrollabile” sul mondo e dimostra una “feroce determinazione intellettuale … nel definire la vera verità delle nostre vite e delle nostre società”, per usare le parole del drammaturgo britannico.
A definire “balsamo” l’opera di Leila, la scrittrice Nadifa Mohamed, uno dei tre giudici che le hanno assegnato il prestigioso riconoscimento per i suoi scritti che raccontano la migrazione, la vita delle donne e la fede.
“È una sorpresa assoluta e totale … Per una persona come me, un’immigrata musulmana sudanese che scrive da una prospettiva religiosa, sondando i limiti della tolleranza laica, questo riconoscimento è davvero significativo.
Amplia e approfondisce il significato della libertà di espressione e di chi vengono ascoltate le storie”, ha dichiarato Leila.
Una carriera lunga trent’anni che ha dato voce alla “vita interiore dei migranti”, che “ha navigato tra il globale e il locale, il politico e lo spirituale, e la nostalgia per una patria passata con la curiosità, e il desiderio di sopravvivenza in una nuova.
L’opera di Aboulela è caratterizzata dall’impegno a rendere la vita e le decisioni delle donne musulmane centrali nella sua narrativa e a esaminare le loro lotte e i loro piaceri con dignità”, ha aggiunto Nadifa Mohamed.
Il suo ultimo romanzo, Spirit River, pubblicato nel 2023 prima che scoppiasse di nuovo la guerra, è un’incantevole “narrazione degli anni che portarono alla conquista britannica del Sudan nel 1898, e uno sguardo profondamente umano alle tensioni tra Gran Bretagna e Sudan, Cristianesimo e Islam, colonizzatori e colonizzati”.
Al centro, ancora una volta, tante voci di donne, in un romanzo storico che stato ed è anche un manifesto per la letteratura africana: “La storia mainstream è stata scritta dai colonizzatori. Questa è la loro verità. È tempo per noi di raccontare la nostra”, diceva Leila Aboulela in un’intervista ad African Arguments.
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