27 febbraio 2025 – Notiziario Africa
Scritto da Elena Pasquini in data Febbraio 27, 2025
- Repubblica democratica del Congo: tra guerra e tentativi di pace
- Tensioni e sanzioni: la risposta dell’Europa alla crisi congolese e al ruolo del Ruanda
- Il peso del colonialismo: l’eredità della Conferenza di Berlino e le sue conseguenze in Africa
- Il Senegal firma la pace in Casamance
Questo e molto altro nel notiziario Africa a cura di Elena L. Pasquini
“La pace non può essere mantenuta con la forza, può essere solo raggiunta con la comprensione”, sosteneva Albert Einstein.
Ed è alla pace che guarda la Repubblica democratica del Congo. Mentre nell’Est si continua a combattere, si tenta un nuovo processo negoziale. Ed è da qui, che iniziamo, dai tentativi della comunità internazionale di rispondere all’incalzare del conflitto armato.
Poi, andremo in Senegal, dove invece un accordo di Pace è stato raggiunto, quindi in Algeria, in Nigeria e in Germania per ricordare l’anniversario che ha cambiato la storia dell’Africa de le mondo. Oggi, 27 febbraio 2025.
Repubblica Democratica del Congo
I bambini provano a tornare sui banchi di scuola nel mezzo della guerra. A Bukavu, nell’Est della Repubblica democratica del Congo, nella città controllata dai ribelli dell’M23, sono poche, però, le famiglie che se la sentono di correre il rischio.
“Dal primo al sesto anno, abbiamo avuto solo 20 studenti: 8 ragazze e 12 ragazzi… Dove ne avevamo 816.
Gli altri non ci sono ancora, forse ne seguiranno le orme, gradualmente”, ha raccontato la direttrice della scuola Ibanda 2, Antonia Nsimire Byamungu, a Radio France Internationale. Perché quella dell’Est è una normalità solo apparente.
Goma, nel Nord Kivu, e Bukavu, nel Sud, sono città occupate.
Il Movimento del 23 marzo, sostenuto dal vicino Ruanda, si spinge sempre più in profondità e minaccia di avanzare ancora, mente la situazione umanitaria si deteriora, in questa guerra che da gennaio ha fatto un numero di vittime che si stima raggiunga le 7000.
A tre uomini, adesso, il compito di tentare una via perché le armi tacciano, almeno per un po’, in questo conflitto che va avanti da tre decenni, ma a cui nessuno è mai riuscito a mettere fine.
Lunedì 24 è stato reso noto che saranno tre ex capi di stato a provare la facilitazione, in un processo che verrà portato avanti congiuntamente dalla Comunità dell’Africa orientale e della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe.
Uhuru Kenyatta, ex presidente del Kenya, era già stato mediatore nel cosiddetto processo di Nairobi e conosce gli attori sul campo. Accanto a lui, Olusegun Obasanjo, ex presidente della Nigeria, e Hailemariam Desalegn, ex primo ministro etiope.
Un primo incontro delle due organizzazioni dovrebbe già tenersi in questi giorni per stabilire i prossimi passi, la road map per tentare di raggiungere un cessate il fuoco.
Il rischio è dover ricominciare da zero, facendo tabula rasa di quanto ottenuto durante i round di negoziati tenuti in passato nel processo di Luanda, parallelo a quello di Nairobi, e guidato dal presidente angolano João Lourenço, che aveva definito un piano di de-escalation di tre mesi.
Due, i nodi più urgenti sul tavolo. Chi si deve parlare e chi dovrà controllare il rispetto degli accordi. Il Ruanda nega il suo diretto coinvolgimento nella guerra e vuole che a dialogare siano l’M23 e il governo di Kinshasa, che dal canto suo insiste: l’interlocutore è Kigali, l’M23 combatte per procura.
C’è poi la questione di chi potrebbe monitorare la tregua, se una forza congiunta EAC-SADC, i caschi blu o l’esercito congolese.
Intanto, l’M23 e il suo ombrello politico l’Alleanza del Fiume Congo, hanno chiesto a tutti gli eserciti stranieri presenti nella zona di andarsene. Circa 200 mila soldati della missione di interposizione della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe avrebbero già lasciato il Paese.
Una tragedia immane, l’ennesima, quella che sta colpendo il Congo e con il potenziale di allargarsi ulteriormente coinvolgendo l’intera regione dei Grandi Laghi, a cui l’Europa inizia a rispondere.
Sospese le consultazioni sulla difesa con il Ruanda e sotto revisione il memorandum d’intesa sulle catene del valore sostenibili per le materie prime, firmato con Kigali nel febbraio 2024.
“L’integrità territoriale del Congo non è negoziabile”, ha detto Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione.
Dopo un primo blocco di sanzioni approvate, una secondo gruppo di misure più aspre ed ambiziose è stato però bloccato dal veto del Lussemburgo.
Tra queste alcune sanzioni dirette a singoli individui e organizzazioni, e il congelamento di 20 milioni di Euro erogati dalla European Peace Facility per finanziare le forze ruandesi impiegate nella missione di peacekeeping nella provincia di Cabo Delgado in Mozambico.
Una decisione, quella del Lussemburgo, sulla quale sono piovute aspre critiche e che il Ministro degli Esteri, Xavier Bettel, ha giustificato con la volontà di aspettare gli esiti delle negoziazioni tra i ministri africani “per capire se stiamo andando nella direzione giusta”.
La ragione risiederebbe anche nella volontà di non giocarsi tutte le carte subito e mantenere spazi di manovra. In ballo, però, ci sarebbe molto altro.
Il Lussemburgo starebbe aiutando Kigali a mettere in piedi un centro finanziario, ha spiegato a Euronews, Erik Kennes, ricercatore dell’Egmont Royal Institute for International Relations.
Misure, quelle prese dalla UE, che sarebbero secondo Kennes “timide” e “tardive”. La Gran Bretagna, intanto, ha sospeso la maggior parte degli aiuti finanziari al Ruanda, inclusi l’addestramento militare e le attività di promozione commerciale. Restano in piedi solo i programmi di sostengo alle fasce di popolazione più povere.
Senegal
Il governo del Senegal e il Movimento delle Forze Democratiche della Casamance, l’MFDC, hanno firmato uno storico accordo che vuole mettere fine a una delle più lunghe guerre africane, iniziata nel 1982, che è costata la vita a migliaia di persone e che ha devastato l’intera regione, quella striscia di terra del Senegal meridionale che s’insinua verso il mare, tra il Gambia e la Guinea-Bissau, nell’Africa occidentale.
È stato proprio il presidente della Guinea-Biassu, Umaro Sissoco Embalo ad aver mediato nei colloqui che hanno condotto alla firma.
Un passo ulteriore in un processo che già a maggio del 2023 aveva raggiunto un importante obiettivo: almeno 250 combattenti avevano deposto le armi nella città di Mongone, dove un tempo era presente una base importante del movimento indipendentista.
La Casamance, una regione ricca di terra fertile, di legname e di petrolio, con la sua natura rigogliosa e le sue bellissime spiagge, è stata teatro di una guerra di quelle che si dicono a “bassa intensità” e che si riaccendono periodicamente, le cui radici vanno cercate proprio in quella ricchezza e nelle rivendicazioni di una popolazione che si è sempre sentita sfruttata ed emarginata dal Nord.
Ad agosto dello scorso anno, dopo oltre dieci mesi, era stata riaperta la rotta via mare che collega Dakar, la capitale del Senegal, con Ziguinchor, il capoluogo della Casamance meridionale, solo pochi giorni dopo che il suo ex sindaco, Ousmane Sonko, è diventato primo ministro del Paese.
“Sonko ha dimostrato [alla gente della Casamance] che sono senegalesi a pieno titolo. Possono rivendicare il potere come qualsiasi altro senegalese”, aveva detto al quotidiano britannico The Guardian, Noah Cissé, storico e insegnante di Ziguinchor.
“La zona è stata fortemente colpita dagli effetti conflitto … la guerra è incompatibile con gli investimenti”, aveva aggiunto.
La speranza, adesso, è quella che si possa investirne nuovamente del tessuto economico della regione dove la povertà è ancora più alta rispetto a quella del resto del Senegal, ma anche affrontare uno dei più gravi problemi lasciati in eredità dal conflitto armato: la presenza sul terreno di un grandissimo numero di mine ed ordigni inesplosi.
Sudafrica
Non c’è nessun “genocidio dei bianchi” in Sudafrica. Le accuse sono “chiaramente immaginate” e “non reali”.
Così ha sostenuto l’Alta Corte del Capo Occidentale chiamata a pronunciarsi sulla legittimità di un lascito testamentario di oltre 2 milioni di dollari a favore del gruppo nazionalista afrikaner Boerelegioen secondo il quale gli agricoltori bianchi sono sistematicamente presi di mira e uccisi.
Una narrazione, quella del “genocidio”, che è tornata prepotentemente alla ribalta grazie al presidente degli Stati Uniti Donald Tump e ai commenti di Elon Musk.
Trump è arrivato a tagliare i fondi al Sudafrica, accusando il governo di violare i diritti umani dei bianchi con espropri di terra, e ha persino sostenuto che gli afrikaner, i discendenti dei coloni olandesi del XVII secolo, potrebbero essere accolti negli Stati Uniti come rifugiati.
Ad intentare la causa davanti alla giustizia sudafricana, i fratelli di Grantland Michael Bray, un uomo ossessionato negli ultimi anni della sua vita dall’idea di un possibile sterminio dei bianchi.
“Quell’idea è stata ulteriormente alimentata dal suo razzismo, già presente, e dai contenuti online a cui era esposto”, ha affermato la corte.
Il giudice Rosheni Allie ha stabilito che la donazione era destinata a promuovere “messaggi di odio razziale e separazione”, ed era “contraria all’ordine pubblico”. L’intenzione di Bray, secondo il giudice, era di usare i suoi soldi a beneficio di “un’organizzazione che lui riteneva avrebbe sterminato ogni persona di colore in Sudafrica”, un movimento che vuole uno stato afrikaner separato.
“Il caso sudafricano è importante perché gioca un ruolo centrale nelle rivendicazioni globali dei suprematisti bianchi. Queste mitologie sostengono che i sudafricani bianchi, in particolare gli afrikaner, sono il canarino nella miniera di carbone: che la presunta oppressione che stanno affrontando è un modello di ciò che accadrà a tutti i bianchi se non “reagiranno”, scrive Nicky Falkof, accademica dell’Università del Witwatersrand, su “The Conversation Africa”.
La vittimizzazione dei bianchi, spiega Falkof, si fonda sulla convinzione siano “vittime straordinarie Interi programmi politici si sviluppano attorno all’idea che i bianchi debbano essere protetti perché affrontano minacce eccezionali, che non vengono prese sul serio da un ordine mondiale contemporaneo che non riesce a dare valore alla bianchezza”.
Se è vero che la violenza rurale in Sudafrica è un problema enorme, non è vero che riguarda solo i bianchi. “La criminalità violenta colpisce praticamente tutti in Sudafrica.
Quando le morti dei bianchi vengono spiegate come parte di un genocidio mirato intrapreso sulla base della razza, il messaggio è che contano più delle morti di tutti gli altri”, scrive ancora Falkof.
“Vittime straordinarie”, dunque, in una narrazione che “rimane inquietantemente potente” ed è alla “base della grande teoria della sostituzione, una teoria cospirazionista di estrema destra che sostiene che ebrei e stranieri non bianchi stiano complottando per “sostituire” i bianchi” e che contribuisce a spiegare anche le “reazioni violente alla crisi migratoria globale e l’ascesa del populismo nel nord.”
Algeria
La visita del presidente del senato francese Gérard Larcher nel Sahara Occidentale, ha scatenato l’ira dell’Algeria.
Nella crescente tensione tra Parigi ed Algeri, il Consiglio della Nazione, ha sospeso le sue relazioni con la “camera alta” dell’ex potenza coloniale.
La visita di Larcher è un ulteriore passo nel cambiamento di direzione impresso da Emmanuel Macron che sostiene il piano di autonomia del Sahara Occidentale sotto sovranità marocchina.
L’Algeria, invece, è da sempre accanto al Fronte Polisario che reclama l’autonomia di quel pezzo di deserto, ex colonia spagnola, da oltre 50 anni. Una “visita irresponsabile, provocatoria e ostentata”, ha scritto il Consiglio della Nazione algerino in un comunicato stampa, quella di Larcher.
“L’Ufficio del Consiglio della Nazione, sotto la presidenza di Salah Goudjil, annuncia la sospensione immediata delle sue relazioni con il Senato della Repubblica francese, compreso il protocollo di cooperazione parlamentare firmato l’8 settembre 2015”.
Nigeria
Ergastolo o pena di morte. Lo vorrebbe, e lo chiede, l’Agenzia nazionale per la gestione e il controllo degli alimenti e dei farmaci della Nigeria, per chi commercia farmaci illegali o contraffatti, secondo quanto riporta la Reuters.
Una battaglia, quella contro la contraffazione, che la Nigeria combatte da tempo.
Nell’ultima operazione condotta dall’agenzia a inizio febbraio, la più vasta sino ad ora, sono state sequestrate “grandi quantità di vaccini contraffatti e conservati in modo improprio, medicinali soggetti a prescrizione medica, farmaci antiretrovirali donati dall’USAID e preservativi scaduti”, scrive sempre Reuters, riportando le dichiarazioni di Mojisola Adeyeye, responsabile dell’Agenzia, che chiede di modificare le leggi per includere la pena capitale tra le pene previste per questa fattispecie di reati.
“Questi prodotti sono stati scoperti accatastati nei bagni, sotto le scale e sui tetti a temperature molto elevate, senza tenere conto dei requisiti di conservazione della catena del freddo”, ha affermato Adeyeye in una nota.
Può un quiz salvare una lingua e una cultura? Guardando lo show nigeriano Masọyinbo si è tentati di dire di si.
Lo conduce Olalekan Fabilola e vuole preservare la lingua Youruba, diffusa in particolare nella Nigeria centrale e sudoccidentale. Il nome significa “non parlare la lingua inglese e altre lingue occidentali”.
Ed è questa l’unica lingua ammessa. I concorrenti, che partecipano non solo dalla Nigeria ma da molti Paesi della diaspora, devono avere una conoscenza di base dello yourba, delle sue espressioni e proverbi.
Si vincono premi, s’intrattiene il pubblico e chi non sa impara. “Si tratta di promuovere la purezza linguistica e l’orgoglio culturale. Se vuoi imparare lo yoruba, imparalo completamente. Non diluirlo con l’inglese o qualsiasi altra lingua”, ha detto Fabilola The Africa Report. “La lingua è il motore che guida la cultura …
Non c’è cultura senza lingua. La nostra cultura è la nostra vita, la nostra vera essenza … Su Masọyinbo , mostriamo che tutti hanno un ruolo da svolgere , che tu abbia 15 o 50 anni.
Il mio obiettivo è rendere parlare Yoruba alla moda per tutti, ovunque”, afferma, “aggiungendo che la globalizzazione dovrebbe aiutare a promuovere la lingua Yoruba invece di relegarla in fondo”.
Lo Yourba è, però, solo una delle lingue africane in pericolo. Sono oltre 2000 le lingue viventi africane, di cui quasi 400 sono in pericolo e oltre cento stanno morendo.
Una straordinaria varietà e complessità linguistica che riflette la complessità geografica, entica, culturale e storica del continente.
“Secondo l’ Endangered Languages Project , molte lingue africane sono a rischio di estinzione a causa dell’ascesa di lingue dominanti e delle pressioni della globalizzazione”, si legge su Afriklens.
“Uno dei motivi principali per cui le lingue africane sono in pericolo è l’eredità del colonialismo”. Inglese, francese, portoghese divennero “le lingue ufficiali in molti paesi africani, soppiantando le lingue indigene in contesti formali ed educativi …
Anche dopo l’indipendenza, molte nazioni africane continuarono a usare le loro lingue coloniali come lingue ufficiali di comunicazione. Questo cambiamento ebbe un effetto duraturo”.
Ma non è solo questo, ad accelerare il processo, l’urbanizzazione, la globalizzazione e la mancanza di risorse per l’educazione linguistica destinata alla preservazione del patrimonio delle lingue locali e minoritarie.
Colonialismo
Otto von Bismarck, cancelliere tedesco, è in piedi davanti ad una torta gigantesca e tiene in mano un coltello. Quella torta ha un nome, “Africa”. La vignetta pubblicata nella rivista francese L’illustration nel gennaio del 1885, racconta come l’Europa, e la Germania, stavano spartendosi il continente meglio di molte parole. Scramble for Africa, Corsa all’Africa, l’avrebbero chiamata poi.
Il 26 febbraio di quello stesso si chiudeva la Conferenza Berlino. Centoquarant’anni fa il destino dell’Africa e del mondo sarebbe cambiato per sempre. In circa tre mesi, nella capitale tedesca, sarebbero state gettate le basi per un’occupazione i cui effetti si fanno sentire ancora oggi.
È a Berlino che nasce lo Stato Libero del Congo, il regno personale di Leopoldo II del Belgio sulla terra che oggi è la Repubblica democratica del Congo. È a Berlino che si definiscono le aree di influenza, che in breve saranno dominio, “occupazione” appunto, dei diversi Paesi europei.
Il ruolo che la Germania ha giocato nella colonizzazione dell’Africa è raramente ricordato.
“La Germania è lenta a rendersi conto di essere stata una potenza coloniale”, ha detto Nadja Ofuatey-Alazard, attivista e direttrice di Each One Teach One, un’organizzazione che si occupa degli interessi deli africani in Germania e dei tedeschi di origine africana, ad Al Jazeera.
“Il principale focus storico [della Germania] è la storia nazionalsocialista, ma c’è stato un precedente, e la Germania, fino a oggi, non ha ancora agito sulla sua responsabilità storica. [Il colonialismo] deve entrare nel mainstream. Deve finire nelle scuole e nelle università”, ha aggiunto.
In cinque anni dalla Conferenza di Berlino, il 90 percento dell’Africa sarebbe diventato parte degli imperi coloniali europei e la Germania non avrebbe fatto eccezione quanto a violenza e brutalità. “I leader europei amano indicarsi a vicenda e dire: ‘No, hanno fatto peggio di noi'”, ha affermato Ofuatey-Alazard ad Al Jazeera. “La verità è che hanno fatto tutti cose terribili. La Germania deve riconoscere di più” il ruolo giocato in questa pagina di storia.
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