27 gennaio 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Raffaella Quadri in data Gennaio 27, 2025
Ascolta il podcast
- ONU e Gaza: preoccupazione per i bambini, la tregua indispensabile per gli aiuti umanitari
- Libano: IDF accusa Hezbollah di incitare alla rivolta e spara sui civili
- RDC: 400.000 sfollati e condizioni di sicurezza precarie per le guerre interne
- Colombia: no ai rimpatri forzati dei migranti dagli Stati Uniti
- Venezuela: scarcerati 381 oppositori politici di Maduro
- Bielorussia, elezioni presidenziali: Lukashenko al settimo mandato
Questo – e non solo – nel notiziario di Radio Bullets, a cura di Raffaella Quadri.
Gaza
Tra accuse reciproche di non rispettare i patti presi e minacce di porre termine alla tregua, prosegue lo scambio di prigionieri tra Hamas e Israele.
Quest’ultimo ha però bloccato il rientro dei palestinesi nel nord di Gaza accusando Hamas di non avere rispettato gli accordi del cessate il fuoco.
Accusa prontamente rispedita al mittente dai combattenti palestinesi.
Sabato scorso – 25 gennaio – il rilascio programmato di 4 donne da parte del gruppo armato palestinese avrebbe dovuto riguardare delle civili, mentre sono state liberate 4 soldatesse israeliane, scambiate con 200 prigionieri palestinesi.
Le rimostranze di Israele non si sono fatte attendere, in particolare in merito alla mancata liberazione di una giovane civile, Arbel Yehud, che avrebbe dovuto fare ritorno a casa e per la cui salute si teme.
Da qui l’accusa di Tel Aviv al gruppo armato di non rispetto degli accordi.
All’emittente Al Jazeera però la Jihad islamica palestinese ha dichiarato che la giovane israeliana sarà rilasciata prima del prossimo scambio di prigionieri programmato.
L’ipotesi è che ciò avvenga venerdì prossimo.
Secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz il primo ministro israeliano Netanyahu sarebbe deciso a non consentire il ritorno a nord dei profughi palestinesi, finché la giovane non sarà liberata.
Gaza e l’idea di Trump
Intanto fa discutere l’idea del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per la risoluzione della guerra in Palestina e della situazione nei territori.
Definendo la Striscia di Gaza un sito in demolizione che è necessario ricostruire ha ipotizzato – parlando con i giornalisti sull’aereo presidenziale – l’idea di spostare tutti i palestinesi in Egitto, Giordania e in altri paesi arabi, temporaneamente o a lungo termine, al fine garantire la pace nella regione.
Trump si è detto intenzionato a chiedere a Egitto e Giordania di accogliere i palestinesi.
In una nota della Casa Bianca si fa riferimento a una telefonata intercorsa tra il presidente statunitense e re Abdullah II di Giordania, senza però fornire dettagli.
Durante la telefonata i due leader – si legge nella nota – avrebbero discusso dell’importanza della pace, della sicurezza e della stabilità regionali.
L’Egitto, invece, avrebbe già respinto la proposta trumpiana di trasferire i palestinesi dalla Striscia di Gaza al proprio territorio, secondo quanto riportato sul quotidiano Haaretz.
Mentre l’idea di Trump viene accolta con favore dall’estrema destra israeliana, tanto che il ministro israeliano delle Finanze Bezalel Smotrich, l’ha definita un’idea eccellente, di opposto parere, naturalmente, sono i palestinesi.
L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) respinge con forza la proposta mentre i cittadini di Gaza si oppongono strenuamente all’idea di abbandonare le proprie terre e si dicono certi di far fallire ogni possibile piano in questi termini.
ONU
Di guerra in Palestina si parla anche all’ONU.
La tregua tra le parti, per quanto fragile, permane e soprattutto ha consentito alla popolazione che sta subendo la guerra di avere un po’ di respiro.
Lo ha affermato il Sottosegretario Generale per gli Affari umanitari ONU e Coordinatore degli aiuti di emergenza Tom Fletcher, durante il briefing tenuto al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla situazione umanitaria a Gaza, lo scorso venerdì.
Fletcher ha sottolineato l’importanza della tregua raggiunta che ha permesso l’arrivo nella Striscia di un massiccio afflusso di aiuti umanitari salvavita.
«Un accesso umanitario sicuro e senza ostacoli, insieme all’assenza di ostilità» ha sottolineato Fletcher «hanno migliorato significativamente la nostra capacità di operare».
«Siamo stati in grado di aumentare il flusso di forniture e consegne in arrivo, di incrementare la capacità di stoccaggio e le riparazioni, di fornire servizi salvavita e di effettuare valutazioni dei bisogni e dei danni».
Nel ricordare che, se tutte le parti continueranno a rispettare l’accordo, si potranno salvare altre vite, ha ringraziato la mediazione di Egitto, Qatar e Stati Uniti.
È però fondamentale, ha ricordato, un lavoro congiunto.
«Le organizzazioni e le agenzie umanitarie si sono unite per raggiungere i nostri obiettivi umanitari» ha detto. «Ma non possiamo farlo da soli. L’invio di grandi volumi di aiuti a Gaza richiede uno sforzo collettivo».
La vita di più di 2 milioni di persone, ha ricordato, dipende dal sostegno umanitario.
«È quindi fondamentale che le scorte vengano regolarmente rifornite, anche dagli Stati membri. Gli sforzi per gli aiuti devono essere urgentemente integrati dal settore privato».
Nel suo report Fletcher ha voluto sottolineare la situazione dei bambini della Striscia di Gaza.
«Stime prudenti indicano che oltre 17.000 bambini sono senza famiglia a Gaza» ha detto il Sottosegretario.
Si parla di una «generazione traumatizzata», ha proseguito, riportando i dati UNICEF, secondo i quali «un milione di bambini ha bisogno di salute mentale e di sostegno psicosociale per affrontare depressione, ansia e pensieri suicidi».
Ha ricordato poi che, oltre a mettere in campo tutti gli sforzi possibili per aumentare gli aiuti a Gaza, è necessario tenere alta l’attenzione anche sulla Cisgiordania. Particolarmente preoccupante è la situazione a Jenin.
Tom Fletcher ha poi concluso il suo intervento con tre richieste al Consiglio di Sicurezza dell’ONU:
- garantire il mantenimento del cessate il fuoco
- garantire il rispetto del diritto internazionale
- garantire che le operazioni umanitarie siano ben finanziate.
Libano
Se a Gaza, seppur in un continuo braccio di ferro tra le due parti, il cessate il fuoco procede, più complicata è la situazione in Libano.
Si parla di oltre venti persone uccise e centinaia ferite a seguito di attacchi dell’IDF (Israel Defense Forces) nella parte meridionale del paese.
I libanesi sarebbero stati colpiti mentre cercavano di tornare ai propri villaggi.
Per Israele, i civili sfollati sarebbero stati incitati alla rivolta da Hezbollah.
Inoltre, l’incapacità dell’esercito libanese di liberare quelle zone dalla minaccia dei combattenti di Hezbollah sarebbe la causa del rinvio del ritiro delle truppe israeliane.
Repubblica Democratica del Congo
È forte la preoccupazione dell’UNHCR – l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – per la sicurezza e l’incolumità dei civili e degli sfollati nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo.
Si è intensificato il conflitto nelle province del sud e del nord Kivu, facendo salire il numero di sfollati a più di 400.000 persone.
L’UNHCR registra anche ripetute e sempre più frequenti violazioni dei diritti umani, un numero crescente di civili feriti negli ospedali e persone vulnerabili – soprattutto donne, bambini e anziani – che vivono in condizioni di sovraffollamento e precarietà, e con accesso limitato a cibo, acqua e servizi essenziali.
Colombia
La politica di espulsioni voluta da Trump negli Stati Uniti si scontra con il secco no ai rimpatri forzati da parte del presidente colombiano Gustavo Petro.
Il presidente, che ha accusato gli USA di trattare i migranti colombiani come fossero delinquenti, ha dichiarato che la Colombia non accoglierà i suoi concittadini espulsi dagli Stati Uniti.
Sarà necessario, spiega Petro, che si stabilisca tra i due paesi un protocollo in grado di garantire il rispetto dei diritti umani.
Prima di allora, gli aerei americani con a bordo i migranti non avranno quindi il permesso di atterrare sul suolo colombiano.
Per tutta risposta, Trump ha imposto tariffe alle merci colombiane del 25%, ottenendo in cambio il medesimo trattamento da parte di Petro: dazi alle merci nordamericane del 25%.
Brasile
Stessa dura presa di posizione ai rimpatri forzati dagli States da parte del Brasile.
Il ministro della Giustizia e della Pubblica Sicurezza del Brasile, Ricardo Lewandowski, accusa gli Stati Uniti di non avere rispettato i diritti fondamentali di 88 migranti irregolari brasiliani espulsi dal territorio nordamericano e ammanettati durante il volo.
I migranti avrebbero anche dichiarato di essere stati trattati con violenza dagli agenti statunitensi.
Secondo la stampa brasiliana non sarebbe la prima volta che accade.
Le manette ai posti dei concittadini espulsi dagli Stati Uniti sarebbero state messe anche nei precedenti 32 rimpatri avvenuti sotto l’amministrazione Biden.
In totale, i rimpatri forzati avrebbero riguardato 3.660 brasiliani dall’inizio della nuova presidenza di Lula da Silva, il 1º gennaio 2023.
Venezuela
Scarcerazione concessa a 381 prigionieri politici in Venezuela.
Incarcerati a seguito delle manifestazioni contro l’elezione di Nicolás Maduro alla presidenza del paese, lo scorso 28 luglio, gli oppositori politici sono stati rilasciati, anche se l’accusa a loro carico non sarà cancellata e rimarranno sotto controllo.
Queste ultime revisioni si aggiungono alle precedenti, per un totale di 1.896 scarcerazioni concesse sinora.
Tuttavia, secondo i dati riferiti dalle Ong che si occupano di queste situazioni, nelle carceri venezuelane restano ancora circa 1.900 prigionieri politici.
Bielorussia
“Le elezioni presidenziali in Bielorussia sono ora valide”.
A dichiaralo è la Tass, l’agenzia di stampa russa, che riporta i dati di affluenza alle urne con oltre l’85% degli elettori, poco meno di 7 milioni di bielorussi.
Il voto si è chiuso ieri, domenica 26 gennaio, e tra i 5 candidati si è presentato anche Alexander Lukashenko, al potere nel paese da tre decenni e presidente già per sei mandati.
Secondo gli exit poll avrebbe vinto con l’87,6% dei voti.
Gli alti candidati sono:
- Anna Kanopatskaya – imprenditrice
- Oleg Gaidukevich – presidente del Partito liberaldemocratico
- Sergey Syrankov – primo segretario del Comitato centrale del Partito comunista bielorusso
- Alexander Khizhnyak – presidente del Partito repubblicano del lavoro e della giustizia.
Sulla validità democratica anche di questa elezione crede poco l’Unione europea.
I membri del Parlamento europeo hanno chiesto che i risultati non vengano riconosciuti.
Del resto la forte repressione degli oppositori politici ha fatto in modo che il risultato fosse scontato.
Anche diverse Ong per i diritti umani hanno già definito le elezioni “una farsa”.
Diversa la posizione russa che ha parlato di elezioni presidenziali “aperte e trasparenti”.
Lukashenko sarà presidente della Bielorussia anche per i prossimi 5 anni.
Foto in copertina: 2024 UNRWA / Abdallah Al-Haj.
Ascolta/Leggi anche:
- Gaza, WeWorld: “Condizioni drammatiche”
- Gaza, UN: “Sollievo per cessate il fuoco”
- Venezuela: Delpino, mancanza di trasparenza
- Venezuela: dove niente è come sembra
- Guerra in Ucraina, qual è il ruolo della Bielorussia
E se credi in un giornalismo indipendente, serio e che racconta il mondo recandosi sul posto, puoi darci una mano cliccando su Sostienici