30 giugno 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Barbara Schiavulli in data Giugno 30, 2025
- Congo e Rwanda firmano la pace sotto l’ombrello USA.
- Gaza: Israele ordina nuove evacuazioni, mentre Trump chiede il cessate il fuoco.
- Afghanistan: il turismo secondo i Talebani
- Russia: attacco senza precedenti contro l’Ucraina.
- Ungheria: Pride vietato, nessuno ascolta
- Serbia: studenti in piazza, Vucic sotto pressione.
- Sudan: l’esodo che il mondo ha dimenticato.
- Norvegia: milionari per errore.
Introduzione al notiziario: il missile nella cella del dissidente
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli
Israele e Palestina
■ GAZA: Le IDF hanno emesso ordini di evacuazione per i residenti di Jabalya e della città di Gaza , così come per molti altri quartieri della zona, aggiungendo che “stanno operando con estrema forza in queste aree e che le operazioni militari aumenteranno, si intensificheranno e si estenderanno verso ovest, in direzione del centro città, per distruggere le capacità delle organizzazioni terroristiche”.
I media palestinesi hanno riferito che gli attacchi israeliani e il fuoco dell’artiglieria hanno ferito decine di persone nel quartiere Tuffah di Gaza City.
Il Ministero della Salute, guidato da Hamas, ha dichiarato che 88 palestinesi sono stati uccisi e 365 sono rimasti feriti nella Striscia nelle ultime 24 ore.
Secondo il Ministero, dal 7 ottobre, a Gaza sono state uccise in totale 56.500 persone.
■ OSTAGGI/CESSATE IL FUOCO: Il ministro israeliano Ron Dermer visiterà la Casa Bianca oggi per colloqui con alti funzionari statunitensi sulla conclusione della guerra a Gaza.
L’amministrazione Trump intende chiarire a Dermer che la guerra deve finire e che la priorità dovrebbe essere il salvataggio degli ostaggi rimasti vivi , hanno detto ad Haaretz due fonti che hanno recentemente parlato con un alto funzionario della Casa Bianca .
Una delle fonti ha osservato che non è ancora chiaro quanta pressione l’amministrazione Trump sia disposta a esercitare su Israele per raggiungere tali obiettivi.
L’alto funzionario di Hamas, Mahmoud Mardawi, ha dichiarato sul suo canale Telegram che il Primo Ministro Netanyahu sta proponendo condizioni impossibili per impedire un accordo di cessate il fuoco e si rifiuta di impegnarsi a rispettare le clausole dell’accordo che aveva già approvato in passato.
■ USA-ISRAELE: Il Presidente Trump ha ribadito il suo appello ad annullare il processo per corruzione di Netanyahu , affermando che “interferirà con i negoziati sia con l’Iran che con Hamas… Gli Stati Uniti d’America spendono miliardi di dollari all’anno, molto di più rispetto a qualsiasi altra nazione, per proteggere e sostenere Israele. Non tollereremo questo”.
Trump ha concluso il post dicendo ” LASCIA ANDARE BIBI, HA UN GRANDE LAVORO DA FARE! ”
CISGIORDANIA: Un tribunale israeliano ha esteso la detenzione di quattro coloni sospettati di aver attaccato i riservisti delle IDF in Cisgiordania venerdì sera.
Nel primo semestre del 2025, gli attacchi da parte dei coloni israeliani contro i palestinesi in Cisgiordania sono aumentati del 30% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso: 414 episodi contro i 318 del 2024.
A renderlo noto è la Army Radio israeliana, che cita dati ufficiali del governo.
Ma non è solo questione di numeri. La violenza, spiegano fonti militari, è diventata anche più brutale. Una strategia del terrore, tollerata e in alcuni casi protetta.
Nel solo 2024, gli attacchi dei coloni avevano già raggiunto quota 679. E dal lancio dell’offensiva su Gaza nell’ottobre 2023, il bilancio in Cisgiordania è drammatico: almeno 986 palestinesi uccisi, oltre 7.000 feriti da coloni e forze israeliane.
Un conflitto a bassa intensità, ma costante, che si consuma nell’indifferenza del mondo e sotto il silenzio complice dei media occidentali.
Luglio scorso, la Corte Internazionale di Giustizia ha dichiarato illegale l’occupazione israeliana dei territori palestinesi, chiedendo il ritiro di tutte le colonie dalla Cisgiordania e da Gerusalemme Est.
Da allora, nessun passo concreto. Solo più morti, più violenza, più insediamenti.
In Cisgiordania si muore senza missili, ma si muore ogni giorno. E l’occupazione continua a chiamarsi “sicurezza”.
Forse è il vocabolario, prima ancora della politica, che andrebbe disarmato.
■ LIBANO: Le IDF hanno affermato di aver ucciso sabato nel sud del Libano un agente dei servizi segreti della Forza d’élite Radwan di Hezbollah, Abbas Al-Hassan Wahbi.
SIRIA: L’esercito israeliano ha annunciato domenica di aver condotto una serie di raid nel sud della Siria, catturando “diversi individui” e portandoli all’interno di Israele per “interrogatori approfonditi”. Le operazioni, condotte dalla 210ª Divisione, avrebbero colpito presunti depositi di armi.
■ IRAN: L’attacco aereo israeliano alla prigione di Evin a Teheran la scorsa settimana ha ucciso 71 persone, ha affermato un portavoce della magistratura iraniana.
Congo e Rwanda
Un accordo di pace è stato firmato a Washington tra la ministra degli Esteri congolese Thérèse Kayikwamba e il suo omologo ruandese Olivier Nduhungirehe, alla presenza del segretario di Stato americano Marco Rubio.
Un incontro con Donald Trump alla Casa Bianca è previsto a seguire.
L’accordo — già definito da Trump “meraviglioso” prima ancora della firma — arriva dopo anni di conflitto nell’est del Congo, dove i ribelli dell’M23, con l’appoggio sospetto del Rwanda, hanno riacceso la guerra nel 2021, causando migliaia di morti e milioni di sfollati.
Ma è vera pace o solo una tregua mascherata?
Il patto si fonda su principi di integrità territoriale e disarmo dei gruppi armati, ma non cita direttamente la questione delle truppe ruandesi né le violenze sessuali sistematiche usate come arma di guerra.
“Il mondo si è dimenticato del Congo”, ha denunciato Tom Fletcher dell’ONU. Goma, al confine con il Rwanda, ha visto le peggiori atrocità: stupri, massacri, fuga in massa della popolazione.
Yvon Muya, esperto della regione, commenta: “L’accordo è un passo importante, ma sarà fragile se non sostenuto da fatti concreti, inclusi giustizia e ritorno dei rifugiati.”
Il sospetto: un accordo transazionale in stile Trump, più centrato su interessi economici — con una vaga “integrazione regionale” — che sulla protezione dei civili. E senza il coinvolgimento attivo dell’Unione Africana, della SADC o dell’EAC, già coinvolte in precedenti mediazioni.
Il rischio: che questa pace serva più a consolidare presenze geopolitiche e interessi minerari statunitensi, lasciando indietro i bisogni reali delle comunità colpite.
L’odore della terra bruciata e delle fosse comuni aleggia ancora tra le colline del Kivu. Una firma a Washington non cancella anni di massacri, e una foto con Trump non garantisce giustizia. La pace senza verità è solo una pausa tra due guerre.
Sudan
Fatima Omas Abdullah si sveglia ogni mattina con dolori ovunque. Da quasi due anni dorme sulla nuda terra, da quando la guerra civile in Sudan l’ha costretta a fuggire nel vicino Ciad.
Il suo rifugio è un campo di transito ad Adre, a pochi passi dal confine, dove oltre 235.000 rifugiati sudanesi sopravvivono tra polvere, fame e promesse svanite.
Nel 2024, Washington aveva contribuito con 39 milioni di dollari all’emergenza in Ciad. Quest’anno appena 6,8 milioni.
Il sistema di aiuti internazionali che teneva in vita centinaia di migliaia di persone sta crollando. Solo il 13% dei fondi necessari è stato raccolto.
Intanto, il Programma Alimentare Mondiale avverte: gli aiuti alimentari per Adre finiranno a luglio.
Nata come cittadina di 40.000 abitanti, oggi Adre è diventata una megalopoli improvvisata: rifugi di paglia e mercati gestiti dai sudanesi convivono con carenza d’acqua, criminalità e tensioni crescenti.
Il prezzo dell’acqua è quadruplicato, scoppiano risse ai pochi pozzi, e la gang dei “Colombiani” terrorizza le strade. Le autorità chiedono lo sgombero immediato: “Ci sono troppi, è una città vastissima” – dicono.
I rifugiati vengono forzatamente trasferiti in campi più interni, come Tine, 180 km più a nord. Da aprile, 46.000 nuovi arrivi, testimoni di stupri, omicidi, saccheggi nelle città martoriate del Darfur come Zamzam ed El-Fasher.
Dormono nella sabbia, sotto rami e teli. Alcuni tornano indietro verso Adre, per stare più vicini al Sudan, o per guadagnare qualcosa. Anche a costo della vita: Zohal Hamad è stata colpita da un proiettile mentre gestiva il suo chiosco di caffè.
Scuole, cliniche, centri per le donne, mercati in valuta sudanese. Ma la pressione aumenta: il Ciad è uno dei Paesi più poveri al mondo. E la solidarietà, purtroppo, non basta a sfamare.
Il Sudan sta svuotandosi nel silenzio. Non fa notizia, non produce indignazione. Ma a ogni frontiera – Adre, Tine, l’infinito confine col nulla – si consuma una delle peggiori crisi umanitarie del mondo.
E mentre i tagli agli aiuti segnano la condanna di migliaia di vite, resta una domanda:
Chi decide quali guerre meritano attenzione e quali no?
Chi dorme sulla sabbia, lo ha già capito. Il mondo ha girato la faccia.
Kenya
Il ministro degli Interni del Kenya, Kipchumba Murkomen, è stato ripreso in un video mentre sembra autorizzare la polizia a sparare sui manifestanti.
Le immagini sono emerse dopo una giornata di sangue: almeno 16 persone uccise mercoledì durante le proteste contro la brutalità delle forze dell’ordine.
Le manifestazioni, nate contro una controversa legge finanziaria, si sono trasformate in una rivolta nazionale contro la repressione e la corruzione.
I video diffusi mostrano agenti aprire il fuoco su cortei pacifici. E ora, le parole del ministro rischiano di infiammare ancora di più la situazione.
Il Kenya sta danzando sull’orlo dell’abisso, e ogni silenzio internazionale è una spinta in più verso il baratro.
Serbia
Migliaia di persone sono scese in piazza sabato nella capitale serba per chiedere elezioni anticipate e la fine del governo di Aleksandar Vucic.
La manifestazione, organizzata dagli studenti universitari dopo otto mesi di proteste quasi quotidiane, ha portato a scontri con la polizia e decine di arresti.
Le forze dell’ordine parlano di “hooligan”, ma i video raccontano manganelli e tensioni altissime davanti ai palazzi del potere. Feriti 48 agenti e 22 manifestanti.
Il corteo, partito da Slavija Square, ha urlato un messaggio chiaro: “Vogliamo elezioni!” – mentre la polizia circondava il cuore politico di Belgrado.
Alcuni manifestanti hanno letto una dichiarazione simbolica: “Oggi, 28 giugno 2025, dichiariamo questo governo illegittimo.”
La miccia? Il crollo della tettoia di una stazione ferroviaria rinnovata – 16 morti, a novembre. Da lì in poi, accuse di corruzione e negligenza hanno acceso le piazze, soprattutto quella studentesca.
“Siamo sommersi dalla corruzione”, ha detto lo studente Darko Kovacevic. E il messaggio che rimbalza tra i manifestanti è semplice: non ne possiamo più.
Il presidente serbo, ex ultranazionalista e oggi leader populista, ha bollato le proteste come “tentativi di destabilizzazione pilotati dall’estero” – senza prove. Intanto, ha intensificato la repressione: pressione crescente su media indipendenti, università nel mirino, e nessuna apertura su eventuali elezioni prima del 2027.
Sabato, mentre la protesta raggiungeva l’apice, la polizia contava 36.000 persone in piazza.
Il ministro dell’Interno ha dichiarato che i manifestanti avrebbero attaccato la polizia, giustificando così l’uso della forza. Ma le immagini parlano anche di un altro tipo di violenza: quella del potere contro chi chiede democrazia.
Il 28 giugno era Vidovdan, giorno di memoria storica per i serbi, che ricorda la battaglia medievale contro gli ottomani.
In un Paese ancora lacerato dal nazionalismo e stretto tra Europa, Russia e Cina, gli studenti hanno scelto proprio questa data per dichiarare la propria indipendenza dal regime.
L’eco di quella voce – “prendete in mano la libertà!” – risuona ben oltre Belgrado.
Vucic ha i numeri, ma questi studenti hanno la Storia dalla loro parte. E forse, stavolta, anche l’Europa dovrebbe ascoltarli.
Ungheria
Cento mila persone sono scese in piazza sabato, in aperta sfida al divieto imposto dal governo ungherese: il Budapest Pride, vietato dalla legge di marzo che bolla come “propaganda omosessuale verso i minori” qualsiasi evento pubblico LGBTQ+, si è trasformato in una gigantesca manifestazione contro il premier Viktor Orbán.
La marcia è partita dal Municipio, con il sindaco Gergely Karácsony in testa – nonostante il rischio di un anno di carcere.
Record-breaking crowd gathers for Budapest Pride after Hungarian Prime Minister, Viktor Orbán, attempted to ban it and threatened legal repercussions. pic.twitter.com/oRxuASRxgb
— Pop Base (@PopBase) June 28, 2025
Il percorso è stato deviato per evitare i gruppi di estrema destra radunati al Ponte della Libertà, ma la determinazione non ha vacillato. Musica, bandiere arcobaleno, slogan contro il governo. Più che una parata: un atto di resistenza civile.
Il governo ha minacciato multe fino a 200.000 fiorini per chi partecipava. Telecamere, riconoscimento facciale, repressione annunciata. Almeno 30 le persone arrestate.
Ma la risposta è stata opposta: presenza, visibilità, orgoglio. Come ha detto una giovane manifestante: “Non è solo per i diritti LGBTQ+. È per il nostro diritto a esistere e resistere.”
Il sindaco Karácsony ha parlato di libertà contro l’autoritarismo, ricordando che il Pride coincide con la commemorazione del ritiro sovietico: “Non abbiamo bisogno dei discepoli di Putin per sostituirli,” ha detto.
Il messaggio è chiaro: Budapest resta europea, libera, solidale – anche con l’Ucraina, i media indipendenti, le ONG.
In piazza anche oppositori politici e rappresentanti europei. Klára Dobrev della Coalizione Democratica ha accusato Orbán di voler governare con la paura.
L’eurodeputata socialista Ana Catarina Mendes e la presidente dell’S&D Iratxe García Pérez hanno marciato al fianco dei manifestanti, ribadendo che i valori europei vanno difesi anche nelle strade, non solo a Bruxelles.
Quando un Pride vietato diventa un fiume umano, è la democrazia a camminare. E se l’Europa vuole ancora contare qualcosa, deve imparare da queste strade: lì dove
si balla sotto le minacce, si costruisce futuro.
Il messaggio è arrivato forte anche a chi vuole silenziarlo: l’Ungheria non è (ancora) perduta.
Norvegia
È bastata una notifica per far sognare migliaia di norvegesi di essere diventati milionari grazie alla lotteria Eurojackpot. Peccato che fosse tutto un errore.
A comunicarlo è stata la compagnia statale del gioco d’azzardo Norsk Tipping, che ha ammesso un bug informatico nella conversione delle vincite da Eurocent a corone norvegesi.
L’importo, invece di essere diviso per 100, è stato moltiplicato. E così molti si sono visti recapitare premi da capogiro, salvo poi scoprire di aver vinto solo una frazione di quanto sperato.
Una donna intervistata dalla NRK aveva già iniziato la ristrutturazione del bagno convinta di aver vinto 1,2 milioni di corone (circa 119.000 dollari).
Invece, ha ricevuto solo pochi spiccioli. Centinaia di norvegesi avevano già iniziato a pianificare vacanze, traslochi, acquisti. Poi la doccia fredda.
Dopo l’errore, la CEO Tonje Sagstuen si è dimessa. “Capisco la rabbia, è una frattura nella fiducia,” ha detto, aggiungendo che aveva ricevuto numerosi messaggi di persone “deluse e ferite”.
Sagstuen era a capo di Norsk Tipping da settembre 2023 e lavorava lì dal 2014.
Il consiglio di amministrazione ha tenuto un incontro d’urgenza con il Ministero della Cultura, che supervisiona l’ente.
Anche la ministra Lubna Jaffery ha criticato duramente l’accaduto: “Errori simili non devono accadere, soprattutto in una compagnia che ha il monopolio dei giochi nel Paese.”
Norsk Tipping ha ammesso di aver subito gravi critiche negli ultimi mesi per una serie di errori tecnici. E ha promesso “processi di miglioramento” interni. Intanto, resta l’amarezza e la lezione: quando ti dicono che sei diventato ricco all’improvviso… meglio aspettare la conferma.
Russia e Ucraina
È stata definita la più massiccia ondata di attacchi aerei dall’inizio dell’invasione russa nel febbraio 2022: 537 armi aeree lanciate in 24 ore, tra cui 60 missili e quasi 500 droni e falsi bersagli.
A dirlo l’aeronautica ucraina, secondo cui 249 droni sono stati abbattuti e altri 226 neutralizzati da contromisure elettroniche.
Le bombe sono cadute ovunque, anche lontano dal fronte. A Kherson e Kharkiv due persone sono state uccise in attacchi con droni, mentre nella regione di Cherkasy sei civili – tra cui un bambino – sono rimasti feriti.
A Lviv, nell’ovest del Paese, un impianto industriale è andato a fuoco dopo un raid, lasciando parte della città senza elettricità.
Tra le vittime, anche un pilota ucraino. Aveva appena abbattuto sette obiettivi russi con il suo F-16, quando il velivolo, colpito, è precipitato.
È morto dopo aver completato la missione. L’eroismo, quando è anche sacrificio, pesa doppio.
Mosca ha annunciato l’abbattimento di tre droni ucraini, mentre a Bryansk, vicino al confine, due civili sono rimasti feriti da un attacco aereo di Kiev.
Intanto le truppe russe rivendicano l’occupazione del villaggio di Novoukrainka, nel Donetsk, continuando la loro lenta e sanguinosa avanzata lungo i 1000 km di linea del fronte.
Il capo dell’intelligence estera russa ha parlato con il direttore della CIA, John Ratcliffe.
Un’apertura? Forse. Ma intanto Putin rilancia la disponibilità a negoziare a Istanbul, mentre la guerra continua a mietere vittime e la diplomazia sembra più una copertura che una reale intenzione.
Canada
Il governo canadese ha annunciato nella notte il ritiro della Digital Services Tax, la tassa del 3% sui giganti tecnologici americani come Google, Amazon e Apple, dopo le pressioni dirette del presidente Donald Trump, che aveva sospeso i negoziati commerciali tra i due paesi e minacciato nuove tariffe punitive.
Il prelievo — già in vigore ma con i primi pagamenti previsti da oggi — avrebbe dovuto fruttare circa 2,7 miliardi di dollari in entrate retroattive.
Trump l’ha definita “un attacco sfacciato” e aveva promesso di rispondere con dazi aggiuntivi.
Dopo un colloquio tra il primo ministro canadese Mark Carney e Trump, Ottawa ha ceduto: la tassa sarà ritirata con effetto immediato, in attesa di un accordo commerciale più ampio da siglare entro il 21 luglio.
Intanto, i colloqui sono ripresi anche tra i rispettivi ministri dell’economia e del commercio.
“Il nostro obiettivo resta un accordo che tuteli imprese e lavoratori canadesi”, ha dichiarato Carney, mentre il Canada continua a subire dazi USA fino al 50% sull’acciaio e il 25% sulla maggior parte dei beni, nonostante il trattato commerciale nordamericano (USMCA).
Il Canada, seconda economia commerciale per gli USA, ha scelto di evitare una guerra economica — ma a quale costo?
La cancellazione di una tassa legittima e mirata fa sembrare il governo canadese più sottomesso che strategico.
Una vittoria per Trump, una sconfitta per chi sperava in una regolamentazione globale dei giganti del digitale.
Stati Uniti
Due vigili del fuoco sono stati uccisi e un terzo ferito in un agguato a colpi di fucile di precisione mentre rispondevano a un incendio boschivo a Canfield Mountain, alle porte di Coeur d’Alene, nel nord dell’Idaho. Il fuoco, letteralmente e metaforicamente, è divampato poco dopo l’arrivo delle squadre: intorno alle 14, una pioggia di proiettili ha colpito i soccorritori.
La scena si è trasformata in un incubo: “Tutti colpiti, mandate subito la polizia”, recitava un drammatico messaggio radio.
Un’operazione tattica ha portato, nella notte, al ritrovamento del corpo di un uomo armato, che si presume sia l’aggressore. Il suo nome e il tipo d’arma non sono ancora stati diffusi.
Il fuoco di ritorno da parte degli agenti e l’intervento dell’FBI, con squadre tecniche e tattiche, hanno riportato la zona sotto controllo. Ma l’incendio continua a bruciare, mentre resta alta la tensione tra i residenti.
Il governatore dell’Idaho Brad Little ha parlato di un “attacco odioso contro i nostri eroi”, e anche la leadership repubblicana dello Stato ha condannato “con orrore” il gesto.
Messico
A Ciudad Juarez, nel nord del Messico, la procura dello Stato di Chihuahua ha scoperto 381 corpi accatastati senza alcun criterio all’interno di un crematorio privato. I cadaveri — imbalsamati, con certificati di morte — giacevano uno sull’altro, in condizioni disumane.
Secondo le autorità, alcuni potrebbero essere lì da oltre due anni. Il portavoce della procura, Eloy García, parla di negligenza gravissima da parte dell’impresa funebre.
Uno degli amministratori si è presentato spontaneamente, ma le indagini proseguono per accertare le responsabilità penali.
Il Messico è da tempo travolto da una crisi forense: tra criminalità organizzata, carenze di personale e strutture allo stremo, il sistema fatica a gestire l’enorme numero di cadaveri non identificati o non reclamati.
Argentina
Sono salite a 48 le vittime in Argentina per la somministrazione di fentanil contaminato da un batterio killer. Lo conferma l’ultimo bollettino del Ministero della Sanità: i decessi si sono verificati in 11 ospedali diversi, a partire dall’8 maggio. Si tratta, secondo le autorità, del peggior caso di contaminazione da farmaci nella storia recente del Paese.
Al centro dell’indagine, il laboratorio HLB Pharma Group S.A., accusato di aver distribuito fiale di fentanil contaminate dal batterio Klebsiella pneumoniae, noto per causare polmoniti, meningiti e altre infezioni invasive. Tutte le vittime avrebbero ricevuto medicinali provenienti dalla stessa partita contaminata.
Il timore, ora, è che il numero reale dei morti sia ben più alto, con casi di polmonite letale attribuiti in passato a cause naturali e mai collegati al farmaco.
Le autorità sanitarie monitorano ora ogni caso di infezione invasiva – non solo polmonite ma anche meningite – nei pazienti trattati con Fentanil HLB tra novembre 2024 e il 15 maggio 2025.
Afghanistan
Aereo, moto, camper, persino in bicicletta: lentamente, i turisti tornano in Afghanistan. E il governo talebano, salito al potere nell’agosto 2021 e non riconosciuto da nessuno, è più che felice di accoglierli.
Quasi 9.000 stranieri hanno visitato il Paese lo scorso anno. Nei primi tre mesi del 2025, sono già quasi 3.000.
“Il turismo porta benefici economici e spirituali”, afferma Qudratullah Jamal, vice ministro del Turismo. “Vogliamo che il mondo conosca il vero Afghanistan.”
L’Afghanistan resta uno dei Paesi più poveri al mondo, e il regime è affamato di valuta straniera.
I visti sono facili da ottenere, i voli diretti da Istanbul e Dubai atterrano ogni settimana. È stato aperto persino un istituto per formare personale turistico – solo maschile, ovviamente.
Il governo ha vietato parchi, scuole, sport, e saloni di bellezza alle donne afghane.
Eppure le turiste straniere possono entrare nei parchi, coprire solo i capelli e, a Kabul, raramente il volto. Il messaggio è chiaro: benvenuti sì, ma a certe condizioni.
La domanda etica rimane: si può fare turismo in un Paese che opprime metà della sua popolazione?
La risposta di alcuni viaggiatori è che i soldi vanno alla gente, non al governo. E che viaggiare è un modo per capire. Come dice James Liddiard, britannico in camper: “Metti denaro nelle mani delle persone, non del regime.”
Ma resta il rischio che ogni selfie tra le rovine, ogni visita guidata nei bazar, diventi parte della narrazione talebana: “vedete? Tutto è normale.” Anche se normale non è.
Il sangue non scorre più come durante gli anni dell’occupazione USA. Ma il pericolo resta: nel 2024, tre turisti spagnoli sono stati uccisi a Bamiyan.
L’ISIS ha rivendicato. E le strutture per accogliere stranieri, pur in crescita, restano fragili.
L’Afghanistan oggi si vende come Paese sicuro e accogliente, ma resta una gabbia per le donne afghane. Dietro l’ospitalità e i panorami mozzafiato c’è un regime che nega diritti fondamentali.
Può il turismo costruire ponti, se mezzo ponte è sbarrato alle donne?
Viaggiare è conoscere. Ma conoscere significa anche non dimenticare chi, in quel Paese, non può nemmeno uscire di casa.
Hong Kong
A Hong Kong si è spenta un’altra luce della democrazia. La League of Social Democrats, ultimo partito pro-democrazia attivo nelle strade, ha annunciato il proprio scioglimento definitivo a causa delle pressioni politiche “enormi” imposte dal governo.
È solo l’ultimo capitolo della repressione iniziata con le proteste del 2019 e inaspritasi con la legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nel 2020.
In questi anni sono stati arrestati o esiliati centinaia di attivisti, chiusi media indipendenti, sciolti decine di gruppi civili.
La League of Social Democrats era nota per la sua militanza combattiva e le sue proteste creative, anche se sempre non-violente. Aveva tre parlamentari, tra cui Leung Kwok-hung, detto “Capelli lunghi”, oggi in carcere.
La disgregazione del partito arriva alla vigilia del 28° anniversario della restituzione di Hong Kong alla Cina, quando — un tempo — la città si riempiva di cortei e slogan per la democrazia. Oggi, il silenzio è di Stato.
L’altro grande partito democratico, il Democratic Party, sta valutando a sua volta lo scioglimento. Ai suoi membri è stato “consigliato” di farlo per evitare ritorsioni.
Australia
Cinque persone sono state arrestate venerdì durante una protesta contro SEC Plating, un’azienda australiana accusata di fornire servizi per componenti degli F-35 israeliani. Secondo il partito dei Verdi del Nuovo Galles del Sud, la compagnia contribuisce alla catena globale che “sostiene il genocidio contro il popolo palestinese”.
La polizia ha ordinato ai circa 60 manifestanti di allontanarsi e ha arrestato chi ha rifiutato o ha cercato di fuggire. Tutti sono stati rilasciati su cauzione, in attesa di processo il 15 luglio.
Durante gli arresti, la 35enne Hannah Thomas, ex candidata dei Verdi, ha riportato gravi lesioni all’occhio, con il volto coperto di sangue nelle immagini diffuse sui social. È stata portata all’ospedale di Bankstown e potrebbe perdere l’occhio.
Sue Higginson, deputata dei Verdi e portavoce per la Giustizia, ha parlato di uso eccessivo e brutale della forza da parte della polizia e ha sollevato “seri dubbi sulla legalità delle azioni contro cittadini che esercitavano il diritto di manifestare”.
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