31 ottobre 2025 – Notiziario Africa
Scritto da Elena Pasquini in data Ottobre 31, 2025
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“La libertà non viene mai concessa volontariamente dall’oppressore; deve essere richiesta dall’oppresso”, scriveva nel 1963 Martin Luther King.
La chiedono le piazze africane, una dopo l’altra. Che sia per fame di giustizia ed equità, per un voto trasparente, per un cambiamento atteso troppo a lungo.
È la Tanzania a riempire le strade, per contestare l’esito di un’elezione che sembra scontata e per denunciare la repressione del governo.
Ma scendono in piazza anche i cittadini del Camerun, dove sale la tensione.
Iniziamo da qui, dalla Tanzania e dal Camerun, poi andremo in Tunisia dove una storica organizzazione delle donne è stata sospesa.
E infine nel deserto del Kalahari e nei Paesi che puntano tutto sul turismo di lusso. Con quali conseguenze?
Oggi, 31 ottobre 2025.
Tanzania
Tanzania in fiamme.
Le proteste si sono estese a tutto il Paese, le strade si sono riempite di manifestanti, che hanno eretto barricate, acceso fuochi, strappato i manifesti della Presidente Samia Suluhu Hassan.
Spari nella città settentrionale di Mwanza, scontri a Dodoma e a Dar es Salaam, dove è stato imposto il coprifuoco, internet bloccata.
Ieri la polizia ha sparato gas lacrimogeni e colpi di arma da fuoco per disperdere la folla tornata a riempire le strade dopo le elezioni di mercoledì, quando sono stati annunciati i primi esiti del voto che indicavano il 95% delle preferenze a Suluhu Hassan nella provincia di Mbea.
“Tito Magoti, attivista tanzaniano per i diritti umani, ha dichiarato a Reuters di aver ricevuto segnalazioni di almeno cinque morti nelle proteste di mercoledì.
Una fonte diplomatica, che ha chiesto di rimanere anonima, ha affermato che ci sono solide notizie secondo cui almeno 10 persone sarebbero state uccise a Dar es Salaam” scrive l’agenzia Reuters, che non ha però potuto verificare l’informazione.
“Un testimone oculare ha raccontato alla BBC di aver visto centinaia di manifestanti riversarsi nella città di Mwanza, situata sulle rive del lago Vittoria e la più popolosa dopo Dar es Salaam.
‘Dopo appena 10 minuti, abbiamo iniziato a sentire spari ed esplosioni di gas lacrimogeni’ ha detto. Vediamo che alcuni feriti vengono evacuati verso di noi”, scrive la testata britannica.
L’opposizione contesta le elezioni di cui sembra scontato l’esito – secondo mandato per Suluhu Hassan e maggioranza al suo partito, sempre al potere dall’indipendenza.
Elezioni che vengono bollate come una “farsa” perché Suluhu Hassan non ha di fatto avversari.
I partiti ammessi a sono sedici piccole formazioni politiche che non godono di un vero consenso, mentre Tundu Lissu, il principale leader dell’opposizione, è in carcere, accusato di tradimento e il suo partito ha boicottato il voto.
L’altro sfidante di un certo calibro, Luhaga Mpina del partito ACT-Wazalendo non è stato ammesso.
I dimostranti son scesi in piazza non solo per contestare il voto ma anche per esprimere il loro dissenso verso un governo che considerano sempre più repressivo, e che avrebbe tradito le promesse quando Suluhu Hassan è stata eletta nel 2021, prima donna al potere dopo la morte del presidente John Magufuli, e proprio con la speranza di veder allenta la morsa repressiva di Magufuli.
Ora, il governo di Suluhu Hassan è accusato di prendere di mira chi solleva critiche, gli oppositori, con arresti e una lunga scia di rapimenti.
Camerun
La violenta repressione non basta a far tacere le piazze del Camerun che contestano i risultati delle elezioni e che sono state riempite da migliaia di persone.
Paul Biya che con i suoi 92 anni è il più anziano capo di Stato del mondo ed è al potere dal 1982, è stato dichiarato ancora una volta presidente del Camerun con il 53,66 % dei voti, contro Issa Tchiroma Bakary.
“Mercoledì mattina, i sostenitori di Tchiroma Bakary… sono scesi nuovamente in piazza nella capitale economica Douala, ancora disseminata di detriti e pneumatici bruciati dopo giorni di disordini” scrive l’agenzia di stampa Reuters.
L’opposizione che ha contestato i risultati di una tornata elettorale segnata dall’ombra delle irregolarità, denunciate da diverse organizzazioni della società civile, ha chiesto ai suoi sostenitori di farsi sentire in massa.
Le proteste sono iniziate che lo spoglio era ancora in corso e con loro, anche la repressione. Almeno quattro persone uccise, centinaia gli arresti tra domenica e lunedì.
Paul Atanga Nji, ministro dell’amministrazione territoriale, ha dichiarato che sono stati i manifestanti a creare il caos e che a perdere la vita sono stati “alcuni criminali”.
“Tchiroma Bakary dovrà affrontare un’azione legale per le accuse di aver incitato a ‘violente manifestazioni post-elettorali’ [come] i suoi ‘complici responsabili di un piano insurrezionale’ afferma Atanga Nji” come scrive la BBC.
“Tchiroma Bakary non ha ancora risposto alla decisione del governo di processarlo, ma in precedenza aveva dichiarato alla BBC che non avrebbe accettato un voto rubato e che non aveva paura di essere arrestato” riporta la testata britannica.
Secondo l’International Crisis Group, il Paese è a un bivio e “il rischio di un peggioramento dei disordini è elevato….
La disputa rischia di degenerare in un Paese già sconvolto da una ribellione separatista nelle sue regioni anglofone.
Gli sforzi per disinnescare la situazione di stallo sono assolutamente necessari, ma non ci sono soluzioni facili” spiegano gli analisti.
C’è preoccupazione da parte delle organizzazioni internazionali, e una richiesta di indagini sulle morti che arriva dai gruppi della società civile che difendono i diritti umani.
Secondo Crisis Group diversi fattori hanno contribuito a minacciare il potere di Biya in quest’ultima tornata elettorale.
La sua coalizione è crollata, è cresciuta la “disillusione per il modo in cui il governo ha gestito il Paese, incluso quello che la Chiesa cattolica ha descritto come un modello di esclusione etnica e appropriazione indebita di risorse” prosegue ICS, e soprattutto il Paese, dove l’età media è diciotto anni, sembra essere stanco di quello che per molti è l’unico presidente che abbiamo mai conosciuto.
Alla luce dei colpi di Stato che hanno attraversato l’Africa occidentale, anche “il governo Biya teme da tempo di essere rovesciato”, sostengono gli analisti.
“Un colpo di stato non può essere escluso, ma non si possono escludere nemmeno gli scismi nelle forze armate…. Potrebbero sorgere divisioni di natura etnico-politica” e tornare a divampare la violenza nelle regioni anglofone”, aggiungono.
Le decisioni dei prossimi giorni saranno cruciali.
Tunisia
Si fa sempre più stretto, angusto e pericoloso lo spazio della società civile tunisina.
È stata sospesa d’autorità, la scorsa settimana, l’Associazione tunisina delle donne democratiche, storica organizzazione nata nel 1989, che ha lottato contro la discriminazione e per la democrazia, giocando un ruolo importante nella mobilitazione del dissenso contro la dittatura di Zine El-Abidine Ben Ali.
Ora, il governo di Kaïs Saïed, che ha preso ogni potere nel 2021, sta cercando di fermare loro e molte altre organizzazioni.
Non potranno lavorare per un mese, per “violazioni” del regolamento, ma secondo il Forum tunisino per i diritti economici e sociali, questa sospensione “fa parte di una nuova serie di misure volte a restringere ulteriormente lo spazio civile in Tunisia, colpendo decine di associazioni”, come si legge in un comunicato del Forum che denuncia tentativi di criminalizzazione e stigmatizzazione, e la politica di repressione degli attivisti.
“Questa settimana i media locali hanno riferito che i procuratori hanno avviato un’indagine sui finanziamenti esteri ricevuti da varie organizzazioni della società civile, tra cui il Forum, I Watch, Al-Bawsala e l’organo di stampa Inkyfada.
Il sito web Business News ha affermato che 47 associazioni sono state sciolte a seguito delle indagini e che le autorità hanno congelato i beni di altre 36” riporta The New Arab.
Raja Dahmani, a capo dell’associazione, ha dichiarato all’Agence France Presse che verranno intraprese vie legali perché non c’è stata nessuna violazione.
Deserto del Kalahari
Le ossa degli antenati di Brian Mienies non sono mai tornate a casa.
Sono state disseppellite e studiate come carcasse di animali.
Agli inizi del Novecento, l’antropologo austriaco Rudolf Pöch percorreva il deserto del Kalahari, terra arida e steppica tra Botswana, Namibia e Sudafrica.
Lo faceva in nome della “scienza razziale”, quella scienza usata per contribuire a giustificare il dominio dell’Europa sull’Africa.
“Quando Pöch (che era armato) terminò il suo viaggio nel Kalahari, aveva già raccolto le ossa o i corpi di oltre 170 persone, da anziani a giovani.
Una volta riesumò un bambino sepolto così di recente che Pöch annotò nel suo diario che il corpo non era ‘ancora completamente decomposto’” scrive Mienies su Minority Africa, che, insieme a ARC, ha pubblicato Unburied una serie podcast che ripercorre la storia del furto di resti indigeni nel Kalahari e dei discendenti che ne chiedono oggi la restituzione, e di cui è in arrivo una seconda stagione.
Pöch, racconta Mienies, che è un attivista ed è assistente del leader tradizionale dei ‡Khomani San, andava in giro con un fonografo, uno strumento con cui registrava le voci di quanti venivano costretti ad aiutarlo e che oggi sono conservate all’Accademia Austriaca delle Scienze, registrazioni che sono uno squarcio sulle dinamiche di potere nella storia del continente:
“Dissotterra tombe, ma non uccide” dice di lui un uomo di nome !Kxara.
“In quell’eco sentiamo uno dei tanti compromessi morali imposti ai nostri antenati” aggiunge Mienies, che spiega come quel dissotterrare rappresenti una grave profanazione che continua “a compromettere il benessere” della sua comunità e a proiettare una lunga ombra.
“Le voci dei miei antenati catturate nelle registrazioni di Pöch sono una testimonianza dello spirito duraturo dei Khomani San, e vi imploro di ascoltarle.
Non importa quanto debole sia la voce, non importa quanto bassa, quanto tremolante, vi imploro di seguire l’eco e di agire in base a ciò che vi dice” conclude Mienies.
Voci come quelle di !Kxara a cui Pöch nel chiedere di salire con lui su una cima e bere dell’acqua, domanda: “Hai paura?” “Pensi che ti mangerò?”
Turismo di lusso
Resort da sogno da raggiungere con jet privati, luoghi esclusivi, esperienze di viaggio destinate a pochissimi per budget altissimi.
È il turismo di lusso che guarda all’Africa come meta di soggiorni che vanno ben oltre il cinque stelle.
È a questo genere di viaggiatori che puntano alcuni governi africani, ma uno studio recente, condotto da Pritish Behuria, accademico dell’Università di Manchester che da quindici anni studia l’economia del Ruanda, dimostra che il turismo di lusso potrebbe non essere la gallina dalle uova d’oro e potrebbe portare con sé conseguenze inattese.
“La logica alla base del turismo di lusso è che se ci sono meno turisti con un budget elevato, l’impatto ambientale sarà minore”.
Spesso viene etichettato come un approccio “ad alto valore, a basso impatto”, sostiene Behuria, in un’intervista per The Conversation.
“Tuttavia, studi hanno dimostrato che il turismo di lusso non riduce l’impatto ambientale.
I turisti del lusso sono più propensi a utilizzare jet privati.
I jet privati hanno un impatto ambientale più elevato rispetto ai viaggi in classe economica.
I sostenitori del turismo di lusso ignorano anche che esso rafforza le disuguaglianze economiche, commercializza la natura e limita l’accesso alla terra per le popolazioni indigene”, aggiunge.
Studiando l’economia del Ruanda, Behuria ha scoperto che neppure l’impatto economico è stato sempre positivo e ha voluto capire cosa stesse accadendo in altri Paesi, come l’isola di Mauritius che ha adottato una vera strategia per il turismo di lusso.
“Nel corso degli anni, il turismo ha fornito entrate significative all’economia mauriziana….
Tuttavia, il turismo è stato anche il simbolo della disuguaglianza che ha caratterizzato la crescita di Mauritius.
Il modello di resort all-inclusive – in cui gli hotel di lusso si prendono cura di tutte le esigenze di viaggio e ristorazione dei visitatori – ha fatto sì che il denaro speso dai turisti non sempre entrasse nell’economia locale.
Gran parte dei profitti rimane all’estero o presso i grandi alberghi” spiega Behuria.
Stessa cosa nel Botswana, dove le ricadute nel tessuto economico sociale locale sono state pochissime e dove il turismo fotografico ha contribuito invece ad alimentare le idee stereotipate di un’Africa selvaggia e incontaminata, ad uso e consumo del pubblico straniero.
“Il turismo di lusso avvantaggia ripetutamente solo pochissimi attori – spesso investitori stranieri o entità di proprietà straniera – e non crea sufficiente occupazione né offre maggiori benefici alla popolazione nazionale” aggiunge.
Foto in copertina: Rawpixel
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