9 settembre 2019 – notiziario in genere
Scritto da Radio Bullets in data Settembre 9, 2019
Sudafrica, violenza contro le donne, proteste in tutto il Paese. Ma la pena di morte per gli stupratori non è una soluzione. Francia, manifesti contro il feminicidio. Svizzera, il sessismo è ancora un problema. Anche nel linguaggio. Spagna, l’estate nera delle donne.
Questi i temi di oggi nel notiziario in genere di Radio Bullets, a cura di Lena Maggiaro con la voce di Paola Mirenda.
Sudafrica
Cannoni ad acqua e proiettili assordanti. Sono le misure prese dalla polizia di Città del Capo durante una delle tante, tantissime manifestazioni delle migliaia di donne – ma anche uomini – che Sudafrica si stanno mobilitando da giorni contro la violenza fatta alle donne. Non è un problema nuovo, purtroppo, ma è tornato prepotentemente alla ribalta con lo stupro e l’omicidio di una giovane studentessa dell’Università di Città del Capo, Uyinene Mrwetyana, avvenuto in un ufficio postale. E poi ancora una ragazza di 14 anni che è stata trovata uccisa in un cortile, l’omicidio della campionessa di boxe femminile Leighandre “Baby Lee” Jegels, e il rapimento della studentessa Amy-Lee de Jager, l’unica a tornare illesa.
Sotto il motto #enoughisenough si stanno facendo manifestazioni, proteste rumorose, ma anche petizioni che riportano indietro il Sudafrica, come quella che chiede la reintroduzione della pena di morte per i crimini contro le donne e che già martedì aveva ricevuto oltre 350mila firme. Certo, c’è la necessità di un cambiamento, perché, dice Ndileka Mandela, nipote dell’ex presidente Nelson, “il nostro sistema giudiziario è progettato per proteggere gli uomini, non le donne e questo deve cambiare “. Lei ha firmato la petizione, così come quella che chiede al Parlamento di “dichiarare la violenza di genere in Sudafrica emergenza” che ha raggiunto più di 253.000 firme.
Critiche alla petizione sono state mosse da Shenilla Mohamed, direttrice esecutiva di Amnesty International Sudafrica: “Gli appelli per riportare la pena di morte, da parte di alcuni nella società, sono sbagliati e non risolveranno questo problema”, scrive in un comunicato. “La pena di morte è un sintomo di una cultura della violenza, non una soluzione ad essa”.
Svizzera
La consigliera dei Verdi Regula Rytz ha presentato una mozione per chiedere una campagna nazionale pluriennale contro il sessismo in collaborazione coi Cantoni, la società civile e l’economia. Lo ha fatto la scorsa settimana, contestando il diffuso sessismo in Svizzera, fatto certa,mente di discriminazione salariale e divari pensionistici, ma anche e soprattutto di molestie sessuali e giudizi di valore in negativo.
Secondo uno studio effettuato per conto di Amnesty International e presentato lo scorso 21 maggio, il 59% delle donne in Svizzera ha subito molestie sessuali. Una donna su cinque ha avuto atti sessuali non consensuali perseguibili penalmente e il 61% delle ragazze vengono offese sui social media per il loro aspetto fisico o subiscono umiliazioni sessuali. Secondo alcuni studi, anche il personale sanitario e le giornaliste sono spesso vittime di abusi sessuali che mettono in discussione il loro ruolo professionale. Quasi la metà delle donne non racconta quello che ha subìto e solo l’8 per cento presenta una denuncia. Nonostante tutti gli sforzi compiuti, la discriminazione non è diminuita negli ultimi anni. Né è diminuita la paura: il 40 per cento delle donne in Svizzera teme di essere prima o poi vittima di una forma di pressione sessuale. Non è quindi sufficiente, dice la consigliera verde, che Confederazione, Cantoni e Comuni si limitino a impedire la pubblicità sessista, a istituire uffici di conciliazione o a sensibilizzare i quadri dirigenti e che, in caso contrario, intraprendano un’azione civile o penale. C’è bisogno di un piano pluriennale, insiste Regula Rytz, affinché il sessismo sia presentato in tutti gli ambiti della società come un comportamento inopportuno, irrispettoso e indegno. Perché i rischi di tornare indietro sui diritti sono alti. Prendiamo una questione come quella del linguaggio, che è importante perché il linguaggio genera e riflette la cultura. La Confederazione elvetica si è dotata per esempio di strumenti per il linguaggio non discriminatorio: le linee guida per una comunicazione di genere sono state stilate nel 2006 per la lingua francese e tedesca, nel 2012 per quella italiana . Nel maggio del 2018 il consiglio comunale di Zurigo si è dotato di un analogo strumento. Qualche settimana fa una consigliera dell’Udc, Susanne Brunner, ha presentato una mozione che è stata respinta perché scritta senza rispettare le regole di genere. In sostanza, era tutta declinata al maschile, e con una schiacciante maggioranza il consiglio di Zurigo ha deciso di bocciarla. Per ben due volte. Susanne Brunner fa parte dell’Unione democratica di centro, partito che si definisce “del ceto medio” e che è profondamente nazionalista e di destra. Nei punti semplificati del proprio programma, che trovate sul loro sito internet , si legge anche che “la cultura non è compito dello Stato”. È quel che pensa Brunner, che dieci giorni fa ha lanciato una campagna di raccolta fondi per presentare denuncia per ostacolo al suo lavoro di consigliera. Servono, per il Tribunale di rima istanza, diecimila franchi svizzeri: finora ne ha raccolti 8.500, a dimostrazione di quel che dice la consigliera federale verde Regula Rytz: sul sessismo c’è ancora molto da fare.
Francia
Sono state fermate e denunciate alcune delle attiviste che dal 30 agosto scorso stanno riempendo le strade di Parigi con manifesti scritti a mano che denunciano il continuo femminicidio. L’iniziativa, ideata da Marguerite Stern, attivista femmnista, era partita da un gruppo di una quarantina di donne, che ogni giorno si riunisce, scrive i propri manifesti – dallo slogan al nome delle oltre cento vittime di quest’anno – e li incolla per le strade, davanti ai luoghi istituzionali o nei quartieri di appartenenza. Ai microfoni di France Info, Eva Luna Tholance racconta perché ha deciso di partecipare. “Sentivo che dovevo fare qualcosa. E incollare i nomi delle vittime per le strade è un modo per restituire loro potere”. Oggi le donne che partecipano sono circa 80, e la raccolta fondi per aiutare a comprare carta, colla e colori è arrivata a 2300 euro, a fronte dei 400 che si erano date come obiettivo. Attualmente le città che partecipano all’iniziativa sono 11.
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