Fair Play
Scritto da Giuliano Terenzi in data Gennaio 13, 2019
Sacrifichereste mai una vittoria per un bel gesto? Accompagnereste al traguardo un avversario che non si è accorto di non aver ancora tagliato il traguardo senza superarlo? I protagonisti del podcast di oggi si sono resi protagonisti di gesti simili. Oggi su Radio Bullets con Giuliano Terenzi storie di straordinario fair play
Spinto da un sincero e profondo bisogno di solidarietà di cui, secondo me, oggi più che mai, abbiamo tutti bisogno, in questo podcast ho deciso di soffermarmi a raccontarvi una serie di momenti sportivi che è sempre bene rimarcare; sono tutti episodi che hanno a che fare con la solidarietà, sportiva in questo caso, e con il fair play.
“Il movimento olimpico cerca di creare uno stile di vita basato sulla gioia dello sforzo, sul valore educativo del buon esempio, sulla responsabilità sociale e sul rispetto dei principi etici fondamentali universali. L’obiettivo del movimento olimpico è di mettere lo sport al servizio dello sviluppo armonioso dell’umanità, al fine di promuovere una società pacifica interessata alla preservazione della dignità umana. Lo spirito olimpico richiede comprensione reciproca con spirito di amicizia, solidarietà e fair play”.
Questo è quanto scritto nelle prime pagine della “Carta Olimpica”; poche ma significative parole che tutti i protagonisti di questa puntata hanno incarnato alla perfezione.
Eugenio Monti, meglio conosciuto come “il rosso volante” per il colore dei capelli e per la sua, incredibile, velocità, nasce a Dobbiaco nel 1928. Inizia la sua carriera di sportivo come sciatore e subito si pensa a lui come erede del mitico Zeno Colò, uno degli sciatori italiani più forti di tutti i tempi. Purtroppo, come spesso accade nello sport, ci si mette di mezzo un grave infortunio al ginocchio che costringe Monti ad abbandonare definitivamente lo sci alpino. Prova con lo sci di fondo ma ha subito un altro incidente che gli preclude anche questa possibilità. La tenacia e l’amore per lo sport e per la neve sono l’arma in più per Monti che decide di provare con il bob, con cui si trova subito a suo agio tanto che, a soli tre anni dal suo infortunio nella pista del Sestriere, vince il campionato italiano di bob a quattro. Nel 57 vince la prima medaglia d’oro ai mondiali e sembra non volersi fermare più visto che nei successivi dieci anni trionfa in sette edizioni. Quello che manca è l’oro olimpico. Dopo l’argento alle olimpiadi di Cortina, sia nel bob a due che in quello a quattro, è nettamente il favorito a Innsbruck nel 64 dove gareggia in coppia con Sergio Siorpaes. La prima manche non va benissimo visto che gli italiani fanno registrare solo il quinto tempo ma nella seconda riescono a recuperare tutto lo svantaggio. È qui che succede qualcosa. Fra gli atleti in gara cominciano a susseguirsi voci, fondate, secondo le quali la coppia inglese, quella di Tony Nash e Roby Dixon, stia per ritirarsi dalla competizione a causa della rottura di un bullone dell’asse posteriore del bob. In quegli anni la tecnologia e l’organizzazione non è certo ai livelli odierni e anche la rottura di un banale bullone dovrebbe portare al ritiro la squadra inglese. Dovrebbe. Dovrebbe perché Monti, invece di pensare a festeggiare per il colpo di fortuna che sta per escludere una delle squadre rivali, spianando di fatto la strada alla coppia italiani, decide di prestare un suo bullone a Nash e Dixon che possono quindi affrontare la seconda manche nella quale scendono velocissimi facendo registrare il miglior tempo che vale la medaglia d’oro. “Guardate che Nash non ha vinto perché gli ho dato il bullone. Ha vinto perché è andato più veloce”, dichiara tranquillo Monti alla fine della gara. Per questo gesto gli verrà conferito il premio Pierre De Coubertin, la più alta onorificenza che il Cio, il Comitato olimpico, possa conferire a quegli atleti che dimostrano uno spirito di sportività. Eugenio Monti è il primo atleta della storia a vincere questo importante riconoscimento.
Ah quasi dimenticavo. Quattro anni dopo alle Olimpiadi di Grenoble Monti vince le sue due, prime e ultime, medaglie d’oro.
Con un bel cambio di stato, nell’accezione chimica, passiamo dal ghiaccio del bob all’acqua del mar giallo per raccontare la storia di Lawrence Lemieux, velista canadese, che con il suo baffo e i capelli mossi, oltre alle capacità ha anche il phisique du role del velista. Siamo alle Olimpiadi di Seoul del ’88 e Lemieux sta gareggiando nella quinta regata, su sette totali, della categoria FINN. È una bella giornata, con un vento moderato intorno ai 10-15 nodi, perfetto per questo tipo di gare. Oltre alla categoria alla quale partecipa il canadese, quel giorno si disputano anche due regate valevoli per la categoria 470 (rispetto alla FINN sono imbarcazioni più grandi con un equipaggio di due persone). Lemieux è primo e, conquistando la vittoria, avrebbe ottime chance di vincere una medaglia ma l’improvviso cambiamento delle condizioni metereologiche, con il vento che ora soffia a 35 nodi, impedisce al canadese di vedere una boa da aggirare che gli costa il comando della gara. Veleggiare con questo vento comincia ad essere impegnativo e pericoloso, tant’è che, poche miglia più avanti, Lemieux vede l’imbarcazione di Singapore, che stava partecipando all’altra regata, rovesciata con uno dei due velisti singaporiani visibilmente in difficoltà. Senza pensarci troppo su, Lemieux lascia il percorso della sua gara e devia per soccorrere entrambi i velisti, Her e Chan. Con il vento contrario, il canadese riesce a mantenere la sua imbarcazione stabile e, con grande sforzo, aspetta l’arrivo dei soccorsi per poi ritornare alla sua regata che chiude, però, al ventiduesimo posto. “Non ho più pensato alla gara, la prima regola della vela è che, se vedi qualcuno in difficoltà lo devi aiutare. Se io non ero riuscito a vedere una delle boe arancioni chi avrebbe mai visto una piccola testa andare giù nell’acqua” dichiara Lemieux al termine della gara. Durante la premiazione, il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale, Juan Antonio Saramanch, rivolgendosi a Larry Lemieux dice: “Per la sportività, il sacrificio e il coraggio dimostrato, hai rappresentato in pieno gli ideali dei Giochi Olimpici”. Così come a Monti, anche a Lemieux è stata conferita la medaglia “Pierre De Coubertin”.
La terza medaglia “Pierre De Coubertin” di cui vi racconto oggi è quella assegnata al maratoneta brasiliano Vanderlei Cordeiro de Lima che durante la maratona di Atene 2004 viene letteralmente placcato da “ll Prete dei Gran Premi”, questo il suo soprannome, Cornelius Horan, un prete irlandese, successivamente scomunicato, che a pochi chilometri dalla fine dalla gara, decide di rendersi protagonista irrompendo nel tracciato di gara e trascinando Vanderlei de Lima ai margini della strada. De Lima viene aiutato a rimettersi in piedi dallo spettatore greco Polyvios Kossivas ma l’incidente ha rallentato parecchio il brasiliano il quale, seppur ancora in testa alla gara, ha perso ritmo ed è notevolmente scosso dall’accaduto. Alla fine Vanderlei de Lima non riesce a mantenere la testa della corsa e viene superato da Stefano Baldini, medaglia d’oro, e da Keflezighi, medaglia d’argento. A nulla valgono le proteste e il ricorso della federazione verdeoro, il brasiliano deve accontentarsi del bronzo ma come a Monti e a Lemieux gli viene riconosciuta la medaglia “De Coubertin”.
Ah anche qui una piccola nota a margine: il prete in seguito spiegò alla NBC che aveva fatto irruzione perché voleva mettere in guardia il mondo dalla sua convinzione che, cito testualmente “un visitatore proveniente dallo spazio verrà presto in questo mondo”
Ci sarebbero ancora molti casi di fair play e solidarietà sportiva accaduti nel corso degli anni, mi fa piacere citarne giusto un altro paio, quelli che mi hanno colpito di più; il primo riguarda il rugbista Gray che, durante una partita del campionato francese, fu l’unico a rendersi conto di un infortunio occorso ad un suo avversario; Gray gli si para davanti facendogli da scudo ed impedendogli così di finire nel cuore di una mischia che avrebbe certamente peggiorato le sue condizioni. Il secondo riguarda il maratoneta Ivan Fernandez Anaya che durante la corsa campestre Hiru-Herri avrebbe l’occasione di arrivare primo visto che il suo avversario, il keniota Abel Mutai, convinto di aver già tagliato il traguardo, si ferma e comincia a ringraziare e salutare il pubblico a bordo pista. Anaya, invece di tagliare il traguardo per primo, si affianca al suo avversario e, spiegatagli la situazione, lo accompagna al traguardo decidendo, deliberatamente, di arrivare secondo non pensando di aver meritato la vittoria.
Anche questa puntata sportiva di Radio Bullets è giunta al termine. Non posso che ringraziarvi per l’ascolto e darvi appuntamento alla prossima storia di sport. Sempre su Radio Bullets.