GSF: “No, questa non è una crociera”
Scritto da Barbara Schiavulli in data Settembre 21, 2025
Siamo al terzo giorno di navigazione verso Gaza sulla Global Sumud Flotilla. Abbiamo percorso circa 220 miglia sulle 1100 che ci sparano da quella Striscia martoriata dove ogni giorno ormai da due anni (senza contare prima), si ripete un orrore inimmaginabile, fatto di bambini che perdono i genitori, di figli che seppelliscono i propri cari troppo piccoli per sapere cosa li aspetta.
Non è una vacanza

Global Sumud Flotilla in navigazione verso Gaza al tromonto – photo credits: Barbara Schiavulli sulla Morgana verso Gaza
Qualcuno ci sbatte in faccia che siamo crocieristi, che stiamo andando a farci una vacanza. Niente potrebbe essere più lontano da tutto questo, solo qualcuno che non ha mai visto il buio del mare la notte o la vita di una barca dove sconosciuti in uno spazio troppo stretto, restano incollati insieme da una causa comune, può pensarlo.
Si badi bene, non è una lamentela, è un dato di fatto: che il mal di mare per chi lo soffre ti schiaccia, che si mangia male e poco, che non ci si lava abbastanza, che si sbatte contro porte e mobili, che si riduce tutto quello a cui siamo abituati, perché la barca deve andare avanti.
Avanti, sempre
Avanti verso Gaza, avanti verso gli israeliani, avanti a volte verso e altre contro il vento, inesorabile come la vita e quando non c’è, si accende il motore e si va ancora avanti e più ti avvicini, più pensi a chi te lo abbia fatto fare, per poi capire che non avresti potuto fare altro.
Si mette la propria vita in attesa, dopo tre settimane che sembrano mesi, tutto sembra così lontano.
Gli impegni inderogabili sono passati, le bollette da pagare sono lì che aspettano, gli amici tengono il fiato sospeso come ogni impresa alla quale li hai messi di fronte.
La bellezza che non anestetizza
Ma questa non è come le altre dove la bellezza del cielo mai uguale ogni giorno, si fonde ogni sera e ogni mattina con il mondo.
Riscopri le piccole cose che davi per scontate, e pensi sempre alla gente di Gaza che neanche per un momento, ha la possibilità di guardarsi indietro per dimenticare quello che ha perso, quel dolore indotto che li accompagnerà nel futuro per generazioni e generazioni.
Pensi anche agli israeliani, o forse più a quei esseri umani che si sono trasformati negli anni in aguzzini, che si sono nutriti di un odio così accecante che li ha trasformati nei predatori della Storia.
Pensi a chi vedranno quando ti incontreranno, con gli occhi trasformati da chi non inquadra bene la vita, come vedranno questo manipolo di persone che hanno osato sfidarli perchè portare aiuto è diventato peccato.
Parole che sfigurano il reale
“Definisci bambino”, risuona nelle teste, una frase bestiale detta in una trasmissione dove ancora si pensa di fare spettacolo sulla mostruosità, sulle vite umane che grondano sangue, dove non si parla di quello che succede a Gaza e anche in Cisgiordania
Si fa intrattenimento usando fenomeni malvagi come se la gente a casa, seduta sui divani, avesse bisogno di ascoltare l’ufficio stampa del male per sapere che è male.
Non bastano 65 mila morti che probabilmente sono molti di più, non basta vedere medici, giornalisti, uccisi o una terra devastata.
Quanto e fino a dove tutto questo non sará più accettabile?
Probabilmente il punto di non ritorno per chi sta qui, non è già più considerabile. Non lo era neanche prima che questo genocidio accadesse.
Memorie e mancanze
Molte delle persone che sono qui, ma altre sì, sono troppo giovani per ricordare l’atmosfera di trent’anni fa in Palestina ed Israele quando la pace era stata fatta, firmata, sigillata da una stretta di mano e la maggioranza delle persone, tirava un sospiro di sollievo.
Ma la verità è che la pace non si fa senza il consenso di tutti, senza il riconoscimento e l’umanizzazione dell’ altro. E soprattutto il volere anche di chi ti circonda.
Non è andata così, la Storia è tempestata di macchie che nessuno ha mai imparato a lavare.
Il nostro paese meno degli altri, quando vede noi come ragazzino biricchini, e non loro come aguzzini di una generazione.
Ancora una volta il potere dalla parte sbagliata, la gente da quella giusta.
Fatevi sentire domani nella grande manifestazione nazionale, in quel modo pacifico che ci rende forti, in quel modo costante che ci rende determinati, in quel modo altruistico che ci rende umani.
Voi lí, noi qui. Piú vicini di quanto siamo mai stati. Con un mare e un dolore che unisce.
Giustizia, verità, e riconoscimento, per questo siamo qua, ognuno con la propria vita in attesa, perché ci sono cose più importanti di noi che ci perseguitano e ci hanno portato oggi al terzo giorno su queste barche, dove dovrebbero venire a stare, tutti quelli che credono che questa sia una crociera.
Un’alleanza sotto le stelle
In realtà, questo è un modo per ricompattare l’umanità.
Un’alleanza tra diversi sotto quelle stelle che nelle grandi città non si vedono più e ora, ci siamo ricordati che esistono da prima di noi e ci guardano con bonaria compassione per il mondo brutto che ogni giorno li riproponiamo.
Qui si vede più chiaramente, senza i ritagli della propria vita, si vive insieme anche con le barche più lontane: una rotta comune, un sogno condiviso, una prova di resistenza, una manifestazione di dissenso e il tentativo di cercare di fare qualcosa, come un bordo per chi ne sa di barche a vela.
“Una crociera” l’ha definita qualcuno, come se ci fosse qualcosa di bello o rilassante in tutto questo, come se io o qualunque di quelli che mi stanno intorno, non preferirebbero stare a casa con le proprie famiglie o amici.
Siamo qui perchè lo abbiamo scelto, certo, nessuno ci ha costretto di rischiare la nostra pellaccia per andare incontro ad una presa di posizione.
Ma in realtà non potevamo farne a meno, allo stesso modo in cui la gente scende in piazza, porta aiuti, blocca i porti o invoca la fine di tutto questo.
La follia che diventa urgenza
C’è un risveglio in atto, di quelle persone a cui, come gira il mondo, non va più bene.
La piega del vento ha preso una direzione sbagliata e bisogna cambiarla perché ci siamo stancati di essere barche alla deriva, ma ci muoviamo insieme, compatti, con tutti i difetti che ci appartengono, ma con le vele tese e le vene gonfie della Storia che chi è qui e chi ci sostiene dalle case di 44 paesi, sta scrivendo.
No, cari colleghi, non è una crociera e neanche una passeggiata, qui le stelle hanno i nomi dei bambini morti, quelli dei colleghi uccisi, qui le onde che solchiamo ci riportano le macerie della case distrutte e nel rumore del mare sentiamo la pace negata a molti popoli.
No, signori e signore, non è una crociera e neanche qualcosa di divertente, tentare di rompere un assedio che ci aspetta con i fucili puntati con delle barche a vela, è una follia.
Ma è la nostra e la vostra follia. Sono i piccoli che si fanno grandi: le idee non si fermano arrestando chi manifesta o montando squallidi talk-show dove a parlare non sono mai le vittime.
La gente è stufa di promesse non mantenute, di istituzioni che tradiscono. Ormai, è pronta a staccarsi dai divani, a scendere in piazza o a salire in barca. Insieme.
In copertina il mare e cielo dalla Morgana, Global Sumud Flotilla. Radio Bullets/Barbara Schiavulli
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