Haka, le origini di un mito
Scritto da Giuliano Terenzi in data Dicembre 2, 2018
È impossibile non aver assistito, almeno una volta, alla folcloristica e spettacolare Haka degli All Blacks senza essersi emozionati o fomentati. Ma qual è la storia di questo rituale? Scopritelo con il nuovo podcast di Giuliano Terenzi su Radio Bullets
Batti le mani contro le cosce! Sbuffa col petto, Piega le ginocchia, Lascia che i fianchi li seguano, Pesta i piedi più forte che puoi, È la morte, è la morte, È la vita, è la vita, Questo è l’uomo dai lunghi capelli, È colui che ha fatto splendere il sole su di me, Ancora uno scalino, ancora uno scalino, Un altro fino in alto, Il sole splende, Alzati.
Questo è, più o meno, il testo che accompagna la danza Maori, universalmente conosciuta come Haka, anche se sarebbe più corretto chiamarla “Ka Mate”, visto che, come vedremo, ci sono diverse versioni dell’Haka; questa danza Maori è diventata famosa in tutto il mondo grazie agli All Blacks, la nazionale di rugby della Nuova Zelanda. È impossibile non aver assistito, almeno una volta, alla folcloristica e spettacolare esibizione dei rugbisti neozelandesi senza essersi emozionati, fomentati o – addirittura – impauriti. Impaurire, destabilizzare, irridere, intimorire gli avversari sono solo alcuni degli stati d’animo che questo rituale vuole provocare nei giocatori avversari: la lingua fuori, i denti serrati, gli occhi spalancati e i colpi al petto e sugli avambracci, sono tutti simboli di potenza e coraggio; ma dove? Perché? e come nasce questa danza? Insomma, qual è la sua storia?
La leggenda narra di un importante e ricco capo Maori, tale Te Rauparaha, capo della tribù degli Ngati Toa, il quale, per sfuggire a dei feroci assassini, con l’aiuto di una giovane coppia, si nascose nel pozzo di un piccolo villaggio nel tentativo di far perdere le sue tracce. Mentre la coppia cercava di distrarre e confondere gli assassini, il capo Maori, nel pozzo, sussurrava tra sé: “Ka Mate, Ka Mate” (è la morte, è la morte), accorgendosi che gli assassini si erano allontanati cambiò radicalmente umore sussurrando “Ka Ora, Ka Ora” (è la vita, è la vita). Mentre risaliva dal pozzo, colmo di gioia, osservando il viso del giovane che lo aveva salvato, lo apostrofò come (vi risparmio la pronuncia maori) “l’uomo dai lunghi capelli che ha riportato il sole su di me” continuò a cantare “A Upane, a upane” (ancora uno scalino, ancora uno scalino), man mano che risaliva fino all’uscita del pozzo fino a che, una volta fuori concluse con “Whiti te ra! Hi!” (il sole splende di nuovo su di me, alzati). Salvo e fuori dal pozzo continuò – euforico! – a ripetere tutta la cantilena saltando e ballando.
Quella che vi ho raccontato è la storia, nemmeno troppo romanzata, della genesi dell’Haka, trascritta ufficialmente intorno al 1820; per vederla per la prima volta su un campo di rugby, anche se in una versione differente, con i giocatori che indossano un mantello bianco che lanciano in aria al termine dell’esibizione, dobbiamo andare avanti di qualche anno, fino al 1888 quando una selezione di rugby neozelandese, la “New Zealand Native football team”, quindi non ancora All Blacks, partecipa ad un tour internazionale che si svolge fra Inghilterra, Irlanda e Australia. La prima Haka – diciamo così – “moderna” risale al 1905, l’anno in cui viene anche coniato il termine “All Blacks”. Fra le altre tipologie di Haka che i rugbisti neozelandesi hanno interpretato in questi anni c’è la “Ko Niu Tireni”, conosciuta come l’haka degli invincibili, messa in scena dalla Nuova Zelanda imbattuta degli anni 1924-25 che nel testo prepara gli avversari alla “tempesta” che si abbatterà su di loro. Poi la più recente “Kapa o Pango” che risale al 2005, scritta appositamente per gli All Blacks: ci è voluto più di un anno per pensarla e renderla credibile secondo i dettami della cultura Maori. Più che una nuova versione possiamo considerarla un complemento della Ka Mate, da usare in occasioni speciali, specialmente quando si incontra un avversario con cui si sente una rivalità maggiore tant’è che finisce con gli atleti che fanno il segno della gola tagliata. Questa versione “cattiva” è stata eseguita dagli All Blacks per la prima volta nel 2005 e poi nell’ottobre del 2011 durante la finale di Coppa del Mondo di rugby contro la Francia conclusasi con la vittoria dei neozelandesi che tornano a vincere un mondiale 24 anni dopo la loro unica vittoria.
“L’Haka è una composizione suonata con molti strumenti. Mani, piedi, gambe, corpo, voce, lingua, occhi… tutti giocano la loro parte nel portare insieme a compimento la sfida, il benvenuto, l’esultanza, o il disprezzo contenuti nelle parole. È disciplinata, eppure emozionale. Più di ogni altro aspetto della cultura Māori, questa complessa danza è l’espressione della passione, del vigore e dell’identità della razza. È, al suo meglio, un messaggio dell’anima espresso attraverso le parole e gli atteggiamenti” Con queste parole lo scrittore e studioso Alan Armstrong descrive l’haka nel libro “Maori games and Haka”.
Facciamo il punto della situazione: l’haka l’avete sentita, la storia ve l’ho raccontata, le varianti ve le ho spiegate…mi sembra tutto. Eh no. Aspetta. La domanda sorge spontanea: “ma mentre questi cantano, urlano e fanno le linguacce, gli avversari che fanno?” Bella domanda.
Diciamo che nei paesi dove il rugby non è così popolare, l’haka è vista come un’esibizione, uno spettacolo da godersi in religioso silenzio quasi come un inno nazionale mentre nei paesi con una tradizione rugbistica solida e consolidata non si sta certo a guardare in silenzio: i giocatori spesso ridono in segno di sfida, sbeffeggiando gli avversari oppure si avvicinano di qualche metro mentre il pubblico canta e cerca di coprire le urla e i versi neozelandesi. Fra le reazioni più significative ricordiamo certamente quando i francesi avanzarono in segno di sfida fermandosi solo pochi centimetri dagli avversari, creando una tensione incredibile oppure i gallesi che rimasero immobili nella propria metà campo facendo finta di niente. Anche se con l’Irlanda non c’è mai stata una particolare rivalità, resta negli annali la reazione degli irlandesi che nel ’89 si piazzarono di fronte agli All Blacks urlandogli in faccia per tutta la durata dell’Haka. La reazione inglese invece è piuttosto consolidata con i tifosi dello stadio che rispondono all’haka cantando a gran voce “Swing low, sweet chariot”.