Il masticatore di khat e la donna con l’ombrello
Scritto da Eleonora Viganò in data Ottobre 26, 2018
Quello che è stato Mekelle rimarrà a Mekelle.
Mi sono innamorata della zona delle prostitute e dei gioiellieri, dove avevo inconsapevolmente l’albergo-bettola, dei matti, delle bambine insistenti che cantano per Ashenda, del tossico che mi parla di filosofie buddiste e che mastica khat proveniente da Bahir Dar: con 80 birr (2 euro e mezzo circa) siamo a posto in due per quattro o cinque ore, e per un pelo non mi sono fatta portare chissà dove da lui. Mi sono innamorata dello stadio pieno, delle giovani che mi insegnano la danza tigrini, del programma che salta: vedo questo e quello e poi vedo altro, della pioggia perdio la pioggia: che è bella se ballano migliaia di donne incuranti di tutto, anche del fango o se ci cammino sotto ridendo e guardando negozi. Mi sono innamorata delle viuzze, delle piazze, dei tamburi in chiesa, dello stadio non finito, della chiesa non finita, dei locali di sera e del mio ballare inventato, del sentirmi bella, della folla, del caffè e del suo profumo per le vie, dell’autista di bajaj che non ha capito e mi ha portato altrove, della donna che mi ha dato un passaggio sotto il suo ombrello, fuori dallo stadio: sono andata dove andava lei e seguendola ho trovato una piazza bellissima e una via. Mi sono innamorata del negoziante di vestiti tradizionali e di una donna che accanto a me parlava con il sarto per lo scollo del suo abito bellissimo. Mi sono innamorata di ogni dettaglio, di quando contratto con il sudore in fronte e i capelli fradici di pioggia, di ciò che mi sono persa per il frastuono, per la pigrizia o per sconforto quando non mi oriento o ancora per il sole che mi uccide, mi sono innamorata perché se a tre persone chiedo informazioni su Ashenda, avrò tre risposte diverse, mi sono innamorata della luce di sera, della birra Habesha, della vista dall’alto, della ricca storia del monumento ai martiri.
Delle feste nei locali dalle pareti rosa, delle donne che ballano e ridono e ballano ancora e poi escono insieme, giovanissime e nubili, come non possono fare – così mi hanno detto – nel resto dell’anno se non sono accompagnate.
Sono partita con un pezzettino di cuore in meno e una sciarpa in più. Ai piedi del letto.