Il privilegio di raccontare

Scritto da in data Gennaio 23, 2019

Quando decisi che avrei raccontato il mondo, sapevo non sarebbe stato facile. Decidere di non puntare a una scrivania, era qualcosa di diverso dal solito pensare di chi mi circondava. Ma non ho mai avuto dubbi, il mio mondo era fatto di storie, percorsi, persone, di attese, di voli, di lingue, religioni e idee diverse. C’era il pericolo, il sangue, la morte, ma anche il coraggio, la forza, i sogni degli altri. Sono conscia degli errori compiuti e orgogliosa dei successi ottenuti. Sono entrata nei paesi con più tatto di quello che normalmente mi distingue, ho lasciato aperta la testa e il cuore per riuscire a comprendere le persone anche quando non era affatto naturale farlo. Ho avuto paura, ma non mi sono mai paralizzata. Ho avuto gli occhi lucidi, ma non sono mai affondata nel dolore.

Raccontare la vita delle persone è un privilegio e chiunque fa questo mestiere, sa che cosa significa tenersi dentro di sé ogni sguardo, storia ed emozione. Serate trascorse a leggere libri o articoli noiosi ma necessari su posti e personaggi, a studiare come fare a capire e far capire i nuovi mondi che mi circondavano. Ho compreso presto che ero fatta per questo. Che riuscivo a inserirmi nella realtà degli altri più di quanto riuscissi nel mio stesso paese. Di dove sei, spesso mi chiedono e io non lo so più. Siamo del posto dove siamo nati o di quello dove ci siamo realizzati e siamo cresciuti? Di quello dove viviamo o di quello che ci ha toccato? Cosa succede quando la nostra esistenza non vede più confini, o colori, non sente il pericolo delle religioni diverse e non distingue le lingue se non il contenuto di quello che viene detto?
Che cosa succede quando i nemici non sono gli altri che non conosco, ma solo quelli che odiano chi li circonda? Chi diventiamo quando la mia cultura si fonde con le altre, dove il mio cibo è la pasta così come l’arepa, i falafel o la pizza afgana? Succede che siamo persone che solo con le loro esistenze abbattono i muri. Ed è questa la persone che vorrei essere: un essere umano senza limiti se non quelli che decide di darsi e che non gli vengono imposti.

Quando andai in Palestina e in Israele ero molto giovane, una ragazzina e da loro ho imparato subito la forza, l’ingiustizia, la lotta, poi sono andata in Africa e ho conosciuto la saggezza, la povertà, la voglia di riscatto e la gioia di vivere. In Afghanistan ho capito che un popolo può essere schiacciato ma non spezzato, che se hai un giorno in più a disposizione può essere usato per essere migliori e utili. Tra loro ho conosciuto il coraggio delle donne e che come loro avrei voluto essere. In Iran e in Iraq, e anche in Siria mi sono lasciata andare nella cultura di civiltà che nemmeno lontanamente potrei capire completamente. Giri per quei paesi e senti tutta la potenza delle civiltà che neanche la guerra può spazzare via. Non a caso sul mio braccio è tatuata la frase in arabo di un mistico persiano. Volevo confondere i due mondi e lo volevo inciso sulla mia pelle e sulla mia anima. Ad Haiti ho conosciuto l’accanimento della natura sulla gente. Ho visto il dolore di un padre che ha perso la figlia e la moglie solo perché lui per quei trenta secondi in cui è tremata la terra, era andato al cancello e si è salvato. Ho visto un paese a pezzi, andare sempre più a pezzi, ma dentro hanno sempre un fuoco che li fa andare avanti. In Venezuela invece ho incontrato il cuore di tutta questa umanità che raccontato per più di 20 anni.

E non sono stati fortunati loro ad avere me che li raccontavo, sono solo una tra mille, sono io quella fortunata, quella che assorbe, impara da loro, quella che spera di riuscire ancora ad andare e tornare. Quella che non trova le parole, ma le sente e le condivide e che le piacerebbe anche che unissero, soprattutto in un paese dove sembra si faccia di tutto per dividere, non riconoscere e dimenticare. E per questo desidero tornare in Venezuela, non perché mi renda felice raccontare le disgrazie degli altri, ma perché mi rende inutile non farlo. A che paese appartengo? A quello delle storie che devono essere ancora raccontate.

Se pensate che un giornalismo diverso sia possibile, se pensate di avere il diritto di sapere cosa accade nel mondo, se volete sostenere il prossimo reportage in Venezuela di Radio Bullets: abbiamo raccolto il 83% di quello che serve per tornare, potete andare su sostienici. E grazie.


[There are no radio stations in the database]