14 marzo 2025 – Notiziario Africa

Scritto da in data Marzo 14, 2025

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  • Sud Sudan: forte il rischio di una nuova guerra
  • Etiopia ed Eritrea: spaccato il TPLF (Fronte di liberazione popolare del Tigray), pericolo guerra tra i due stati
  • Zimbabwe: società mineraria cinese interessata al parco nazionale di Hawange, il no di ambientalisti e organizzazioni locali

Questo nel notiziario Africa di Radio Bullets, a cura di Elena Pasquini.

 

“Ogni guerra quando arriva, o prima che arrivi, viene rappresentata non come una guerra, ma come un atto di autodifesa”, scriveva George Orwell. “Difesa dell’indifendibile”, secondo lo scrittore britannico.
Allora, come oggi, la guerra trova sempre parole che la invocano a puntellarla.
A queste parole bisognerebbe prestare attenzione prima che si scateni l’inferno.

Prima, bisognerebbe agire per smantellare la propaganda e stemperare le tensioni.
È quello che si spera possa accadere in Sud Sudan, il più giovane tra gli stati del mondo, fragilissimo e di nuovo in bilico.

Stessa sorte, l’incertezza di una nuova guerra, che condivide con Etiopia ed Eritrea, lungo un instabile confine.

È da qui che partiremo, per andare poi nello Zimbabwe dove in pericolo è la biodiversità, tornare in Etiopia per raccontare dell’interesse cinese per l’elettrico, a Cambridge, e quindi tra le pagine di un libro che già un evento.
Oggi, 14 marzo 2025.

Sudan del Sud

Il Sud Sudan rischia di precipitare di nuovo nella spirale della guerra.
Il 4 marzo, a Nasir, nello Stato dell’Alto Nilo, le truppe governative avrebbero attaccato una milizia legata a Riek Machar, ex ribelle e vicepresidente sud sudanese.

I combattimenti a Nasir mettono a rischio l’accordo di pace del 2018 firmato tra Machar e il presidente Salva Kiir che ha dato vita ad un governo di unità nazionale e posto fine ad una guerra civile, durata cinque anni, in cui sono state uccise più di 400.000 persone e 2,5 milioni hanno dovuto abbandonare le proprie case.

“La tensione nella capitale Juba è alle stelle” scrive l’International Crisis Gorup.
Dopo gli eventi di Nasir, Kiir ha arrestato diversi dei principali alleati di Machar, ma già nelle settimane precedenti aveva licenziato funzionari fedeli al vicepresidente che lo avevano accusato di aver preso decisioni unilaterali minacciando l’accordo del 2018.

“La rivalità politica tra i due uomini è ampiamente considerata un ostacolo importante alla pace nel Sudan del Sud: Kiir è sospettoso delle ambizioni del suo vice e Machar lo definisce un dittatore” scrive ancora ICG.

L’Autorità intergovernativa per lo sviluppo, che comprende otto paesi dell’Africa orientale, ha organizzato un vertice straordinario mercoledì.

In una dichiarazione congiunta i leader africani hanno affermato di essere “allarmati dalle crescenti tensioni a Juba”.

“Se le tensioni nel Sudan del Sud dovessero aumentare” si legge nel rapporto del segretariato dell’IGAD, come riporta Radio France Internationale, “il rischio di una ripresa delle ostilità su vasta scala sarebbe elevato, con gravi ripercussioni in tutta la regione”.

L’organismo dell’IGAD, che monitora il cessate il fuoco, è stato incaricato di indagare sui fatti di Nasir, in cui anche un elicottero delle Nazioni Unite, impegnato in una missione di evacuazione è stato attaccato.
Un membro dell’equipaggio ha perso la vita, due i feriti.

L’IGAD chiede che vengano rilasciati i membri dell’opposizione e che siano implementate misure per garantire che l’accordo di pace del 2018 venga rispettato.

Intanto, l’Uganda ha annunciato l’invio di truppe in Sud Sudan, dispiegamento negato da Juba, ma che potrebbe far temere un allargamento del conflitto alla regione.

Secondo l’International crisis group, “sono probabili altri combattimenti nell’Alto Nilo. Da lì, rischia (il conflitto) di fondersi con la guerra in Sudan, innescando potenzialmente prolungati combattimenti per procura nel Sudan del Sud. I capi di Stato africani influenti, tra cui quelli di Kenya, Etiopia e Sudafrica, dovrebbero intervenire per calmare la situazione allarmante prima che le ostilità degenerino” auspica ICG.

Un equilibrio precario minacciato in gran parte proprio dalla guerra civile nel vicino Sudan che “ha messo una pressione crescente sul governo di Kiir” spiegano gli analisti di ICG che aggiungono:

“Il Sud Sudan ha perso due terzi delle sue entrate statali dopo che il suo principale oleodotto per l’esportazione di petrolio è scoppiato vicino alla capitale sudanese Khartoum durante i combattimenti nel 2024. Il conflitto ha impedito le riparazioni e il petrolio non scorre ancora.

In secondo luogo, i problemi economici correlati hanno fatto sprofondare il governo di Kiir in una crisi fiscale e hanno privato il presidente dei fondi che sostenevano la sua rete di clientela, mettendo a dura prova la sua capacità di tenere a galla il suo regime”.

Un potere fragile, pedina tra le forze che si combattono in Sudan, l’esercito sudanese e il gruppo paramilitare delle Rapid Support Forces, a cui sembrerebbe vicino il presidente Kiir.

“L’esercito sudanese ha una storia decennale di sfruttamento delle fratture etno-politiche nella società del Sudan del Sud per alimentare il conflitto” si legge ancora nel rapporto di ICG.

“Le ostilità nell’Alto Nilo potrebbero rappresentare la prima grande conseguenza violenta della guerra sudanese nel Sudan del Sud”, mettendo i Dinka, il gruppo etnico di Kiir e il più grande della nazione, contro i Nuer, il gruppo di Machar e il secondo più grande del Sudan del Sud.

“Molti sudsudanesi e diplomatici in servizio nella regione sospettano che l’esercito sudanese abbia riattivato i suoi vecchi legami con le milizie Nuer nell’Alto Nilo e abbia inviato rifornimenti militari a sud, il che aiuterebbe a spiegare l’improvvisa eruzione di combattimenti.
Le indagini del Crisis Group indicano che questa ricostruzione è plausibile”.

“Il crollo del regime e l’accordo del 2018 potrebbero rivelarsi catastrofici per [il Sud Sudan] … Potrebbero causare nuovi massacri e pulizie etniche; trasformare il territorio del Sud Sudan in un luogo libero per tutte le varie milizie e le attività illecite; e aprire una nuova arena nella guerra per procura nella regione”.

In particolare, la guerra civile o il crollo dello stato nel Sud Sudan probabilmente si fonderebbe con il conflitto in Sudan, con politici e leader delle milizie che si alleano con Burhan e Hemedti (e i loro sostenitori) per armi e supporto.

Potrebbe anche dare ai belligeranti in Sudan, così come agli eserciti di altri paesi vicini, carta bianca per usare o occupare il territorio del Sud Sudan per i propri scopi”, è lo scenario drammatico che, secondo gli analisti di ha oggi di fronte il Sud Sudan, lo stato nato solo nel 2011, il più giovane del mondo.

Etiopia ed Eritrea

La guerra sembra imminente, ancora una volta, nella regione etiope del Tigray.
Martedì, scontri violenti si sono accesi nel capoluogo, Mekele, tra due fazioni del TPLF, il Fronte di liberazione popolare del Tigray.

Non sono passati ancora neppure tre anni dalla firma degli accordi di Pretoria, gli accordi di pace che hanno messo fine ad una delle più tragiche guerre contemporanee, quella combattuta tra il TPLF e il governo federale guidato da Abiy Ahmed, che la regione torna ad infiammarsi.

Il Fronte di Liberazione del Tigray, che è stato la forza trainante del movimento che negli anni Novanta, ha rovesciato il regime del Derg di Menghistu e che ha poi mantenuto il potere fino all’ascesa di Abiy Ahmed nel 2018, è spaccato.

Da una parte, l’Amministrazione regionale provvisoria del Tigray, TIRA, guidata da Getachew Reda, ex vicepresidente del partito.

Dall’altra li TDF, le Forze di difesa del Tigray, la fazione che fa capo al presidente del TPLF, Gebremichael Debretsion.

Anche se c’è chi sostiene si tratterebbe solo di una guerra per procura, quella che rischia comunque di deflagrare tra Etiopia ed Eritrea.

“Secondo i residenti, le Forze di difesa del Tigray, avrebbero tentato di impadronirsi degli uffici amministrativi, ma i giovani locali glielo avrebbero impedito” riporta Radio France Internationale.

L’aeroporto, nel momento in cui scriviamo, sembra nelle mani dell’opposizione alla TIRA, che avrebbe anche preso il controllo della città Adigrat.

Getachew Reda sembrerebbe essere ad Addis Abeba, per chiedere l’intervento del governo federale. Su X, denuncia “un piano insensato volto a installare al potere una fazione illegale del TPLF” che secondo alcuni partiti tigrini starebbe pianificando un colpo di stato, con il sostengo del governo eritreo.
L’Eritrea nega ogni supporto alla fazione guidata da Debretsion.

“In mezzo a un più ampio disordine regionale e internazionale, il deterioramento della situazione politica e di sicurezza nel Tigray è una miccia secca in attesa di un fiammifero che potrebbe innescare una guerra interstatale tra Etiopia ed Eritrea.

Una situazione del genere potrebbe creare un incendio internazionale, esacerbando la guerra civile del Sudan nella porta accanto e generando ulteriore instabilità nella regione” scrivono su Foreign Policy, Payton Knopf, vice inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d’Africa nell’amministrazione Biden, e Alexandre Rondos, rappresentante speciale dell’UE per il Corno d’Africa e ora copresidente del Red Sea Study Group presso l’US Institute of Peace.

“Oggi domina un clima di sfiducia e di reciproca recriminazione. Addis Abeba accusa Asmara di indebolire l’accordo di Pretoria, di destabilizzare il Tigray e di sostenere gruppi ribelli in altre parti dell’Etiopia.

Asmara percepisce le richieste dell’Etiopia per l’accesso al Mar Rosso, senza sbocco sul mare, come un casus belli e il tentativo dell’Etiopia di stabilire un porto un anno fa attraverso il Somaliland come un tentativo di restituire l’Eritrea alla sovranità etiope e ottenere il controllo dei suoi porti ad Assab e Massaua.

La velocità e la portata della mobilitazione e dello spiegamento da tutte le parti – esercito federale etiope, Forze di difesa dell’Eritrea e TDF – suggeriscono che il conflitto è imminente” sostengono Knopf e Rondos.

Una guerra che “sembra inevitabile” e i cui preparativi stanno raggiungendo le “fasi finali”, con il Tigray che potrebbe diventare il principale campo di battaglia, ha tetto Tsadkan Gebretensae, vicepresidente e segretariato del gabinetto per la democratizzazione dell’amministrazione provvisoria del Tigray, come riporta The Addis Standard.

“In qualsiasi momento, potrebbe scoppiare una guerra tra Etiopia ed Eritrea” ha scritto Tsadkan, ex capo di stato maggiore delle Forze di difesa etiopi, in un commento per The Africa Report, avvertendo che il conflitto potrebbe estendersi oltre i due paesi, colpendo il Sudan e la regione del Mar Rosso, si legge ancora.

“Gli sviluppi nel Corno d’Africa” spiegano Knopf e Rondos, devono infatti “essere visti nel contesto delle rivalità tra i paesi del Golfo per il controllo del Mar Rosso.
L’Arabia Saudita, per esempio, potrebbe non accogliere con favore la presenza militare dell’Etiopia sulla costa del Mar Rosso, finché l’Etiopia sarà vista come strettamente allineata con gli Emirati Arabi Uniti”.

Zimbabwe

Nel parco nazionale di Hawange, la regione di Sinamatela è un luogo prezioso, fondamentale per la sopravvivenza del rinoceronte nero, una specie in via di estinzione, e per la biodiversità dello Zimbabwe.

Ora, una richiesta di prospezione esclusiva in questa fragile area presentata dalla società mineraria cinese Sunny Ye Feng rischia di creare danni irreversibili, secondo gli ambientalisti e le organizzazioni della società civile si oppongono al progetto.

È una “minaccia per la ricca biodiversità dello Zimbabwe, il patrimonio culturale e i mezzi di sostentamento delle comunità che dipendono dall’ecoturismo” scrive Donald Nyarota del Centro per la governance delle risorse naturali, oltre ad avere un impatto negativo anche sull’industria turistica che qui ha un suo importante centro e occupando circa 25.000 persone, e minacciando siti culturali sacri, come Bumbusi, luogo di riti lutarli annuali e cerimonie della pioggia.

“Consentire attività minerarie nel Parco nazionale di Hwange comporta rischi significativi per la terra, l’aria e le risorse idriche della zona. Le fonti d’acqua contaminate avrebbero ripercussioni non solo sugli animali, ma anche sull’agricoltura e sui mezzi di sostentamento delle comunità di Sinamatela…” si legge nella lettera che l’organizzazione ha inviato alle autorità, chiedendo loro di fermarsi.

“Questo ecosistema sostiene una popolazione crescente di animali selvatici, tra cui la seconda popolazione di elefanti più grande dell’Africa.
L’attività mineraria in questa regione causerebbe un degrado ecologico irreversibile, aumentando il rischio di estinzione delle specie” aggiunge Nyarota.

Di parere contrario anche le organizzazioni che si occupano della gestione dei parchi e della fauna selvatica.
“In una dichiarazione, la portavoce di ZimParks, Tinmashe Farawo, ha affermato che il Parks and Wildlife Act (Capitolo 20:14) proibisce tali attività nelle aree protette” e ha detto che le attività minerarie potrebbero “peggiorare l’attuale carenza d’acqua, portando a un aumento dei tassi di mortalità delle specie e a un aggravamento del conflitto tra uomo e fauna selvatica nelle comunità circostanti”.

La Sunny Ye Feng, ricorda, Nyarota ha anche una storia di violazioni ambientali.
“Un’azienda che ha dimostrato tale disprezzo per le leggi ambientali dello Zimbabwe non deve essere vista da nessuna parte vicino a parti ecologicamente sensibili del paese come il Parco nazionale di Hwange” ha affermato CNRG.

Etiopia

L’auto elettrica è davvero ancora una scelta per pochissimi in Etiopia, rappresenta solo il 7 percento su circa 1,5 milioni di veicoli.

Eppure, secondo il China Global South Project, potrebbe diventare l’opzione preferita da una classe media tra quelle in più rapida crescita del continente e che deve adattarsi ai cambiamenti indotti dalle nuove politiche del governo.

Auto elettrica che parla, però, cinese.

L’Etiopia dallo scorso anno ha vietato l’importazione di veicoli ICE, ma non solo.

Ha anche tagliato in modo significativo i sussidi per i carburanti facendo schizzare i prezzi da $ 0,21 a $ 0,89 al litro in meno di dodici mesi, come si legge nell’analisi di Sarah Assefa.

Al contrario, nel 2021, il governo ha “tagliato le tasse doganali e di consumo sui veicoli elettrici, rendendoli molto più convenienti rispetto” a quelli a benzina.

“Negli ultimi cinque anni, le aziende cinesi in Etiopia hanno introdotto sul mercato etiope veicoli elettrici completamente assemblati e semi-assemblati, costruendo al contempo infrastrutture di ricarica essenziali” si legge ancora.

Auto di fabbricazione cinese, ma anche prodotte in partnership con aziende etiopi, come la “Belayneh Kindie Motors (BKM), con sede a Debre Birhan, a circa 130 chilometri da Addis Abeba, che ha iniziato ad assemblare minibus da 12 posti e autobus da 12 metri utilizzando componenti della cinese Golden Dragon Company” riporta ancora il China Global South Project.

O ancora, la Tamrin Motors, importatore che collaborata con la cinese “JAC Motors per introdurre veicoli elettrici a prezzi accessibili in Etiopia, inizialmente tramite importazioni e in seguito tramite assemblaggio locale”.

“Nonostante questi progressi, la transizione all’elettrico dell’Etiopia incontra ostacoli significativi”, sostiene Assega.
“I veicoli elettrici rimangono costosi, con pochi modelli con un prezzo inferiore a $ 11.000” e scarsità di pezzi di ricambio. È poi molto difficile rivendere i veicoli usati.

Cambridge

Tre settimane a Cambridge grazie alle borse di studio a cui possono fare domanda gli studenti di 27 università africane, dall’Etiopia, al Malawi, allo Zimbabwe, al Benin, al Kenya, al Botswana, all’Uganda, alla Nigeria, al Ghana e al Sudafrica.

IoT & AI for Black Swan Events, Internet delle cose e Intelligenza artificiale per far fronte ad eventi imprevisti, rari e dal grande impatto: è questo il tema della settima edizione del Bootcamp organizzato dal Campus Biomedico di Roma nella prestigiosa città universitaria inglese e che si terrà dal 25 agosto al 12 settembre.

Che si operi in ambito medico-sanitario, nell’agitech o che il focus sia sul cambiamento climatico, ci s’interrogherà su come IoT e AI possano aiutare a mitigare l’impatto degli eventi del cigno nero aumentando le capacità predittive, le possibilità di rilevamento precoce o le capacità adattive a tali eventi.

Il corso è aperto a studenti, ricercatori e professionisti di discipline scientifiche, tecnologiche, in ingegneria o matematica, in medicina o di tutte le discipline “One Health”.

Quest’anno le application sono possibili anche per candidati, in Africa o della diaspora, che fanno parte delle università partner o affiliate al progetto Afya Moja, parola swahili che significa one health, il progetto di sviluppo del passaporto digitale che consente ai pazienti in tutta l’Africa di avere accesso ai loro dati medici digitali su Andorid o Ios quando necessario.

La deadline per presentare le domande è il 30 marzo.
Bisogna avere almeno 18 anni, possedere competenze informatiche di base e la conoscenza di almeno un linguaggio di programmazione, una buona conoscenza dell’inglese e un buon percorso di studio.

Le borse, specificatamente rivolte agli studenti dei 27 atenei africani, coprono tutti i costi relativi al viaggio, all’alloggio presso il Jesus College e al corso intensivo, “un’esperienza di apprendimento multidisciplinare” dice Claudia Peverini, direttrice del programma.

Una “full immersion di lezioni, laboratori e lavori di progetto per acquisire competenze tecniche e competenze trasferibili, progettato in collaborazione tra accademici e professionisti”.

“Un apprendimento basato su progetti, in cui le competenze vengono insegnate per risolvere casi d’uso reali forniti da partner del settore”.

Tutte le informazioni per fare domanda sul sito web di Unicampus.

Narrativa

Chiamaka, “Chia”, è una scrittrice di viaggi che nel pieno della pandemia ricorda i suoi amanti passati.

Zikora è un avvocato e sta cercando disperatamente il suo compagno che l’ha abbandonata dopo una gravidanza inattesa.

Omelogor è una donna della finanza nigeriana che decide di abbandonare la sua carriera.

Kadiatou, è una cameriera vittima di violenza.

Quattro donne, immigrate negli Stati Uniti, le cui vite s’intrecciano in “Dream Count”, l’attesissimo, ultimo, libro di Chimamanda Ngozi Adichie, scrittrice nigeriano-americana.

Il libro è un evento editoriale ed è già nella rosa delle opere che competono per il prestigioso Women’s Prize for Fiction.

Un libro, Derem Copunt, che è “la quintessenza di Adichie: ambizioso, astuto e alimentato da quantità di frasi leggere come una piuma che raggiungono un peso devastante” scrive Sara Collins su The Guardian.

Un evento traumatico, la violenza di cui vittima Kadiatou in una stanza d’albergo, è il nucleo intorno al quale ruota il romanzo le cui domande si fanno pressanti.

La vera felicità è mai raggiungibile o è solo uno stato fugace?
E quanto dobbiamo essere onesti con noi stessi per amare ed essere amati?
È possibile essere veramente conosciuti da un altro essere umano?

“Lo scopo dell’arte è guardare il nostro mondo ed esserne toccati, e poi impegnarsi in una serie di tentativi per vedere chiaramente quel mondo, interpretarlo, interrogarlo” si legge nella nota dell’autore.

In questo guardare il mondo “Adichie privilegia lo status delle donne come outsider e quindi osservatrici, sia della cultura americana… sia delle relazioni eterosessuali” scrive ancora la Collins. che aggiunge:

“Questo romanzo è in definitiva più ampio di Americanah, con un collage di femminilità assemblato attorno a questo incidente, ma intrecciando insieme parto e perdita di gravidanza, aborti e isterectomie, fibromi e mutilazioni genitali femminili, violenza sessuale e molestie sessuali, come se niente meno che l’intera esperienza femminile rientrasse nel suo ambito. Eppure allo stesso tempo è dolorosamenteintrospettivo”.

Opere come quella di Adichie sono ancor più importanti “nel contesto letterario africano”, sostiene Daria Tunca, docente di Letteratura inglese all’Università di Liegi, su The Conversation, perché “dimostrano che, negli ultimi anni, gli scrittori africani hanno decisamente respinto la ‘storia unica’ – la rappresentazione stereotipata del continente come afflitto da povertà e violenza – che Adichie ha condannato così eloquentemente nel suo discorso TED del 2009.
[Perché] in effetti – prosegue Tunca – molti editori occidentali hanno favorito il lavoro di autori africani che si adattano ai pregiudizi razzisti sul continente”.

Scrittori che sono stati spinti a produrre “pornografia della povertà” e un’immagine stereotipata dell’Africa crivellata da guerra, malattie e corruzione”.

Foto in copertina: Randy Fath – Unsplash

 

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