21 luglio 2025 – Notiziario Mondo
Scritto da Barbara Schiavulli in data Luglio 21, 2025
- Gaza: la notte infinita di bombardamenti di Deir al-Balah, mentre si continua a morire a caccia di cibo o per fame.
- Polonia: raro caso di colera.
- Siria: dopo una settimana di scontri torna la calma nella drusa Sweida.
- Sudan: guerra digitale e violenza contro le donne in aumento.
- Congo e ribelli si sono impegnati a porre fine alla guerra nell’Est.
- Arabia Saudita: dopo 20 anni muore il “principe addormentato”.
- India: non è stato ucciso dall’età il maratoneta indiano, ma da una macchina in corsa.
Introduzione al notiziario: Afghanistan: l’infanzia deportata, la dignità negata
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli
Israele e Palestina
■ OSTAGGI/CESSATE IL FUOCO: Un funzionario israeliano coinvolto nei negoziati per il cessate il fuoco ha detto ad Haaretz che per la prima volta Israele sta prendendo in considerazione la fine della guerra a Gaza come parte dei colloqui per un cessate il fuoco/accordo sugli ostaggi con Hamas .
■ GAZA: Le IDF hanno annunciato domenica l’inizio di una nuova operazione di terra a Deir al-Balah , una città nella parte centrale di Gaza, prendendo di mira aree precedentemente evitate a causa del timore che nella zona potessero essere tenuti degli ostaggi.
E’ anche la zona dove risiedono le principali agenzie Onu, come Unicef. Tutta la notte hanno bombardato in una zona che non era mai stata colpita. La gente è stata costretta ad abbandonare i posti dove stava. E gli operatori umanitarie di diverse agenzie si sono spostati dai posti dove dormivano agli uffici.
L’intelligence israeliana ritiene che Deir al-Balah sia diventato un rifugio chiave per i comandanti e i combattenti di Hamas, mentre la struttura di comando operativo del gruppo nella zona è rimasta in gran parte intatta.
L’offensiva a Deir Al Balah è stata annunciata dal portavoce militare israeliano di lingua araba, tenente colonnello Avichay Adraee, che ha scritto in un post su X:
“[L’esercito israeliano] continua a operare con grande forza per distruggere le capacità del nemico e le infrastrutture terroristiche nella zona, mentre espande le sue attività in questa regione per operare in un’area in cui non ha mai operato prima”.
Il tenente colonnello Adraee ha ordinato ai residenti delle aree attaccate di spostarsi a sud, nella zona di Al Mawasi.
#عاجل ‼️ إلى جميع المتواجدين في المنطقة الجنوبية الغربية من دير البلح، في البلوكات 130، 132-134، 136-139، 2351، بما في ذلك المتواجدين داخل الخيام الموجودة في المنطقة
⭕️يواصل جيش الدفاع العمل بقوة كبيرة لتدمير قدرات العدو والبنى التحتية الإرهابية في المنطقة حيث يوسّع أنشطته في… pic.twitter.com/dcDvPcJLC1
— افيخاي ادرعي (@AvichayAdraee) July 20, 2025
Il Ministero della Salute di Gaza, guidato da Hamas, ha dichiarato che il bilancio delle vittime della guerra è aumentato di 150 nelle ultime 24 ore , inclusi due corpi ritrovati sotto le macerie. Altre 495 persone sono rimaste ferite.
Il Ministero della Salute di Gaza ha dichiarato che almeno 93 persone sono state uccise mentre aspettavano che i camion degli aiuti attraversassero il valico di frontiera di Zikim.
Alcuni testimoni hanno affermato che l’esercito israeliano ha sparato sulla folla.
“All’improvviso, i carri armati ci hanno circondato e intrappolati, mentre colpi d’arma da fuoco e bombardamenti piovevano.
Siamo rimasti intrappolati per circa due ore”, ha detto Ehab Al-Zei, che stava aspettando la farina. “Non tornerò mai più. Lasciateci morire di fame, è meglio.”
Nafiz Al-Najjar, rimasto ferito, ha affermato che i carri armati e i droni hanno preso di mira le persone “a caso” e ha visto suo cugino e altri uccisi a colpi d’arma da fuoco.
■ ISRAELE: L’ Alta Corte di Giustizia ha respinto una petizione presentata da tre riservisti delle IDF che sostenevano che l’obiettivo dell’esercito a Gaza è quello di espellere con la forza la popolazione civile.
Decine di importanti economisti israeliani hanno firmato una petizione che chiede al governo di bocciare il piano di concentrare la popolazione di Gaza in una “città umanitaria”, definendo il piano “sostanzialmente la creazione di un centro di detenzione chiaramente disumano e immorale “.
Secondo quanto riferito dal suo ufficio, il Primo Ministro israeliano si è sentito male durante la notte e gli sono stati somministrati liquidi tramite flebo dopo aver sofferto di infiammazione intestinale e disidratazione.
Il suo staff ha dichiarato che il 75enne svolgerà i suoi compiti da casa per le prossime 36 ore. Ma hanno, guarda il caso, dovuto rimandare, l’udienza del processo per corruzione al quale avrebbe dovuto essere presente.
Israele ha rifiutato di estendere il visto di residenza a Jonathan Whittal, capo dell’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, citando le sue dichiarazioni pubbliche in cui criticavano le operazioni militari israeliane.
Un soldato dell’IDF che ha tentato il suicidio la scorsa settimana è morto per le ferite riportate . Il soldato era ancora in addestramento e non aveva mai combattuto a Gaza.
La polizia israeliana ha dichiarato di aver arrestato 460 palestinesi presenti in Israele senza permesso la scorsa settimana.
■ CISGIORDANIA: Le IDF hanno emesso un ordine militare che vieta l’uso di coperture del volto come bavagli o mascherine nei luoghi pubblici in Cisgiordania .
L’ordine prevede fino a sei mesi di carcere per le violazioni del divieto da parte di ebrei o arabi, mentre l’esercito fatica a identificare e arrestare coloro che sono accusati di violenze da parte dei coloni in Cisgiordania.
■ IRAN : Iran, Gran Bretagna, Francia e Germania hanno concordato di tenere colloqui il 25 luglio a Istanbul sul programma nucleare di Teheran, ha riportato l’agenzia di stampa semi-ufficiale iraniana Tasnim. Sarà a livello di ministri degli Esteri.
Siria
Dopo una settimana di sanguinosi scontri settari, i clan armati beduini hanno annunciato il loro ritiro dalla città siriana di Sweida, a maggioranza drusa.
La decisione arriva in seguito a un cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti, mentre i primi convogli umanitari hanno iniziato a entrare nella città devastata dai combattimenti.
Gli scontri, iniziati con una spirale di rapimenti reciproci, si sono rapidamente trasformati in attacchi settari tra le milizie druse e i clan sunniti beduini, con centinaia di morti, più di 500, e oltre 128.000 sfollati, secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni.
Solo sabato, 43.000 persone sono fuggite dalle loro case.
Ad alimentare il caos, anche raid aerei israeliani che hanno colpito forze governative siriane, accusate di aver sostenuto i Beduini.
Il governo di Damasco ha tentato di intervenire ma si è ritirato dopo scontri con i combattenti drusi, legati spiritualmente a Sheikh Hikmat al-Hijri, figura controversa per i suoi legami passati con Assad e con il quale Radio Bullets ha parlato a lungo il dicembre scorso.
Il presidente ad interim Ahmad al-Sharaa, percepito come vicino ai Beduini, ha chiesto il rispetto della tregua e il ritiro completo delle milizie armate, affermando che “nessuno può sostituirsi allo Stato”.
Nel frattempo, gli insulti simbolici e le violenze culturali – come la distruzione di ritratti religiosi e l’umiliazione degli anziani drusi – hanno acuito le fratture. A loro volta, le milizie druse hanno attaccato aree beduine, spingendo molte famiglie alla fuga verso la provincia di Daraa.
Sweida, per anni rimasta ai margini del conflitto siriano, è ora l’epicentro di un’esplosione di tensioni etniche e religiose che rischia di far naufragare ogni tentativo di ricostruzione.
Il fragile equilibrio siriano vacilla: il ritiro dei Beduini ha riportato una calma apparente, ma la fiducia nella convivenza è lacerata. In questa Siria post-bellica, le vendette settarie stanno prendendo il posto della giustizia, e il ruolo dello Stato appare sempre più evanescente.
La domanda è: quale pace si può costruire sulle macerie del rancore?
Arabia Saudita
È morto in Arabia Saudita il principe Alwaleed bin Khalid bin Talal Al Saud, noto come il “Principe addormentato”, dopo essere rimasto in coma per vent’anni a seguito di un incidente stradale a Londra, dove studiava in un college militare a soli 15 anni.
La famiglia reale saudita ha annunciato il decesso sabato, senza fornire ulteriori dettagli. Il funerale si è svolto domenica a Riyadh, mentre il lutto proseguirà per tre giorni.
Figlio di Khaled bin Talal Al Saud, nipote del magnate Alwaleed bin Talal, il principe visse per due decenni sotto stretta supervisione medica, senza mai riprendere conoscenza, se non per sporadici episodi di movimento limitato, come riportato dal Saudi Gazette.
Numerosi messaggi di cordoglio sono arrivati da tutto il mondo arabo. Il Global Imams Council ha elogiato la resilienza della famiglia, in particolare del padre, che in questi anni non ha mai perso la speranza.
La storia del “Principe dormiente” ha attraversato generazioni di sauditi e oltre. Una vicenda che ha unito dimensione personale e simbolo nazionale: quella di una lunga attesa, di una speranza ostinata, e del dolore che resta invisibile ma incancellabile.
La sua morte chiude un capitolo doloroso per la monarchia saudita, e apre forse uno spazio di riflessione su come il potere, la fragilità e l’umano si intrecciano anche tra i figli delle dinastie più potenti del mondo.
Sudan
Da quando è scoppiata la guerra in Sudan, il 15 aprile 2023, le donne sono diventate bersaglio di una campagna parallela e silenziosa, combattuta non con armi convenzionali, ma attraverso odio sistematico e violenza digitale.
Un’ondata organizzata di disinformazione, diffamazione e incitamento ha colpito attiviste, giornaliste, politiche e difensore dei diritti umani, con l’obiettivo di cancellarne il ruolo dallo spazio pubblico e di zittirne le voci.
La retorica d’odio – denunciano le attiviste Nujood, Mai Abdel Qader e Mahasin Atim – non è solo virtuale.
Alcune donne sono state escluse dalla vita politica, altre non hanno potuto rinnovare i documenti, molte hanno subito violenze fisiche, psicologiche e sessuali, e sono oggi caricate del peso economico e sociale delle loro famiglie, spesso sole dopo la perdita di mariti o padri.
La polarizzazione crescente ha frammentato anche il movimento femminile: alcune donne si sono schierate con le fazioni in guerra, altre hanno scelto un pericoloso silenzio. Tutte, però, sono esposte a una violenza invisibile, ma devastante.
Questa non è solo una guerra tra eserciti. È una guerra che ridefinisce chi può parlare e chi deve tacere, chi può costruire la pace e chi viene delegittimato prima ancora di provarci.
In Sudan, come altrove, l’odio verso le donne è una strategia di potere. Zittirle significa rallentare ogni possibilità di trasformazione sociale.
Eppure, dalle parole di queste attiviste emerge un’altra resistenza: la richiesta di una contro-narrazione, fondata su arte, teatro, media, ma anche su leggi contro l’odio, supporto psicologico, reti solidali e soprattutto memoria.
Perché senza le donne, non c’è ricostruzione. Solo nuove macerie.
Repubblica Democratica del Congo
Firmata sabato in Qatar una dichiarazione di principi tra il governo della Repubblica Democratica del Congo e i ribelli del M23, gruppo armato sostenuto dal Ruanda.
L’intesa prevede una roadmap per la pace, il rilascio dei prigionieri, e soprattutto il ripristino dell’autorità statale nelle aree occupate dai miliziani nell’est del Paese.
Ma sull’elemento cruciale – il ritiro dell’M23 dalle città occupate – le interpretazioni divergono.
Il governo congolese parla di un ritiro non negoziabile, seguito dal ritorno delle istituzioni.
I ribelli, invece, negano: “Non è una questione di ritiro, ma di rafforzamento dello Stato,” ha dichiarato Bertrand Bisimwa. E il portavoce dell’M23 è stato netto: “Siamo a Goma con la popolazione, e non ce ne andremo.”
Il gruppo M23 è il più potente tra le oltre 100 milizie attive nel Congo orientale, area strategica e ricchissima di minerali. È appoggiato militarmente e logisticamente dal Ruanda, coinvolto da anni nel conflitto.
La firma in Qatar è il primo passo diretto tra le parti da quando, a inizio anno, l’M23 ha preso il controllo di due città chiave.
Un accordo di pace definitivo è previsto entro il 18 agosto, e dovrà essere in linea anche con l’intesa bilaterale tra Congo e Ruanda.
Sette milioni di sfollati e una crisi umanitaria tra le più gravi al mondo. Questo è lo sfondo su cui si muove l’accordo firmato a Doha. Ma senza chiarezza sul ritiro dei ribelli, la dichiarazione rischia di essere un esercizio diplomatico vuoto.
Francia
Scene di vera e propria guerriglia urbana si stanno moltiplicando nelle banlieue del sud e del centro della Francia, tra rivolte giovanili e faide tra bande per il controllo del narcotraffico.
Dopo gli scontri violenti a Limoges, dove un centinaio di assalitori armati di molotov e armi da fuoco ha attaccato la polizia per tre ore, è toccato a Béziers.
Due notti fa, un incendio doloso in un appartamento – appiccato con un razzo da fuochi d’artificio – ha fatto scattare l’intervento dei pompieri. Ma era una trappola.
Una cinquantina di individui, molti appostati sui tetti, ha teso un agguato anche alle forze dell’ordine. Una donna e i suoi tre figli sono rimasti senza casa, una decina di persone è stata evacuata, e un poliziotto è rimasto gravemente ferito.
Secondo le autorità, gli assalitori non si limitano a colpire la polizia, ma attaccano anche le auto civili, perfino con bambini a bordo. A Limoges, nove agenti sono rimasti feriti e si indaga per rivolta armata, estorsione aggravata e banda organizzata.
Quello che esplode nelle banlieue francesi è un mix esplosivo di abbandono sociale, marginalizzazione e criminalità organizzata, che si salda in una sfida frontale allo Stato.
Polonia
Le autorità sanitarie polacche hanno confermato un caso raro di colera in un’anziana residente a Stargard, nella Polonia nord-occidentale, senza precedenti di viaggio all’estero.
Lo ha riferito il capo dell’Ispettorato Sanitario, Paweł Grzesiowski, spiegando che la diagnosi è stata confermata da due test indipendenti.
La donna, colpita da una grave forma di diarrea, è stata ricoverata in un ospedale specializzato a Szczecin, mentre oltre 20 persone entrate in contatto con lei sono ora in quarantena preventiva.
Il colera, causato dal batterio Vibrio cholerae, si trasmette attraverso acqua contaminata e, se non trattato rapidamente, può causare disidratazione letale. La terapia si basa su antibiotici e reidratazione intensiva.
Le autorità stanno indagando per identificare la fonte del contagio e valutare il rischio di diffusione nella zona.
Un caso isolato, ma che solleva interrogativi cruciali: è la rete idrica contaminata? Ci sono focolai nascosti?
In un Paese europeo, dove il colera è considerato un ricordo del passato, questa diagnosi ci ricorda che nessun sistema sanitario può permettersi di abbassare la guardia – soprattutto di fronte al degrado ambientale e all’antibiotico-resistenza che avanzano.
Russia
È stato revocato l’allarme tsunami lanciato dopo una scossa di magnitudo 7.4 al largo della costa orientale della Russia, nella regione della Kamchatka.
La forte scossa, avvenuta domenica mattina ora GMT, è stata la più potente di una serie di terremoti sottomarini nel Pacifico settentrionale.
Secondo l’US Geological Survey, si temevano onde pericolose alte fino a un metro sulle coste russe, e più contenute in Giappone e alle Hawaii.
Ma a rassicurare la popolazione è stato il ministero russo delle Emergenze, che ha confermato: nessuna onda anomala ha raggiunto le zone abitate. Anche il governatore della Kamchatka, Vladimir Solodov, ha dichiarato che l’allerta è rientrata.
Tuttavia, la zona resta a rischio. Il ministero ha avvertito che repliche sismiche, una delle quali di magnitudo 6.7, potrebbero verificarsi ancora.
Stati Uniti
Donald Trump torna all’attacco con una provocazione senza precedenti: ha condiviso sui suoi canali social un video generato con l’intelligenza artificiale in cui l’ex presidente Barack Obama viene arrestato dall’FBI nello Studio Ovale e poi mostrato in tuta arancione dietro le sbarre.
Il video, costruito con tecnologia deepfake, è stato accompagnato dal messaggio: “Nessuno è al di sopra della legge”, riprendendo proprio una frase spesso usata dai democratici contro Trump.
Il contenuto, oltre ad aver scatenato critiche e preoccupazioni, arriva pochi giorni dopo che l’ex congressista Tulsi Gabbard, ora Direttrice dell’Intelligence sotto Trump, ha accusato pubblicamente Obama di aver orchestrato una manipolazione dei rapporti d’intelligence per screditare la vittoria trumpiana del 2016, citando presunti documenti declassificati.
Gabbard e Trump chiedono che Obama e altri alti funzionari dell’epoca vengano processati.
Più che una denuncia, questa operazione appare come un tentativo di riscrivere la storia recente con strumenti nuovi ma pericolosamente distorsivi.
Il video – fittizio, ma montato per sembrare reale – gioca su una verità alternativa, amplificata dai social e dall’uso spregiudicato dell’AI.
In un momento in cui i riflettori sono puntati sul caso Epstein e sulle nuove rivelazioni che lambiscono personaggi di primo piano, la mossa di Trump sembra più un’arma di distrazione di massa che un atto di trasparenza politica.
La politica americana, insomma, si trasforma sempre più in un reality distopico, dove la verosimiglianza vale più della verità e il nemico si annienta con le armi della finzione.
India
Aveva 114 anni, un corpo asciutto, una mente ancora lucida e una storia che sembrava una leggenda. Fauja Singh, maratoneta di origine indiana e simbolo globale di resilienza, è morto il 14 luglio in India, investito da un SUV mentre attraversava la strada per controllare i suoi campi.
Era noto come il “Turbaned Tornado”, il tornado col turbante. La sua corsa era iniziata tardi: aveva 89 anni quando, emigrato a Londra, si presentò al primo allenamento in giacca, cravatta e dolore.
Aveva appena perso moglie, figlio e figlia. Temevano cadesse nella depressione. Invece scelse di correre.
Tra il 2000 e il 2013 completò nove maratone, da New York a Hong Kong, sempre con il suo turbante giallo. A 100 anni — secondo il passaporto — concluse la Toronto Marathon battendo oltre 100 concorrenti più giovani.
Ma non entrò nei Guinness: nato nell’India coloniale, non aveva certificato di nascita.
Fauja ha vissuto gli ultimi anni nel Punjab, dove era ancora ospite d’onore di eventi sportivi. Chiedeva sempre una medaglia: “Se sono qui, voglio un premio”, diceva sorridendo.
Fauja Singh è morto sulle strade dell’India che lo avevano cresciuto e poi, tragicamente, inghiottito.
L’incidente che l’ha ucciso riporta l’attenzione su una realtà drammatica: oltre 150.000 morti all’anno su strade pericolose, mal progettate, pensate per le auto, mai per i pedoni.
Fauja attraversava una superstrada senza sottopasso. Lo facevano in tanti, ogni giorno, perché l’alternativa era camminare per un chilometro. Nessuna segnaletica, nessuna protezione. Solo la fretta e l’indifferenza.
La sua morte ha provocato un’ondata di indignazione e dolore. Il primo ministro indiano ha espresso cordoglio. A Londra, il suo club di corsa costruirà una clubhouse a suo nome. In India, un gruppo di scultori sta già lavorando a una statua a grandezza naturale.
Fauja Singh non prendeva medicine, non usava bastone, mangiava mango e insegnava alla nipote a fare stretching. “Solo pochi giorni fa — racconta Japneet, 16 anni — volevo che fosse il nostro insegnante di ginnastica.”
E lo era, in fondo. Un maestro di forza, silenzio e corsa. Che ci ha insegnato che si può ricominciare a qualunque età. E che la vera vecchiaia è smettere di provarci.
Corea del Sud
Sono almeno 17 i morti e 12 i dispersi in Corea del Sud dopo cinque giorni consecutivi di piogge torrenziali che hanno devastato il Paese.
Le precipitazioni hanno provocato frane, allagamenti e crolli di abitazioni. La situazione più drammatica si è registrata a Sancheong, nel sud, dove almeno otto persone hanno perso la vita in un solo giorno. A Gapyeong, a nord-est di Seul, due persone sono morte travolte da un torrente in piena e altre sei risultano ancora disperse.
Altre vittime sono state segnalate a Osan, dove un’auto è stata sepolta da fango e cemento dopo il crollo di un muro di contenimento.
Quasi 4.000 persone sono state evacuate. Le piogge, che hanno scaricato fino a 800 millimetri d’acqua in alcune zone meridionali, si sono finalmente fermate domenica mattina, consentendo la revoca degli allarmi meteo.
In un Paese altamente urbanizzato come la Corea del Sud, eventi estremi come questi sono un campanello d’allarme.
L’intensificarsi dei fenomeni climatici violenti – sempre più frequenti anche in Asia orientale – mette alla prova le infrastrutture e la capacità di risposta delle autorità. Non si tratta solo di un’emergenza meteo, ma di un segnale: il clima che cambia sta già presentando il conto.
Giappone
Il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba e la sua coalizione di governo hanno fallito nel riconquistare la maggioranza alla Camera Alta del parlamento, fermandosi a 47 seggi, sotto la soglia dei 50 necessari per mantenere la maggioranza con i 75 già detenuti.
È la prima volta dal 1955 che il Partito Liberal Democratico (LDP) perde la maggioranza in entrambe le camere, dopo il crollo già avvenuto a ottobre alla Camera Bassa.
Ishiba ha promesso di restare in carica nonostante le pressioni, ma l’instabilità politica si aggrava.
A pesare sulla sconfitta: prezzi alle stelle, salari stagnanti, spese sociali insostenibili e proteste contro misure restrittive verso residenti stranieri.
Intanto, si fa strada una nuova destra populista: il partito Sanseito, xenofobo e ultraconservatore, passa da 1 a 14 seggi, mentre il Democratic Party for the People (DPP) quadruplica la propria presenza a 17 seggi. Più debole il Partito Democratico Costituzionale (CDPJ), principale forza d’opposizione centrista.
La coalizione di governo è ora minoritaria, incapace di approvare leggi senza concessioni all’opposizione, mentre il presidente USA Trump minaccia nuovi dazi (25% dal 1° agosto) sulle importazioni giapponesi, aumentando la pressione politica.
La disfatta del governo Ishiba segna una svolta nella stabilità politica giapponese: un partito egemone da decenni vacilla, e il vuoto lasciato viene subito occupato da formazioni populiste e retoriche xenofobe.
Nonostante la tenuta formale del premier, l’erosione della fiducia è profonda e trasversale: i cittadini chiedono risposte concrete su economia e diritti sociali, ma ricevono slogan e capri espiatori.
Il Giappone sembra entrare in una nuova fase, dove la retorica “Japanese First” si sostituisce al compromesso, e dove il disagio sociale rischia di diventare carburante per un populismo sempre più pericoloso.
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