Israele bombarda Damasco e minaccia di continuare

Scritto da in data Luglio 16, 2025

Israele ha bombardato il quartier generale dell’esercito siriano a Damasco, dopo aver intimato al governo guidato dagli islamisti di lasciare in pace la minoranza drusa nel suo cuore di Sweida.

Nella capitale la gente è nel panico, mentre alte colonne di fumo si alzano verso il cielo. Il governo israeliano ha confermato attacchi mirati nei pressi del Ministero della Difesa siriano a Damasco, oltre a colpire convogli governativi nel sud del paese. Almeno nove, per ora i feriti nella capitale.

Intanto, rinforzi israeliani sono stati dispiegati lungo il confine.

Scontri tra esercito e milizie druse

Il Ministero della Difesa siriano ha accusato i gruppi armati di Sweida di aver violato l’accordo di tregua, portando le forze armate a rispondere “per proteggere i civili e garantire il ritorno in sicurezza degli sfollati”.

Ma nelle zone del conflitto continuano a emergere testimonianze di attacchi ai civili, in un contesto di blackout delle comunicazioni e incertezza totale sul destino di molti residenti.

Testimonianze di disperazione e paura

Molti membri della diaspora drusa, soprattutto negli Emirati Arabi Uniti, hanno raccontato all’Associated Press la paura per i propri familiari nascosti nei rifugi o spariti dopo gli scontri. Alcuni hanno riferito di case bruciate con intere famiglie all’interno, evocando ricordi dolorosi come l’attacco dell’ISIS a Sweida nel 2018.

“È lo stesso scenario,” ha detto una donna. “Stavolta i combattenti drusi stanno solo cercando di proteggere le proprie famiglie.”

 La storia e la distribuzione della comunità drusa

La comunità drusa, nata come corrente dell’Islam sciita nel X secolo, conta circa un milione di membri nel mondo: oltre la metà in Siria, gli altri tra Libano, Israele e le alture del Golan.

Le violenze sono esplose da una serie di rapimenti reciproci tra tribù sunnite beduine e milizie druse. Le forze governative intervenute per “ristabilire l’ordine” si sono scontrate con i gruppi locali.

Circolano video agghiaccianti di combattenti governativi che umiliano religiosi drusi, e miliziani drusi che malmenano o posano accanto ai cadaveri dei soldati siriani. Alcune case sono state bruciate e saccheggiate.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, i morti sono oltre 250, di cui 21 uccisi con esecuzioni sommarie. Il governo ha rilasciato solo dati parziali: 30 morti fino a lunedì.

Condanna ufficiale e minaccia di rappresaglie legali

Il presidente ad interim siriano, Ahmad al-Sharaa, ha condannato le violenze definendole “inaccettabili” e promettendo che “i responsabili, siano essi individui o gruppi armati, saranno puniti per vie legali.”

In Israele, dove la comunità drusa è integrata e arruolata anche nelle forze armate, le proteste si sono moltiplicate, molti si stanno dirigendo da Israele verso il conffine.

Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha dichiarato che l’esercito “continuerà ad attaccare le forze del regime finché non si ritireranno dall’area”.

Anche il premier Netanyahu ha ribadito che Israele ha “l’obbligo di proteggere i drusi e mantenere la regione sud-occidentale della Siria come area smilitarizzata”.

Il nuovo equilibrio in Siria dopo la caduta di Assad

La guerra civile siriana si è ufficialmente conclusa con la caduta del regime di Bashar al-Assad lo scorso dicembre, dopo quasi 14 anni di conflitto. Ma la situazione è tutt’altro che stabile: i nuovi leader sunniti sono guardati con diffidenza dalle minoranze etniche e religiose, che temono vendette e persecuzioni.

In questo vuoto di potere, esplodono vecchie tensioni settarie. La Siria rischia di entrare in una nuova fase di frammentazione e violenza.

Quello che sta accadendo a Sweida è molto più di una faida locale: è la dimostrazione che la Siria, anche dopo la caduta di Assad, resta una terra senza pace.

Una pace che non basta dichiarare, ma va costruita — e nel caso siriano, ricostruita dalle macerie di quattordici anni di guerra, di propaganda, di tradimenti, di paure.

Le minoranze, come i drusi, temono di essere schiacciate tra vecchi rancori e nuovi equilibri, accusate di aver sostenuto un regime caduto, abbandonate da chi prometteva giustizia. Il loro senso di accerchiamento cresce, e con esso la logica dell’autodifesa armata, innescando un altro giro di violenza.

Israele si propone come protettore, ma lo fa per interesse strategico, non certo per puro altruismo. La sua presenza nel sud della Siria è sempre più aggressiva, e l’invocazione alla “difesa dei drusi” è anche un modo per consolidare un corridoio d’influenza e allontanare il pericolo rappresentato dalle forze filo-iraniane o islamiste.

Nel frattempo, i civili — quelli che si nascondono negli scantinati, che non riescono a raggiungere i propri cari, che vengono colpiti mentre cercano di lavorare — continuano a pagare il prezzo più alto.

Siria: minoranze preoccupate

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