Il sobrio Natale della Siria

Scritto da in data Dicembre 24, 2024

DAMASCO – Poche luci, poche decorazioni, poche parole, non è decisamente un Natale come quello degli altri anni a Damasco. Lo racconta la gente che la sera invade la città vecchia della capitale alla ricerca di un po’ di quel calore festivo che avvolge anche chi non è cristiano.

L’aerea pullula di combattenti dell’Hayat Tahir al Sham, alcuni indossano la divisa della polizia, altri con i volti coperti e una divisa nera presidiano le sette porte della città. Vengono da Idlib dove le nuove autorità che hanno fatto cadere il regime di Assad, già governavano da anni.

La paura dei cristiani

Il timore è che accada di brutto e in qualche modo si spezzino i nuovi delicati equilibri che si stanno formando.

Avete combattuto per molto tempo e ora? “Ora speriamo di vivere in pace, abbiamo abbracciato le armi solo per mandare via Bashar Al Assad, ora possiamo riprendere la nostra vita, anche se abbiamo perso tutto”, risponde il soldato o poliziotto, non è chiaro ancora che che cosa siano.

Uno di loro aveva un negozio, un altro era un carrozziere, ma non è rimasto niente della vita di prima, nella regione settentrionale da dove vengono, è tutto distrutto. “Siamo felici e non vogliamo combattere più, ora la Siria è libera”, dice uno di loro stringendo un’arma automatica che non dà molto una sensazione di pace.

Le stradine della vecchia città con i suoi caratteristici balconi, i negozi di cristiani e i campanili che spuntano tra le case raccontano un’altra storia. La tensione sembra avvicinare i muri e tenere la gente in una morsa.

Forse è passato troppo poco tempo dalla caduta del regime e le incognite sul futuro sono ancora troppo grandi perché ci si possa godere il momento.

Nella cartoleria “La Vergine”, il proprietario tentenna nel dire quello che pensa. “Non sappiamo cosa ci attende, speriamo tutti per il meglio, speriamo che le parole che sentiamo siano vere, ma solo i prossimi mesi potranno rassicurarci”.

Ha venduto decorazioni di Natale? “Quest’anno no, solo i giochi per i bambini”, gli adulti hanno altro per la testa.

“Puoi portarlo al Papa?”

Joseph Dayeh, anche lui ha paura del futuro e di raccontare, ma ha anche 80 anni, il regime lo ha visto nascere ma anche cadere. Possiede un negozio di antichità di quelli che affollano la strada principale del quartiere, tante spade, pugnali, strumenti musicali, cianfrusaglie e magari qualche rarità se si avesse il tempo di cercare.

“Siamo stati tenuti in catene, ora speriamo che il paese si possa riaprire al mondo. Siamo stati derubati, incatenati dalle persone vicino a Bashar, ma ora stiamo attraversando un limbo. Non so chi sono queste nuove persone, ma abbiamo bisogno di speranza”.

Poi afferra un gagliardetto con l’immagine di Cristo e mi domanda: “Puoi portarlo al Papa perché preghi per noi?”. Per non deluderlo me lo infilo in borsa. Provare non costa niente e neanche dargli un po’ di speranza.

Un Natale diverso

“E’ un momento emozionante, abbiamo vissuto in un regime che ci teneva in una grande prigione. Le immagini che ormai, tutti hanno visto della prigione di Sednaya, è un esempio di come è stato il regime per 50 anni.

È rimasta una Siria distrutta, che si tratti delle sue pietre, istituzioni, economia. Stiamo vivendo una gioia non completa”, ci spiega Padre Firas Lufti, parroco e guardiano della comunità francescana, “ci dovrà essere una nuova Costituzione per tutti i siriani a prescindere dall’etnia o dalla religione.

“Ci dovrà essere un rifiuto categorico di divisioni tra maggioranza e minoranze. I diritti dovranno essere garantiti ed essere un caposaldo della nuova Costituzione. Uguaglianza piena e dignità per tutti, dai bambini agli anziani”.

Per i siriani la comunità internazionale ha una responsabilità grande e dovrà chiedere garanzie, visto che i governi occidentali, Italia compresa stanno sfilando per conoscere le nuove autorità e innescare nuove collaborazioni.

Ma solo qualche ora dopo, un professore universitario della facoltà di Scienze Politiche, che chiede di rimanere anonimo, ci sussurrerà quasi a timore che i muri possano sentire: “Ma ci credi davvero che americani, europei stiano corteggiando il neo leader perché gli interessa del popolo siriano?”.

Una Siria per tutti

Padre Firas però, ha una comunità da guidare, e anche se è un Natale sobrio a Damasco, non si può non sperare che andrà meglio. “Ci vuole del tempo per capire cosa succederà. Abbiamo bisogno di credere in una Siria nuova e diversa”.

Come questo Natale, dove si celebra ma non troppo per paura che qualcosa di brutto possa accadere. In un villaggio cristiano vicino alla città di Hama, uomini mascherati hanno dato fuoco all’albero di Natale, innescando proteste di molti cristiani.

“Non vogliamo che succeda niente, non vogliamo che il Natale diventi un momento drammatico, abbiamo spostato la messa della vigilia alle cinque del pomeriggio, così poi le persone possono tornarsene tranquillamente a casa.

Un giorno alla volta, per i siriani cristiani che vanno avanti, “Possiamo soffrire ma non soccombere. Non ci rassegniamo”, dice padre Firas, pensando ai cristiani che sono rimasti nella terra martoriata della Siria: nel 2011 erano circa 2 milioni, oggi sono circa mezzo milione, un terzo.

“Questo paese è alla ricerca di una nuova identità che comprenda tutti quanti, se non ci sarà il principio della cittadinanza, se non saremo tutti siriani nello stesso modo, allora non ci sarà niente”.

Lasciamo Padre Firas alla sua giornata per poi rivederlo mentre celebra la messa nella Chiesa gremita di gente. E’ Natale a Damasco, in paese che si sente nuovo ma che sarà sempre legato al passato e al dolore di chi lo ha vissuto.

“Due settimane fa ero al lavoro, abitavo ad Aleppo, quando la casa della mia famiglia è stata bombardata da Assad che voleva compire le forze di Hayat Tahrir al Sham. Sono morti tutti”, ci dice di punto in bianco il tassista che non aveva detto una parola da quando ci ha preso a bordo nel suo taxi sgangherato, dove lotta con il cambio come dovesse vincere una battaglia.

Come sono morti tutti? “Mia moglie e i miei sei figli. Non ho più niente”. Mentre cadeva il regime, quest’uomo dai lineamenti duri e gli occhi traboccanti di lacrime, ha veramente perso tutto il suo mondo.

“Non avevo più una casa, una famiglia, sono venuta a Damasco, dormivo in macchina, quando una famiglia che avevo ospitato durante la guerra, ha saputo cosa era successo, mi ha preso in casa, ma voglio tornare ad Aleppo appena avrò fatto un po’ di soldi, perché le persone che ho amato sono tutte lì”.

Le domande si fermano in gola. E’ Natale in Siria, ma si continua a pagare il prezzo della dittatura e questo orrore che hanno subito i siriani, non si cancellerà con una Costituzione nuova o l’apertura di qualche ambasciata per far sembrare che tutto è normale. Niente lo è, perché il dolore di queste persone saranno il filo che intesserà il futuro di questo paese.

 

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Sednaya: eco di dolore e resistenza

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