Dalla parte sbagliata della Storia

Scritto da in data Dicembre 30, 2024

DAMASCO – La giornata è uggiosa e il freddo sempre più penetrante tra i vicoli poveri del quartiere dove vivono gli Alawiti di Damasco.

Gli Alawiti sono un gruppo etno-religioso presente principalmente in Siria, con radici nell’Islam sciita, ma con caratteristiche distintive che li differenziano dalle altre correnti islamiche.

Gli alawiti

La maggior parte degli Alawiti in Siria, vive nelle regioni montuose della costa occidentale (attorno a Latakia e Tartus). Piccole comunità si trovano anche in Libano e Turchia.

In Siria costituiscono circa il 12-15% della popolazione totale. Gli Alawiti hanno avuto un ruolo determinante nella storia politica moderna della Siria, specialmente a partire dal XX secolo.

La loro influenza politica è aumentata con il dominio del Partito Ba’ath negli anni ’60. Questo processo è aumentato con l’ascesa al potere di Hafez al-Assad (un Alawita) nel 1971, seguito dal figlio Bashar al-Assad caduto l’8 dicembre scorso, quando l’organizzazione sunnita di Hayat Tahrir al Sham ha preso il potere.

Durante la guerra civile siriana iniziata nel 2011, gli Alawiti sono stati strettamente associati al regime di Assad. E ora che il regime non c’è più, non è decisamente un buon momento per loro.

Ma le cose non sono mai completamente nere o bianche, a volte le circostanze travolgono gli eventi, e se un attimo prima era da una parte, basta poco per ritrovarsi dall’altra.

Quello che sembra vero, soprattutto in Siria è che la gente normale, da qualunque parte si ritrovi, quella società civile che duramente tentato di sopravvivere alla pressione di un regime brutale, ha pagato un prezzo altissimo.

La complessità della Siria

La Siria è un paese complesso fatto di molte differenze da quelle religiosa ad etniche, ma anche di rabbie che hanno covato dentro per anni, che non si potranno mai risolvere in una democrazia stabile se non si arriverà ad una sorta di riconciliazione come hanno fatto alcuni paesi africani come il Rwanda, capaci di affrontare le ferite e i torti degli altri, non dimenticandoli, ma scegliendo di andare avanti.

Un lungo processo, ancora in atto, che la Siria dovrà affrontare se vuole un futuro diverso dal caos che cerca di fare capolino da ogni ferita e dolore che emerge parlando con chiunque ci si trovi davanti.

Abbiamo incontrato Samer Sa’em, detto Abu Suleiman, un campione di boxe pesi medi, 41 anni, sua nonna era cugina del presidente Hafez, ma non ha avuto la fortuna degli altri parenti del dittatore perché la vita avrebbe tracciato loro un destino diverso.

La verità dei perdenti

Bisogna precisare che quello che racconta è la versione dei fatti di un uomo che appartiene oggi ad una comunità che fino all’8 dicembre faceva parte dell’élite che era al potere, che si è macchiata di atti atroci e con i quali dovranno fare i conti con la giustizia, ma anche vero che non sono tutti ricchi e cattivi.

Per loro è stato più facile lavorare, studiare, ottenere un lavoro perché appartenevano alla comunità al potere, ma ora hanno veramente paura di quello che potrebbe succedere.

Come per le altre comunità, ognuno ha la propria personale percezione di quello che sta accadendo, raccontarla è solo un pezzetto di un caleidoscopio che racconta una realtà dove ognuno pensa di essere nel giusto e dove si giustifica quello che è stato.

Sapendo che tutto è come lo si interpreta, è l’unico modo per capire come si vive un certo momento storico. Ed è il caso di questo signore muscoloso, che ha tolto la foto di suo fratello soldato morto in guerra che teneva sulla vetrina del negozio perché ha paura di ritorsioni.

Ha paura per la moglie, per il figlio di 10 anni, “Svolgo tre lavori al giorno, eppure non ho i soldi per curare la mano rotta del mio bambino, perché costa troppo e ora non so che ne sarà di noi.

Penso di essere un morto che cammina perché in qualsiasi momento ora qualcuno può arrivare e uccidermi chiunque di noi, per rabbia e vendetta”.

Rischio di ritorsioni

Gli alawiti oggi hanno paura delle ritorsioni dei sunniti, i sunniti hanno paura degli ex alawiti che erano nell’esercito, cristiani e drusi hanno paura di tutti perché sono quelli che pagano il fatto di essere una minoranza, più minoranza degli altri.

I curdi sono una faccenda a parte ma che rende il quadro ancora più complicato.

“La mia comunità è responsabile di quello che è successo negli ultimi 50 anni ma bisogna anche vedere come siamo arrivati a questo punto – spiega Abu Suleyman che non è disposto a fare l’agnello sacrificale senza almeno avere dato la sua versione – Prima dell’arrivo di Assad padre la nostra era una comunità istruita, vivace, poi è stato fatto in modo di cancellare ogni forma sociale e culturale per farci diventare soldati”.

Secondo Abu Suleyman, la famiglia di Assad aveva bisogno di creare un esercito fedele, e ha pescato tra i poveri, ha offerto una possibilità di uscire dalla fame.

La costruzione di una mentalità militare

Ma più si arruolavano più smettevano di studiare, più perdevano i punti di riferimento intellettuali, più la loro mentalità si trasformava in una macchina da guerra.

“Avevamo mercanti, storici, filosofi, tutti loro figli sono stati arruolati, dopo 10 anni solo chi era nell’esercito aveva privilegi e chi non vorrebbe in un paese che diventa ogni giorno più povero?”.

Nel 1981 si comincia a combattere ad Hama, i fratelli musulmani sono forti, racconta il pugile, che vede in questo momento quello di svolta della cultura alawita.

“Si trattava, da una parte e dall’altra ,di uccidere l’altro. I fratelli musulmani hanno ucciso personaggi importanti alawiti e Assad li ha massacrati, voleva un esercito sempre più grande e forte perché le minacce erano dentro e fuori.

Ha usato la povertà come espediente per tirarci dentro. Siamo stati trasformati in armi, ci è stato dato potere e tutti i giovani sognavano di essere forti. Ogni società ha delle persone di riferimento, a noi era rimasto solo l’esercito. Così la parte umana degli alawiti è stata distrutta”.

“Guarda oggi, non abbiamo nessuno che parli per noi, non c’è cultura, società, il nulla. Il nostro riferimento era Bashar Assad e lui se n’è andato lasciandoci qui come carne da macello.

I parenti si sono presi tutti i posti importanti, avevano le mani ovunque, sono diventati avari, per anni hanno rubato tutto quello che potevano da chiunque, si pagavano mazzette per qualsiasi cosa perché tutti avevano bisogno di qualcosa e le richieste di aiuto si sono trasformate in estorsioni per chiunque”.

Non si poteva tornare indietro

Abu Suleyman cerca di spiegare come è stato diviso il potere, come è stata creata la discriminazione etnica e religiosa.

“Qualcuno di più illuminato tra noi ha capito che le cose non stavano andando così bene, ma chi parlava veniva fatto fuori, nel 1985 nessuno di loro pensava più ad apporsi perché aveva paura dell’intelligence”.

È facile biasimare un presidente che se n’è andato lasciando la comunità di riferimento a vedersela da sola.

Negli ultimi giorni le nuove autorità hanno condotto operazioni in tutta la Siria per cercare di far deporre le armi all’ex esercito e arrestare chi fosse coinvolto in crimini contro l’umanità come la gestione delle prigioni del regime.

Si parla di centinaia di arresti e di scontri, anche il quartiere di Damasco dove ci troviamo è stato circondato, montati posti di blocco, sparati colpi in aria.

“Quando Bashar è diventato presidente le cose sono migliorate, non potevamo solo entrare nell’esercito che comunque era obbligatorio per tutti, ma potevamo avere anche altri lavori, ed è vero gli alawiti hanno goduto di privilegi, i figli dei soldati potevano studiare, andare all’estero, poi nel 2003 qualcosa è cambiato”.

Secondo Abu Suleyman, la caduta di Saddam rende Bashar sempre più paranoico, subisce l’influenza degli iraniani, nel 2006 gli Hezbollah sono ufficialmente nel paese e la situazione progredisce fino a quando nel 2011scoppiano le proteste.

“Prima era la primavera araba, giovani che chiedevano libertà, poi prende una piega religiosa, e gli alawiti hanno che i musulmani sunniti si sarebbero vendicati per gli scontri nell’’81”.

La rivoluzione si trasforma in guerra civile, da una parte Assad sostenuto da Russia e Iran, dall’altra gli altri sostenuti da interessi stranieri (Turchia, Stati Uniti e Qatar in particolare) che mettevano sempre più piede nel paese.

La crisi economica

“La fine di tutto è cominciato nel 2017 con la crisi economica, Al Qaeda, l’Isis, poi Hts che ora è al potere, sono la conseguenza uno dell’altra. Mentre la gente viveva nella povertà, nella distruzione, nella morte. Non si vedeva né si capiva più quello che stava succedendo. Si ammazzava e basta”.

“I soldati che due settimane fa hanno lasciato entrare ad Homs e ad Aleppo Hts togliendosi le divise e abbandonando le armi, non guadagnavano neanche 50 dollari al mese, si può combattere per quella cifra?

I ricchi sono quegli ufficiali che ora sono scappati e se ne stanno in giro per il mondo con documenti falsi”.

“Tra il 2020 e il 2021 gli alawiti hanno cominciato a realizzare che erano stati sacrificati affinché gli alti ranghi potessero stare bene.

Nel 2020, tutti odiavano Assad, non solo chi gli era contro, anche noi. E il malcontento dilagava tanto che Assad ha dovuto fare dei rimpasti, ha perfino cambiato dei ministri, ma alla fine sceglieva sempre in quella cerchia ristretta di cui poteva fidarsi. Fingeva di fare dei cambiamenti ma in realtà non cambiava niente”.

“Perfino gli imam alawiti nelle moschee hanno smesso di pregare il venerdì per Assad. Sono morti centinaia di migliaia di soldati, e per cosa?

Si era costretti a continuare a difenderlo perché non c’era altro che si potesse fare, senza di lui, gli alawiti sarebbero morti, ma morivano lo stesso perché due cugini di Bashar nel 2019 hanno messo in piedi una sorta di milizia Al Awashim per dare la caccia ai dissidenti alawiti.

Gruppo al di fuori dell’esercito finanziato direttamente dall’Iran. Avevamo ancora più paura anche perché il commercio del Captagon ci spaventava per i nostri figli”.

Il Captagon

Il aptagon è una droga stimolante che durante la guerra civile siriana, è diventata strettamente legata all’economia della guerra e alla strategia militare.

La Siria era una delle principali produttrici di Captagon. Il paese è diventato un epicentro per la produzione e la distribuzione della droga, la produzione avveniva in laboratori clandestini, spesso sotto il controllo di fazioni armate o con la complicità di funzionari del regime siriano.

I combattenti di diversi schieramenti (tra cui il regime di Assad, gruppi ribelli e persino gruppi jihadisti come ISIS) utilizzavano il Captagon per migliorare le loro prestazioni in battaglia.

La droga aiutava i soldati a combattere più a lungo, senza dormire, e a superare la paura e il dolore. Creava degli zombie da battaglia capaci di atti di estrema violenza.

La vendita di Captagon ha generato miliardi di dollari, rappresentando un’ancora di salvezza per le economie collassate delle fazioni coinvolte nel conflitto. Ha creato una vasta popolazione di tossicodipendenti, sia tra i combattenti che tra i civili esposti alla droga.

“Ad un certo punto abbiamo smesso di combattere, noi morivamo e i generali costruivano palazzi. Ahmed Shaara (il nuovo leader de facto del paese con un passato da qaedista) ha detto che proteggerà le minoranze, ma non ci crediamo veramente, siamo spaventati.

Se verranno a prenderci, nessuno ci proteggerà e non abbiamo nessuno che parli per noi”, mormora Abu Suleyman con amarezza – Il nuovo ministro dell’Intelligence ha chiesto di parlare con qualcuno della comunità alawita, ma non è stato trovato nessuno che ci rappresenti”.

“Sui social è pieno di facce di alawiti accusati di qualunque cosa, chiunque può farlo, e chiunque può vendicarsi. Tutto quello che vogliamo è solo vivere al sicuro, crescere i nostri figli e lavorare, eppure mi sento già morto”.

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