Solidarietà selettiva?
Scritto da Barbara Schiavulli in data Aprile 18, 2022
Vedo una foto significativa e forte di Felipe Dana, un grande fotografo: due anziane ucraine freddate dai russi in casa e il loro cane che resta a vegliarle per giorni fino a quando qualcuno non trova i due corpi.
Mi leggo i commenti, decine e decine: “quanto durerà questo scempio”, qualcuno invoca i crimini contro l’umanità, qualcun altro dice che non si può andare avanti così.
Da una parte, sono colpita, l’indignazione della gente mi fa sperare, l’ondata di empatia verso persone travolte dalla furia di altre persone, mi fa pensare che possano esserci possibilità per il mondo che ci circonda, perfino per questo paese spesso dal sonnacchioso senso di giustizia e dal razzismo a soggetto, dove persino lo Stato non riesce a fare giustizia dei suoi cittadini.
Ma poi penso dov’era e dove è questa sete di giustizia, questa pulsione di rabbia, quando si parla di uomini squartati in Congo, di bambini uccisi in Yemen, di donne imprigionate in Afghanistan, di giovani palestinesi massacrati e famiglie messicane scomparse in qualche fossa comune?
Forse è colpa nostra, di noi giornalisti, non sappiamo o non raccontiamo abbastanza. O forse la gente ha una solidarietà selettiva. I bimbi afgani che han assistito alla morte dei loro genitori come quel cane in ucraina, valgono meno la nostra indignazione? Le bombe russe sugli ucraini sono più brutte delle bombe russe sui siriani? Le bombe americane sugli iracheni o quelle saudite sugli yemeniti sono più giustificabili? E se non lo sono, allora perché i profughi somali non sono uguali a quelli ucraini?
Perché loro si possono vendere ai libici o ai turchi mentre agli altri si spalancano i confini? E non penso che non si dovrebbero accogliere gli ucraini, non lo penso neanche con una cellula del mio corpo, ma penso che tutti andrebbero trattati allo stesso modo. Penso che l’indignazione non abbia colore, genere o religione. Penso che come per il cuore non si esaurisce distribuendolo agli altri, ma aumenta, questo valga per il senso di giustizia che si può applicare a tutti, non in nome di chi si è o dove si vive, ma in nome di quello che nessuno dovrebbe mai subire.
Quando si capirà che non ci sono vittime più vittime degli altri, forse la guerra comincerà a non essere più una soluzione tollerata. E neanche farla cominciare. A partire da chi con le armi ci guadagna. Perché questo trovo ancora più devastante che mentre noi ci indigniamo, qualcuno si sta leccando le dita per i soldi che girano ogni volta che si aumentano le spese per gli armamenti.
Foto di copertina: Kasia on Unsplash
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