Prendersi cura dei diritti

Scritto da in data Maggio 3, 2022

Cinquantanove guerre. Decine di migliaia di morti. Centinaia di migliaia di feriti e di detenuti politici. Regimi, proteste, omicidi mirati, sparizioni forzate. Donne nel mirino, gay, minoranze religiose ed etniche. Perfino l’accesso alla scuola o l’ascolto della musica può essere reato. Milioni di profughi. Fame, distruzione, malattie, bombe, allagamenti, siccità. Povertà, terremoti, minaccia ambientale, nucleare. Minaccia alla libertà di espressione. Comunque la si rigiri, questa palla di terra e acqua che chiamiamo Mondo non se la sta passando bene.

Fa quasi paura guardare in faccia la realtà, girarsi di scatto e scoprire che l’unico barlume di umanità che ancora sopravvive risiede nel tentativo serrato di chi continua a fare la differenza. Su un pianeta di indifferenti, dove c’è gente che, a pieno diritto, non sa e non vuole sapere. Chi gode di diritti ma poi non vuole o non sa difenderli. Perché c’è sempre qualcun altro che lo fa. Perché non c’è tempo, perché la vita è comunque dura per tutti, e quelli per i quali è più dura sono solo sfortunati, nati nei posti sbagliati, con i vestiti sbagliati, con le possibilità sbagliate. Poi ci sono quelli che potrebbero ma non fanno, e ci sono quelli che deliberatamente peggiorano questo pianeta. Chi scatena guerre, chi le difende, chi insegna che il potere e il guadagno sono tutto. Che una persona si identifica con quello che ha e quello che ha ottenuto, piuttosto che con quello che è.

Diritti non per tutti

E ancora si torna ai diritti, quella strana parola che vale per alcuni ma non per altri. Di cui alcuni godono, ma non altri. Che sono giusti per alcuni e non per altri. È difficile pensare a un mondo migliore quando siamo ancora un posto dove gli esseri umani sono meno umani se sono donne, omosessuali, neri, o qualsiasi altra cosa si discosti dalla narrazione del mainstream. Quando alcuni sono meglio di altri a prescindere. Quando alcuni pensano di avere ragione sugli altri. Democrazia, una parola che ci si arrovella sulla lingua e sul nostro modo di vivere, per la quale ci battiamo il petto ma che ogni giorno che si vive ne dimostra l’imperfezione, quando manca lo sforzo a migliorare e a migliorarsi, a partire da chi ha il tempo di porsi domande.

Perché chiedetelo a un nordcoreano, a un intellettuale birmano o a una donna afghana se ha tempo di tergiversare sulla libertà e su quella democrazia di cui non conosce il significato. Eppure, in queste sabbie mobili che ci circondano e ci tirano giù, ci sono persone che lottano. Persone che continuano a farlo nonostante ci sia qualcuno che tenti di affossarli, che si tratti di liberarsene fisicamente o distruggerne la reputazione. Impedire la parola è cancellare le persone.

I difensori

Penso ai difensori dei diritti umani, agli attivisti, ai giornalisti che indagano sui crimini, a chi pensa e a chi ha il coraggio di parlare. Penso a chi salva le persone, a chi protesta, a chi insegna, a chi abbassa le armi e scrive. A chi solleva e diventa uno scudo e a chi ci protegge a mani nude. E allora vedo che, forse, questo mondo non è così male, che ci sono perle tra le crepe del male che ci circonda. Penso al rispetto. E a quanto poco sia parte delle nostre vite, a partire da quando si accende il computer e si viene travolti dai leoni da tastiera che insultano invece di dialogare, che istigano invece di argomentare. Prepotenza e arroganza. Penso alle aziende che non si adeguano, che ci avvelenano, che fanno del profitto il loro unico dio; penso ai politici che non guardano avanti, che non immaginano il mondo che dovrebbe essere perché non gliene importa niente. Penso a chi fa della guerra un giro di affari, chi sfrutta gli esseri umani, chi li usa e ne abusa. Penso alle religioni travisate, alle ideologie contraffatte, agli eroi falsi e ai nemici necessari. Penso troppo, forse. E non ho neanche mangiato pesante. E penso a chi non mangia, a chi mangia troppo, a chi è malato e a chi cura.

Gli aggressori

Penso a quelli che sanno e vengono attaccati da chi non sa… ma ha solo una voce più forte e più tempo da perdere. Penso a chi non ha nulla e non riesce neanche a mostrare la sua mano che chiede aiuto, perché le nostre telecamere sono telescopi puntati unicamente verso una cosa per volta, e quando si arriva all’altra è sempre troppo tardi. Non c’è più tempo. Ci si può alzare con una nuova guerra, si può andare a letto con un pezzo di foresta in meno. Si fa merenda mentre la gente affoga in mare e nessuno la soccorre. Ci si incontra mentre qualcuno viene respinto a una frontiera, dopo che ha visto la sua casa crollare sotto i bombardamenti degli stessi alleati che gli hanno distrutto casa. Si va a lavorare, a mangiare, a sposarsi, mentre qualcun altro muore senza giustizia. E morire è naturale, essere uccisi no. E non avere giustizia ancora meno. Non c’è più tempo per scegliere da che parte vogliamo stare: tra quelli che non si interessano o quelli che fanno la differenza. Ci sono momenti della vita in cui ci è richiesto di prendere posizione, e anche decidere di non prenderla è una scelta rispettabile. Ma non è la nostra, non è la mia. Perché i diritti che cadono sono come un domino, e prima o poi potremmo essere noi quelli che soccombono.

La forza del giornalismo

Stringo l’obiettivo, mi limito al nostro che è il giornalismo. Un giornalismo che oscilla, spesso, tra la militanza e il menefreghismo, tra esserci troppo o non esserci affatto. A quel mainstream che ha il potere di fare la differenza e non la fa, perché gli interessi di altri riempiono le pagine dei bisogni di chi legge.
E i tanti piccoli tentativi dell’alternativestream, che non riescono neanche lontanamente ad avvicinarsi all’opinione pubblica se non in sparuti gruppi. La conoscenza, il rispetto e la difesa dei diritti umani e dell’ambiente è oggi un obiettivo prioritario. È l’essenza di quello che ci si aspetta. Quando i diritti sono in cima all’elenco di quello che serve a una società stabile, allora più un posto sarà istruito ed equilibrato, e più, di conseguenza, sarà anche economicamente stabile e avanzato. È un dato di fatto. I numeri lo dimostrano. Lo dimostrano anche le storie. I nomi delle persone, l’avanguardia delle leggi. Non sono le ricchezze a rendere un paese ricco. Non è la solidità politica, quando spesso sconfina nel regime, che rende un paese stabile. È il grado di rispetto, libertà e istruzione di cui siamo in grado di far godere tutti. Che sia un bambino, un analfabeta, un povero o chiunque abbia bisogno.

Solidarietà selettiva?

La ricchezza di un paese si dimostra nel modo in cui ci occupiamo dei vulnerabili, dei loro diritti e del loro rispetto. La ricchezza di un paese è un giornalismo che protegge le voci libere anche se non ci piacciono, che difende quelle che vanno contro i regimi, che siano quelli come l’Egitto che ha sessantamila detenuti politici, o quelli come gli Stati Uniti che danno la caccia a persone come Assange, che potrà non essere perfetto ma comunque solo uno come lui poteva svelarci un mondo ancora più imperfetto, grazie a un Occidente distratto. È semplice schierarsi dalla parte facile, ma è quella difficile che a noi dovrebbe interessare.

Foto di copertina: Photo by Markus Spiske on Unsplash

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