4 dicembre 2025 – Notiziario Mondo

Scritto da in data Dicembre 4, 2025

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  • Guerra Russia-Ucraina, Rutte dichiara: “L’Europa non va da nessuna parte”. Il continente si riarma.
  • Gaza: Israele annuncia l’apertura del valico di Rafah per far uscire i palestinesi
  • Corte penale internazionale: conferma delle accuse a maggio contro l’ex capo delle carceri libiche El Hishri; con Almasri è uno dei registi delle torture ai migranti
  • Uganda, ONU denuncia aumento della repressione nel paese prima delle elezioni di gennaio
  • Colombia avverte gli Stati Uniti: attacco in America Latina sarebbe “dichiarazione di guerra”
  • Stati Uniti, Trump blocca le richieste di visti per immigrati da 19 Paesi
  • Australia, nel mirino nuove app social dopo il divieto under 16
  • La buona notizia: Romania guida l’Europa nel riciclo: 94% di bottiglie e lattine recuperate

Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets – a cura di Stefania Cingia

Introduzione: Riflessioni sulla guerra di Simone Weil, 1933

RUSSIA-UCRAINA

Ucraina, NATO e fratture europee: tra riarmo, pressioni di Trump e i dubbi dell’Italia

Si alza il livello dello scontro tra Russia e Occidente, mentre l’Europa cerca faticosamente di restare compatta sul fronte ucraino. Il segretario generale della NATO Mark Rutte ha parlato ieri a Bruxelles al termine della riunione dei ministri degli Esteri dell’Alleanza, lanciando un duro avvertimento contro quella che ha definito la “condotta sempre più irresponsabile” della Russia, fatta di cyberattacchi e violazioni dello spazio aereo.

Rutte ha ribadito che i Paesi dell’Alleanza devono arrivare a investire fino al 5% del PIL nella difesa, un traguardo ambizioso che segna una svolta storica nel riarmo europeo.
Secondo il segretario NATO, due terzi degli alleati hanno già aderito al piano PURL (Peace Through Unity, Resilience and Long-term support), il nuovo schema per garantire forniture continuative di armi all’Ucraina.

Ma al centro di tutto, ha dichiarato Rutte, c’è una figura chiave: Donald Trump. Secondo il capo della NATO, infatti, sarebbe l’unico leader al mondo in grado di sbloccare davvero lo stallo diplomatico con Mosca. Rutte ha elogiato il lavoro dei negoziatori americani che stanno incontrando i consiglieri di Vladimir Putin, pur rifiutandosi di dire se i colloqui di pace stiano facendo progressi reali.

A Putin, Rutte ha mandato un messaggio diretto: il presidente russo, ha detto, crede di poter “resistere più a lungo della NATO”, ma si sbaglia. “Non ce ne andremo”, ha dichiarato.

Sul piano economico, Rutte ha anche espresso piena fiducia nel piano dell’Unione Europea per utilizzare i beni russi congelati a sostegno di Kyiv, dopo l’annuncio della presidente della Commissione Ursula von der Leyen di un pacchetto da 79 miliardi di sterline.

L’Italia frena: crescono le voci contrarie al sostegno militare

Ma mentre a Bruxelles si parla di unità, in Italia le crepe politiche stanno diventando sempre più visibili.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha dichiarato che il governo non aderirà “per ora” al piano PURL della NATO, segnando una posizione di cautela inedita rispetto al sostegno militare a Kyiv, che finora era stato uno dei cardini della linea italiana.

A rafforzare il fronte critico è stato ancora una volta il vicepremier Matteo Salvini, che questa settimana ha detto di “sognare” la normalizzazione dei rapporti con la Russia, ha parlato di presunta corruzione in Ucraina e ha sostenuto che non sia necessario acquistare nuove armi, mentre gli Stati Uniti spingono per una trattativa di pace.

Non solo parole: fonti governative hanno confermato anche un ritardo nel rinnovo dell’autorizzazione all’invio di armamenti italiani a Kyiv, anche se l’attuale decreto resterà valido ancora per alcune settimane.

Intanto l’Unione Europea ha raggiunto un accordo definito storico per chiudere definitivamente i rubinetti del gas russo, cercando di spezzare il flusso di miliardi che, in questi anni, ha continuato indirettamente a finanziare la guerra di Mosca. Tuttavia, l’intesa arriverà a pieno regime solo tra almeno dodici mesi.

Ucraina: Trump frena, futuro dei negoziati con la Russia ancora incerto

Il presidente Donald Trump ha dichiarato che il futuro dei colloqui di pace sull’Ucraina resta “poco chiaro”, dopo l’incontro a Mosca tra Vladimir Putin e gli inviati statunitensi Steve Witkoff e Jared Kushner.

Secondo il Cremlino, Putin avrebbe accettato alcune proposte americane, rifiutandone altre. Nessun accordo concreto è stato però raggiunto. Trump ha riferito che Putin “sembra voler fare un accordo”, ma ha aggiunto che “servono due parti per ballare”.

Washington incontrerà ora i rappresentanti ucraini a Miami, mentre Zelensky ribadisce che “solo tenendo conto degli interessi dell’Ucraina può esserci una pace dignitosa”.

Il confronto avviene in un momento delicatissimo per Kiev: difficoltà militari sul fronte orientale e una pesante crisi politica interna legata a scandali di corruzione, con dimissioni eccellenti ai vertici del governo.

Intanto, leak di documenti diffusi a novembre rivelano bozze di accordo Usa giudicate troppo favorevoli a Mosca da Ucraina ed Europa. Proprio l’Europa, secondo Putin, starebbe ora cercando di boicottare i negoziati.

Europa, ritorno alla leva e maxi-piani per la Difesa: il continente si riarma

E intanto, in tutta Europa è in corso una profonda trasformazione dei sistemi di difesa: torna la leva militare, crescono i volontari e aumentano in modo record i bilanci per la sicurezza.

Una svolta accelerata soprattutto dalla guerra tra Russia e Ucraina e dall’incertezza sul futuro sostegno degli Stati Uniti.

L’ultimo segnale arriva dalla Francia. Il presidente Emmanuel Macron ha annunciato il rilancio del servizio nazionale volontario: un programma di dieci mesi per giovani uomini e donne tra i 18 e i 19 anni, con l’obiettivo di raggiungere 50 mila reclute all’anno entro il 2035. È un cambio di rotta storico, quasi trent’anni dopo l’abolizione della leva obbligatoria.

Ma non è un caso isolato. Lettonia, Danimarca, Norvegia e Svezia hanno già reintrodotto o rafforzato la coscrizione, in alcuni casi estendendola anche alle donne. La Croazia ha annunciato il ritorno della leva dopo 18 anni di sospensione. Anche Paesi come Germania, Belgio e Polonia stanno puntando su maxi-programmi di addestramento volontario, con centinaia di migliaia di nuovi potenziali militari.

Secondo Elisabeth Braw, esperta dell’Atlantic Council, l’Europa sta affrontando una verità scomoda:

“Gli eserciti professionali da soli non bastano più. Serve innovare il modo in cui pensiamo al servizio nazionale”.

La sicurezza nel continente, spiega, si sta deteriorando rapidamente, e senza una maggiore partecipazione dei cittadini sarà difficile sostenere il nuovo modello di difesa.

Parallelamente, cresce anche la spesa militare. Al vertice NATO del 2025, i Paesi europei si sono impegnati a portare la spesa per la difesa fino al 5% del PIL entro il 2035. L’Unione Europea ha lanciato il piano ReArm Europe, che prevede fino a 800 miliardi di euro di investimenti in cinque anni.

I singoli Stati si muovono in ordine sparso ma con cifre mai viste:

  • Germania: oltre 370 miliardi di euro per nuovi armamenti entro il 2026

  • Francia: bilancio della difesa raddoppiato rispetto al 2017

  • Polonia: quasi 55 miliardi di dollari solo per il 2026

Secondo gli analisti, però, il vero ostacolo non è economico ma politico e sociale: convincere l’opinione pubblica che questi sacrifici siano necessari. Le stime parlano di un possibile rischio diretto da parte della Russia entro due-cinque anni.

Un messaggio duro, ribadito anche dal capo di Stato Maggiore francese, che ha dichiarato che le società europee devono prepararsi persino all’idea di perdere i propri figli in un conflitto.

GAZA

Crisi a Gaza: aiuti bloccati, piogge invernali e il passaggio di Rafah ancora incerto

La situazione nella Striscia di Gaza rimane drammatica mentre l’inverno si avvicina. Le piogge torrenziali hanno allagato le tende degli sfollati, già logore e insufficienti a proteggere dalle intemperie. Secondo l’UNRWA, circa 1,5 milioni di palestinesi vivono all’aperto o in rifugi di fortuna, con bambini in grave stato di malnutrizione, un sistema sanitario collassato e fonti d’acqua contaminate.

Adnan Abu Hasna, consigliere mediatico dell’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel Vicino Oriente, ha spiegato che l’agenzia ha preparato centinaia di migliaia di tende, teloni, coperte e medicinali, ma Israele ne ha autorizzato l’ingresso solo in parte, nonostante la gravità della crisi. Molte tende sono state montate a pochi metri dalla riva, esponendo le famiglie a rischi ulteriori in caso di mareggiate e piogge.

Nel frattempo, Israele ha annunciato l’imminente apertura del valico di Rafah, che collega Gaza all’Egitto, per permettere ai palestinesi di lasciare il territorio. L’operazione sarà condotta sotto la supervisione della missione dell’Unione Europea, con la coordinazione di Israele e — almeno secondo le dichiarazioni ufficiali — l’Egitto. Tuttavia, il Cairo ha precisato che non c’è ancora un accordo definitivo, e l’apertura potrebbe avvenire in entrambe le direzioni, secondo il piano di pace di Donald Trump.

Il valico di Rafah è rimasto quasi completamente chiuso da maggio 2024. Prima della chiusura, era il principale punto di uscita per i palestinesi e di ingresso per gli aiuti umanitari. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che oltre 16.500 palestinesi gravemente malati o feriti attendano di essere evacuati per ricevere cure salvavita, ma finora sono stati trasferiti solo 235 pazienti, quasi tutti bambini.

Le tensioni restano alte anche per la gestione dei corpi degli ostaggi israeliani ancora trattenuti da Hamas. Israele ha confermato che i resti consegnati il 2 dicembre non appartengono agli ultimi due ostaggi deceduti, mentre Hamas e il movimento alleato Palestinian Islamic Jihad continuano le ricerche, con l’assistenza della Croce Rossa.

Dal 7 ottobre 2023, oltre 70.100 palestinesi sono stati uccisi da Israele, secondo il ministero della Salute di Gaza.

LIBIA

La Corte Penale Internazionale dell’Aia ha fissato al 19 maggio 2026 l’udienza per la conferma delle accuse contro Khaled Mohamed Ali El Hishri, cittadino libico accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

Secondo l’atto dell’accusa, El Hishri sarebbe responsabile delle violenze commesse nel carcere di Mitiga, a Tripoli, tra il 2015 e il 2020, ai danni di detenuti considerati oppositori delle forze RADA, la milizia che controllava la prigione.

El Hishri è stato estradato dalla Germania e consegnato alla Corte lunedì scorso, dopo essere stato arrestato nel luglio 2025 in base a un mandato segreto emesso dai giudici dell’Aia. Fino a pochi giorni fa era sotto custodia delle autorità tedesche.

Nel corso della sua prima comparizione in tribunale, i giudici si sono limitati a confermare la sua identità, a verificare che comprendesse le accuse e i suoi diritti, e a fissare i prossimi passaggi del procedimento. L’imputato ha ricevuto il mandato d’arresto tradotto in arabo.

Le accuse sono gravissime: torture, omicidi, stupri, violenze sessuali, trattamenti disumani, persecuzioni e detenzione arbitraria, sia come crimini di guerra sia come crimini contro l’umanità.

El Hishri è stato anche informato dei suoi diritti procedurali, tra cui quello al silenzio, all’assistenza legale, alla traduzione degli atti e alla possibilità di chiedere la scarcerazione provvisoria. Durante l’udienza ha pronunciato una sola frase:

“Chiedo la mia liberazione.”

I giudici hanno inoltre stabilito le prossime tappe: l’accusa dovrà consegnare tutti i documenti entro l’11 dicembre, mentre a fine gennaio è prevista la prima conferenza sullo stato del procedimento.

UGANDA

Il capo dei diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Turk, ha denunciato mercoledì il crescente uso della forza e delle repressioni contro opposizione politica e media in Uganda, a pochi mesi dalle elezioni generali previste per gennaio.

Secondo Turk, ci sono rapporti attendibili che indicano l’arresto di almeno 550 persone dall’inizio dell’anno, tra membri e sostenitori del partito di opposizione National Unity Platform (NUP), di cui più di 300 detenuti da settembre, quando è iniziata la campagna elettorale. Molti restano in custodia con accuse che vanno dal disturbo della pubblica sicurezza alla violenza e incitamento, oltre a disobbedienza di ordini legittimi.

Le forze di sicurezza, riferisce l’ONU, sono ripetutamente intervenute nei comizi dell’opposizione, utilizzando unità pesantemente armate e, la scorsa settimana a Iganga, proiettili veri, con almeno un morto e tre feriti.

Per disperdere i sostenitori sono stati impiegati gas lacrimogeni, fruste, manganelli, cannoni ad acqua e sostanze chimiche irritanti, denuncia Turk.

Il capo dei diritti umani ha anche segnalato un aumento di arresti arbitrari, sparizioni forzate e torture, inclusi casi di detenuti trasportati in van non contrassegnati, verso siti non ufficiali detti “safe house”, dove rimangono isolati e senza contatti con l’esterno.

Turk ha invitato le autorità ugandesi a indagare pienamente e senza pregiudizi su tutti i casi di sparizione forzata, arresto arbitrario e maltrattamenti, rilasciando immediatamente chi è detenuto senza giustificazione.

Ha chiesto anche di fermare ogni violenza contro i giornalisti, dopo casi di revoca delle credenziali e aggressioni nei confronti dei media.

COLOMBIA

Il presidente colombiano Gustavo Petro ha avvertito che qualsiasi attacco degli Stati Uniti contro paesi latinoamericani sarà considerato una dichiarazione di guerra. Su X, Petro ha scritto: “Un attacco alla nostra sovranità significherebbe guerra. Non distruggete due secoli di relazioni diplomatiche.”

Il presidente colombiano ha invitato Donald Trump a visitare la Colombia per osservare come il paese affronta la lotta alla droga.

L’allarme arriva dopo che Trump ha minacciato nuovi attacchi contro obiettivi in America Latina per combattere il narcotraffico. Solo negli ultimi giorni ci sarebbero stati almeno 21 attacchi aerei contro presunte imbarcazioni della droga nelle acque internazionali dei Caraibi e del Pacifico, con almeno 83 morti.

Il Segretario alla Difesa Pete Hegseth è sotto accusa per aver ordinato un secondo attacco su una nave sospetta, mentre il comando operativo è stato attribuito al vice-ammiraglio Frank “Mitch” Bradley.

BRASILE

Intervistato dalla TV Verdes Mares, il presidente del Brasile Lula ha raccontato di essere sempre sorpreso dal tono personale del presidente degli Stati Uniti: “In televisione vediamo un Trump nervoso. Nella conversazione privata è un’altra persona. Gli ho detto che esistono due Trump: quello della TV e quello del dialogo diretto”, ha dichiarato.

È la terza telefonata tra i due presidenti dall’introduzione delle sanzioni statunitensi contro il Brasile. Durante il colloquio, Lula ha ribadito la richiesta di eliminare le tariffe ancora in vigore su alcuni prodotti brasiliani, pur accogliendo positivamente la recente decisione americana di togliere la sovrattassa del 40% su carne, caffè, cacao e frutta.

Nel corso della chiamata si è parlato anche di crimine organizzato internazionale. Lula ha confermato di aver proposto una collaborazione diretta con Washington: “Il crimine organizzato è un freno allo sviluppo. Siamo pronti a lavorare insieme lungo le frontiere e ovunque sia necessario”, ha detto.

Secondo il governo brasiliano, Trump ha garantito piena disponibilità a collaborare su questo fronte. I due presidenti hanno concordato di avviare presto nuovi incontri per proseguire il dialogo su dazi e sicurezza.

Anche Donald Trump ha definito “molto positiva” la conversazione telefonica avuta con il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva.

Un nuovo segnale di distensione nei rapporti tra Brasile e Stati Uniti, sul fronte sia economico che della sicurezza.

STATI UNITI

L’amministrazione Trump ha annunciato martedì una sospensione delle richieste di visti per immigrati provenienti da 19 Paesi, citando motivi di sicurezza nazionale e tutela della pubblica sicurezza, secondo un memorandum del Servizio per la Cittadinanza e l’Immigrazione degli Stati Uniti (USCIS).

La sospensione riguarda chi era già soggetto a restrizioni parziali introdotte a giugno e include sia le domande di green card sia quelle di cittadinanza.

I Paesi interessati sono: Afghanistan, Myanmar, Ciad, Repubblica del Congo, Guinea Equatoriale, Eritrea, Haiti, Iran, Libia, Somalia, Sudan e Yemen. Controlli più severi sono stati imposti anche a cittadini di Burundi, Cuba, Laos, Sierra Leone, Togo, Turkmenistan e Venezuela.

Il memorandum fa riferimento alla sparatoria della scorsa settimana a Washington D.C., in cui due membri della Guardia Nazionale sono rimasti feriti, mentre un uomo afgano è stato arrestato come sospetto.

Il direttore dell’USCIS Joseph Edlow ha scritto nel memorandum:

“A partire da subito, autorizzo gli ufficiali USCIS a considerare fattori specifici del Paese come elementi negativi significativi nella valutazione delle richieste di immigrazione. La vita degli americani viene prima di tutto.”

Negli ultimi giorni, il presidente Trump ha attaccato in modo particolare gli immigrati somali negli Stati Uniti, in particolare in Minnesota, definendoli “spazzatura” e dichiarando che “non li vogliamo nel nostro Paese”.

Le sue dichiarazioni hanno suscitato forti critiche da leader comunitari, che le hanno definite discriminatorie, sottolineando che l’intera comunità non può essere punita per le azioni di pochi individui. Khalid Omar, attivista del gruppo interreligioso ISAIAH, ha dichiarato:

“La punizione collettiva è sbagliata e razzista. Se qualcuno commette frodi, deve rispondere come individuo, non come membro di un’intera comunità.”

Da quando è tornato alla Casa Bianca a gennaio, Trump ha rafforzato le politiche anti-immigrazione a livello nazionale, con interventi dell’ICE (United States Immigration and Customs Enforcement) e della Guardia Nazionale in città a guida democratica con forte presenza di immigrati, tra cui Chicago e Los Angeles, provocando proteste e contestazioni legali.

Mercoledì mattina, il Dipartimento per la Sicurezza Interna ha annunciato un aumento delle operazioni dell’ICE a New Orleans.

INDIA

La Corte Suprema di Allahabad ha ordinato al governo dello Uttar Pradesh di revocare entro quattro mesi i benefici destinati alle caste svantaggiate (Scheduled Castes) alle persone che si siano convertite al Cristianesimo.

I giudici hanno stabilito che mantenere tali privilegi dopo la conversione sarebbe una “frode contro la Costituzione”. La decisione è stata presa esaminando il caso di Jitendra Sahani, un cristiano accusato di offendere divinità indù, che aveva dichiarato la propria religione come “indù” nonostante la conversione.

Il vescovo Chandra Nayak della diocesi di Berhampur ha sottolineato che la condizione sociale ed economica dei Dalit cristiani resta svantaggiata, nonostante la conversione, e che molti continuano a subire discriminazioni legate al sistema delle caste.

Secondo rapporti precedenti, tra il 50 e il 75% dei cristiani indiani appartengono a gruppi Dalit, ma la cifra non è ufficialmente riconosciuta dal governo. La Corte ha chiesto ai magistrati distrettuali di indagare e applicare la legge, evidenziando così la complessità di conciliare discriminazioni storiche e norme costituzionali.

AUSTRALIA

Le app Lemon8 e Yope sono finite sotto osservazione da parte della eSafety Commission, l’autorità australiana per la sicurezza online. Le due piattaforme, diventate rapidamente popolari tra i giovanissimi, potrebbero rientrare nel divieto di utilizzo dei social per i minori di 16 anni, che entrerà in vigore il 10 dicembre.

L’Autorità ha chiesto ufficialmente alle aziende di auto-valutarsi, un primo passo che segnala una possibile inclusione nel blocco. Lemon8, di proprietà della stessa società di TikTok, e Yope, un’app di condivisione fotografica, hanno registrato un vero boom di download proprio mentre si avvicina l’entrata in vigore delle restrizioni.

Il provvedimento riguarda già dieci grandi piattaforme, tra cui TikTok, Instagram, Facebook, X, YouTube e Snapchat, ma la legge impone a tutte le aziende tech di verificare continuamente se rientrano nei criteri del divieto.

La ministra delle Comunicazioni Anika Wells, in un intervento al National Press Club, ha ammesso che ci vorrà del tempo prima che tutti gli utenti minorenni vengano rimossi:

“Non sarà perfetto dal primo giorno, ma non molleremo e non lasceremo le piattaforme senza responsabilità”, ha dichiarato.

Secondo i dati ufficiali, quasi l’86% dei bambini australiani tra gli 8 e i 15 anni usa già i social. L’obiettivo del governo, ha spiegato Wells, è “dare una tregua alla Generazione Alpha dalla pressione costante degli algoritmi”.

Le prime verifiche scatteranno dall’11 dicembre, quando l’Autorità chiederà alle piattaforme i dati sugli account dei minori prima e dopo l’entrata in vigore del divieto. Le sanzioni, fino a 49 milioni di dollari, non saranno immediate, ma restano sul tavolo.

ROMANIA

La Romania ha raggiunto un risultato record nel riciclo, con un tasso di raccolta del 94% di contenitori in plastica, vetro e metallo, diventando il Paese europeo più efficiente in questo settore.

Il merito va al sistema di deposito e ritorno lanciato due anni fa, gestito in partnership pubblico-privata con la società RetuRO. Ogni volta che un consumatore acquista una bevanda in contenitore riciclabile, versa un deposito che viene restituito con un piccolo extra al momento della restituzione del contenitore, incentivando così il riciclo.

Siamo il più grande sistema integrato di deposito e ritorno al mondo”, ha spiegato Gemma Webb, CEO di RetuRO. Tra novembre 2023 e settembre 2025, i cittadini romeni hanno restituito oltre 7,5 miliardi di contenitori, di cui 4 miliardi in plastica PET. Una ricerca ha rilevato che il 90% dei romeni ha utilizzato il sistema almeno una volta.

Il modello romeno ha battuto Paesi notoriamente virtuosi come Scandinavia, Belgio, Germania e Paesi Bassi, dimostrando che un sistema semplice e incentivante può trasformare le abitudini dei cittadini e dare un grande contributo all’economia circolare.

 

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