Afghanistan: abortire tra paure e divieti

Scritto da in data Dicembre 19, 2025

Leila Sarwari non è il suo vero nome, per ragioni di sicurezza dobbiamo tenerlo nascosto.

Ma Radio Bullets, sa molto bene chi è.

Ha studiato all’università di Kabul, ha fatto un master e il suo sogno era diventare una diplomatica.

La sua vita e i suoi sogni, come per tutte le donne afghane che hanno studiato o lavoravano o erano socialmente impegnate, si sono infranti il 15 agosto del 2021 quando i talebani hanno preso il potere.

Potere consegnato dagli americani e dalla Nato tradendo le speranze di milioni di donne che ora vivono in un regime di apartheid di genere.

Sentire la loro voce è un modo per non dimenticarle e per noi un monito di quello che il potere fa quando le società civili non intervengono.

L’aborto

L’aborto in Afghanistan resta una delle questioni più sensibili e pericolose per le donne, e le conseguenze della sua criminalizzazione sono devastanti.

Sotto il dominio dei talebani, l’aborto è severamente proibito, salvo rari casi in cui la vita della madre è a rischio; anche allora, però, ospedali e medici sono riluttanti a intervenire per timore dell’imprigionamento.

Questo divieto legale, combinato con povertà, discriminazione di genere e mancanza di assistenza sanitaria, costringe le donne a pratiche disperate e non sicure.

La sofferenza è particolarmente grave nelle province rurali, dove l’accesso alle strutture mediche è limitato e le tradizioni patriarcali dominano la vita quotidiana, lasciando le donne senza alternative sicure.

STORIE DI CORPI CONTROLLATI

Le storie che raccontano donne afghane rivelano la profondità di questa crisi. Medici che si rifiutano di intervenire, avvertendo che se qualcuno lo scoprisse potrebbero finire tutti in prigione; famiglie che non possono permettersi di crescere altri figli, soprattutto le figlie, spesso considerate un peso economico in una società che ne limita istruzione e lavoro, riflettono una realtà diffusa in cui i corpi delle donne sono controllati dalla legge, dalla cultura e dalla povertà.

La situazione è peggiore fuori da Kabul. In province come Helmand, Kandahar e Badakhshan, le donne affrontano non solo il divieto legale ma anche la violenza culturale.

Molte vengono picchiate da mariti o parenti quando esprimono il desiderio di abortire. Le donne single, in particolare, subiscono uno stigma severo.

Se non sposate e incinte, rischiano punizioni d’onore, esclusione sociale o persino la morte. Cercare un aborto diventa una questione di sopravvivenza, ma la mancanza di cliniche e la paura di essere scoperte le spingono verso rimedi domestici pericolosi.

Le donne bevono intrugli erboristici tossici, ingeriscono compresse dannose o si infliggono traumi fisici, spesso con conseguenze sanitarie permanenti o la morte. La loro sofferenza è aggravata dall’assenza di protezione legale o accettazione sociale, che le lascia isolate e vulnerabili.

LE PIÙ VULNERABILI

Le donne single che restano incinte fuori dal matrimonio sono tra le più vulnerabili. Nella società conservatrice afghana, le loro gravidanze sono considerate disonorevoli e le famiglie possono reagire con la violenza, costringendole ad abortire in segreto.

Queste donne affrontano spesso minacce sia dai parenti sia dalle autorità. Senza sistemi di supporto, ricorrono ad aborti clandestini, rischiando infezioni, emorragie e infertilità.

La loro sofferenza è aggravata dall’assenza di protezione legale o accettazione sociale. Il silenzio che circonda l’aborto fa sì che queste storie raramente raggiungano l’opinione pubblica, lasciando le donne isolate nel loro dolore e rafforzando cicli di paura e vergogna.

UNA CRISI DI DIRITTI UMANI

L’Afghanistan ha uno dei più alti tassi di mortalità materna e infantile al mondo, e il divieto di aborto contribuisce in modo significativo a questa crisi.

Gli ospedali segnalano un numero crescente di “aborti spontanei” che potrebbero in realtà essere aborti clandestini falliti. Le donne che sopravvivono spesso soffrono di dolore cronico, danni riproduttivi e traumi psicologici. Le famiglie intrappolate nella povertà vedono le figlie come un peso, rafforzando cicli di discriminazione di genere.

L’incapacità delle donne di controllare la propria salute riproduttiva perpetua le disuguaglianze, mentre la criminalizzazione dell’aborto nega loro diritti umani fondamentali.

L’impatto sociale più ampio è devastante, poiché la sofferenza delle donne è nascosta dietro il silenzio e lo stigma, mentre la loro salute e dignità vengono sacrificate a leggi e tradizioni rigide.

L’aborto in Afghanistan non è semplicemente una questione medica: è una crisi dei diritti umani. Le donne in tutte le province subiscono violenze, stigma e rischi per la vita semplicemente per cercare di avere controllo sui propri corpi.

Le loro storie rivelano la dura realtà: le donne afghane sono costrette a gesti disperati perché la legge e la società non offrono alternative sicure.

Fino a quando i diritti riproduttivi non saranno riconosciuti e l’accesso all’assistenza sanitaria ampliato, le donne afghane continueranno a soffrire in silenzio, affrontando pericoli che potrebbero essere prevenuti con compassione e riforme.

In Afghanistan oggi le giornaliste non possono scrivere, andare ad una conferenza stampa o apparire in televisione. 

Ma il fatto che non possano farlo nel loro paese, non significa che non possano farlo da qualunque altra parte. Radio Bullets vuole tenere una luce accesa sull’Afghanistan e le afghane hanno bisogno che si sappia cosa sta succedendo loro. Per saperne di più cliccate sul pezzo sotto.

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Foto di Mahdi zabolabbasi su Unsplash

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