Afghanistan: Donne rimpatriate e cancellate
Scritto da Radio Bullets in data Agosto 7, 2025
1,9 milioni di deportazioni forzate: una tragedia annunciata
KABUL – Dal 2023, Iran e Pakistan hanno deportato forzatamente oltre 1,9 milioni di rifugiati afghani, tra cui centinaia di migliaia di donne e ragazze.
Molte erano fuggite proprio dalla persecuzione talebana, avevano costruito vite in esilio – alcune erano addirittura nate e cresciute in Iran o Pakistan – dove avevano potuto studiare, lavorare, vivere libere. Ora sono state rispedite in un Paese dove i loro diritti, la loro sicurezza e la loro stessa identità sono sotto attacco sistemico.
Ex poliziotte, giornaliste, attiviste: oggi nel mirino
Tra le donne rimpatriate ci sono ex funzionarie pubbliche, giornaliste, attiviste per i diritti femminili, poliziotte. Tutte oggi vivono in pericolo costante sotto il regime talebano, che ha istituzionalizzato un apartheid di genere:
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vietato l’accesso all’istruzione superiore,
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proibito quasi ogni tipo di lavoro,
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negata la libertà di movimento e visibilità nello spazio pubblico.
Molte hanno subito arresti arbitrari, torture, violenze sessuali. Alcune sono state picchiate con cavi elettrici, altre sottoposte a waterboarding e persino a esecuzioni simulate.
Le ex poliziotte e le attiviste sono state spesso arrestare o costrette alla clandestinità. Ci sono testimonianze di stupri sistematici da parte dei talebani, senza alcuna giustizia o conseguenza per i colpevoli.
Povertà assoluta, esclusione e fame
Il ritorno a queste condizioni ha avuto un impatto psicologico devastante. Le donne arrivano senza un tetto, senza reddito, senza reti di supporto.
Vedove e donne a capo di famiglie sono particolarmente vulnerabili: spesso sfrattate, affamate, e in preda a sfruttamento e violenza.
Alcune famiglie sono ricorse a matrimoni forzati per sopravvivere, altre a rapporti sessuali in cambio di denaro o sono cadute vittime di tratta. Donne che una volta lavoravano nel cucito, nell’artigianato o nel piccolo commercio informale, oggi sono escluse dalla vita pubblica e impossibilitate a ricominciare.
Kabul: la capitale delle mendicanti
A Kabul, molte di queste donne si vedono costrette a mendicare per le strade con i figli, chiedendo un pezzo di pane.
Alcune mandano i figli porta a porta in cerca di cibo. Ma i talebani, invece di offrire aiuto, reprimono: migliaia di mendicanti sono state arrestate, le donne rinchiuse e abusate in nome di leggi “anti-accattonaggio”.
Nei centri di detenzione si registrano casi di stupri, torture e lavoro forzato.
Aiuti umanitari insufficienti
Agenzie come UNHCR e UN Women hanno avviato programmi di reintegrazione (PARRs), offrendo rifugi temporanei, accesso all’educazione e sostegno economico.
Ma questi sforzi sono gravemente sottofinanziati e soffocati dalla portata del disastro.
Molte donne vengono rimpatriate in aree sconosciute, senza documenti o legami familiari, rendendo quasi impossibile qualsiasi forma di reinserimento.
Una crisi umanitaria di genere
Non è solo una crisi migratoria: è una emergenza umanitaria di genere. Le donne afghane rimpatriate vengono cancellate: costrette al silenzio, ai margini, alla sopravvivenza.
Gruppi per i diritti delle donne afghane hanno denunciato le deportazioni come un fallimento dei diritti umani e una condanna per l’intera generazione di ragazze afghane.
Il movimento Afghan Women’s Freedom Movement ha chiesto alle Nazioni Unite di:
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premere sui talebani per revocare il divieto di istruzione,
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fermare le deportazioni da Iran e Pakistan,
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garantire protezione alle famiglie vulnerabili.
Pakistan: paura, persecuzioni e deportazioni arbitrarie
In Pakistan, oltre 900.000 afghani sono stati rimpatriati forzatamente dal 2023. Molte donne attendevano di essere ricollocate in paesi terzi come Germania o Stati Uniti.
Nonostante avessero documenti validi o richieste in corso, sono state arrestate e deportate. Alcune giornaliste e attiviste sono state prese di mira intenzionalmente.
Molte vivono oggi nascoste, separate dalle famiglie, costrette a rientrare in un Paese dove sono considerate nemiche del regime.
Le province di confine al collasso
L’ondata di deportazioni ha messo in ginocchio le province afghane di confine, come Herat, dove si teme per il futuro delle donne che ora non hanno lavoro, né istruzione, né libertà.
In strada, nel silenzio, tentano di sopravvivere in un Paese che ha cancellato la loro esistenza.
Le deportazioni forzate di donne afghane non sono solo un disastro umanitario. Sono un tradimento globale. Sono il risultato diretto di accordi geopolitici cinici, di calcoli elettorali interni in Iran e Pakistan, e di un Occidente assente, incapace di mantenere le promesse fatte a chi ha creduto nella libertà, nell’educazione, nei diritti.
A essere colpite non sono solo le donne, ma l’idea stessa di un futuro per l’Afghanistan. Un futuro che si spegne nei centri di detenzione, negli stupri taciuti, nei silenzi dei ministeri esteri, nelle porte chiuse dei paesi “civili”.
Se il mondo continua a girarsi dall’altra parte, la cancellazione delle donne afghane non sarà una tragedia involontaria: sarà una complicità deliberata. O quello come oggi definiamo, un vero e proprio “genericidio”.
Chi scrive
Leila Sarwari non è il suo vero nome, per ragioni di sicurezza dobbiamo tenerlo nascosto, ma Radio Bullets,
sa molto bene chi è. Ha studiato all’università di Kabul, ha fatto un master e il suo sogno era diventare una diplomatica.
La sua vita e i suoi sogni, come per tutte le donne afghane che hanno studiato o lavoravano o erano socialmente impegnate, si sono infranti il 15 agosto del 21 quando i talebani hanno preso il potere consegnato dagli americani e dalla Nato che hanno tradito le speranze di milioni di donne che ora vivono in un regime di apartheid di genere.
Sentire la loro voce è un modo per non dimenticarle e per noi un monito di quello che il potere fa quando le società civili non intervengono.
Questo pezzo è stato scritto grazie al sostegno di alcune associazioni di Frascati che ci hanno permesso di fare la differenza. In Afghanistan oggi le giornaliste non possono scrivere, andare ad una conferenza stampa o apparire in televisione.
Ma il fatto che non possano farlo nel loro paese, non significa che non possano farlo da qualunque altra parte. Radio Bullets vuole tenere una luce accesa sull’Afghanistan e le afghane hanno bisogno che si sappia cosa sta succedendo loro. Per saperne di più cliccate sul pezzo sotto.
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