Afghanistan: non dimenticateci
Scritto da Radio Bullets in data Aprile 7, 2025
Leila Sarwari non è il suo vero nome, per ragioni di sicurezza dobbiamo tenerlo nascosto, ma Radio Bullets, sa molto bene chi è. Ha studiato all’università di Kabul, ha fatto un master e il suo sogno era diventare una diplomatica.
La sua vita e i suoi sogni, come per tutte le donne afghane che hanno studiato o lavoravano o erano socialmente impegnate, si sono infranti il 15 agosto del 21 quando i talebani hanno preso il potere consegnato dagli americani e dalla Nato che hanno tradito le speranze di milioni di donne che ora vivono in un regime di apartheid di genere.
Sentire la loro voce è un modo per non dimenticarle e per noi un monito di quello che il potere fa quando le società civili non intervengono.
KABUL – Dalla riconquista del potere da parte dei Talebani nell’agosto 2021, le donne afghane impiegate sotto il precedente governo della Repubblica, hanno dovuto affrontare restrizioni gravi e crescenti, che hanno avuto un impatto profondo sulle loro vite personali e professionali.
Il regime talebano ha smantellato sistematicamente i diritti delle donne, provocando disoccupazione diffusa, isolamento sociale e un clima pervasivo di paura.
“Ci dicono di restare a casa, ma qualcuno si chiede come sfameremo le nostre famiglie? Come sopravviveremo? Ci hanno tolto tutto.” — Shakira Hamidi, ex lavoratrice di un’impresa locale.
Immediatamente dopo la presa del potere, le donne sono state sistematicamente rimosse da incarichi governativi. Il Ministero degli Affari Femminili è stato smantellato e le dipendenti di diversi settori sono state licenziate.
Nel luglio 2022, è emerso che i Talebani avevano ordinato al personale femminile del Ministero delle Finanze di indicare dei parenti maschi che potessero sostituirle, eliminando di fatto la presenza femminile nel servizio pubblico.
Questo provvedimento non solo ha privato molte donne della loro carriera, ma ha anche aggravato le difficoltà economiche, poiché molte famiglie contavano sul loro reddito.
“Le donne sono metà del paese, e non siamo nate per restare a casa, cucinare o partorire. I Talebani non ci permettono di lavorare, studiare e vivere con dignità.” — Sarah Karim, ex dipendente del Ministero per gli Affari Femminili.
Anche il settore privato è stato duramente colpito
Le imprenditrici, che un tempo rappresentavano una forza in crescita nell’economia afghana, hanno visto le loro attività chiudere a causa di editti restrittivi.
Il divieto di lavorare imposto alle donne ha causato una contrazione significativa dell’economia, colpendo in particolare settori come la sanità, l’istruzione e i media, a causa della perdita di professioniste qualificate.
“Ci dicono di restare a casa, ma qualcuno si chiede come sfameremo le nostre famiglie? Come sopravviveremo? Ci hanno tolto tutto.” — Shakira Hamidi, ex lavoratrice di un’impresa locale.
Il settore pubblico e ONG
Il divieto imposto dai Talebani alle donne di lavorare nel settore pubblico e in quello delle organizzazioni non governative ha avuto conseguenze devastanti. Donne che un tempo contribuivano in modo significativo alle loro famiglie e comunità ora affrontano povertà e isolamento sociale.
Molte sono costrette a svolgere lavori mal retribuiti e pericolosi per sopravvivere, mentre altre dipendono totalmente da parenti maschi, perdendo così ogni forma di indipendenza economica.
Questa restrizione non solo aggrava la povertà, ma cancella la presenza delle donne dalla vita pubblica, compromettendo i loro diritti e le loro aspirazioni. Il divieto ha suscitato condanne internazionali, evidenziando l’urgenza di agire per ripristinare le libertà fondamentali delle donne afghane.
Oltre agli effetti finanziari e sociali, questa politica impedisce alle donne di partecipare ai processi decisionali e di contribuire alla costruzione del paese, portando alla loro sistematica esclusione dalla società.
Molte donne che lavoravano come insegnanti, operatrici sanitarie e attiviste per i diritti umani si trovano oggi impossibilitate a continuare i propri ruoli vitali.
Questa perdita non colpisce solo le singole vite, ma anche le comunità che facevano affidamento sulla loro esperienza e leadership.
Il divieto rafforza la disuguaglianza di genere e accresce il disagio psicologico tra le donne, che si sentono sempre più emarginate. Le organizzazioni internazionali e gli attivisti continuano a chiedere un intervento urgente, sottolineando che l’emancipazione femminile è essenziale per il progresso dell’intero Afghanistan.
“Il mio lavoro nella sanità era il mio modo di aiutare gli altri e dare speranza. Ora, senza lavoro, mi sento io stessa senza speranza.” — Farzana Rezayee, ex operatrice sanitaria.
Il divieto ha conseguenze sociali di vasta portata
Aggrava la povertà, priva le famiglie di fonti di reddito vitali e ostacola la crescita economica escludendo una parte significativa della forza lavoro.
Rafforza la disuguaglianza di genere, perpetua stereotipi dannosi e limita il ruolo delle donne alla sfera domestica. Le comunità soffrono per l’assenza di professioniste qualificate, come insegnanti e operatrici sanitarie, con effetti negativi su istruzione e salute pubblica.
Inoltre, la restrizione mina la coesione sociale, mentre le donne diventano sempre più isolate ed emarginate. L’impatto psicologico è enorme, contribuendo a diffusi problemi di salute mentale.
Questi effetti indeboliscono collettivamente i progressi e la stabilità della nazione, evidenziando l’urgente necessità di un cambiamento.
Le convinzioni ideologiche dei Talebani sui diritti delle donne sono radicate in un’interpretazione rigida della legge islamica combinata con tradizioni tribali.
Enfatizzano ruoli di genere rigidi, confinando spesso le donne alla sfera domestica e limitandone l’accesso all’istruzione, al lavoro e alla vita pubblica. Queste convinzioni si traducono in politiche che impongono la segregazione di genere, l’obbligo del velo integrale e restrizioni sulla libertà di movimento.
I Talebani vedono queste misure come fondamentali per preservare la loro interpretazione della moralità e dell’ordine sociale, sebbene siano ampiamente criticate per la violazione dei diritti umani fondamentali.
“Il non essere degne è il nostro destino.” — Fatana, 30 anni, ex operatrice sanitaria, ora mendicante per le strade di Kabul per sfamare i figli.
Le ex dipendenti pubbliche
Le donne afghane che hanno lavorato per il precedente governo si trovano oggi in una realtà segnata dalla perdita professionale, da restrizioni severe alla libertà personale e da violenze istituzionalizzate.
La loro situazione sottolinea l’urgenza di una continua pressione internazionale per proteggere i diritti e la dignità delle donne in Afghanistan.
La condizione delle ex dipendenti pubbliche è un chiaro esempio della fragilità dei diritti femminili nelle zone di conflitto. Queste donne, un tempo simbolo di progresso ed emancipazione, sono oggi emarginate e oppresse, i loro risultati cancellati da un regime che intende imporre norme patriarcali.
Tuttavia, nonostante le enormi sfide, le donne afghane continuano a mostrare resilienza, coraggio e solidarietà. La loro lotta non riguarda solo il recupero del lavoro o delle libertà, ma la dignità, l’identità e la giustizia.
Il sostegno della comunità internazionale è fondamentale per sostenere la loro resistenza e garantire che i sacrifici delle donne afghane non vengano dimenticati. In questo scenario duro, queste donne restano un simbolo dello spirito indomito di chi sogna l’uguaglianza e la libertà, anche di fronte all’oppressione.
Ho studiato per anni per diventare insegnante, e ora non posso fare ciò per cui sono nata. Questo divieto non ha solo messo a tacere me, ma ha rubato il futuro a una generazione.” — Fatima Ahmadi, ex insegnante.
La situazione per le ex dipendenti afghane sotto il regime talebano è estremamente difficile. Secondo vari rapporti, molte sono state licenziate o soggette a restrizioni pesanti.
I Talebani hanno impedito a migliaia di donne di tornare ai loro precedenti ruoli nel governo, salvo in rari casi in cui gli uomini non possono sostituirle, come in medicina o istruzione.
Inoltre, gli stipendi per le dipendenti statali sono stati drasticamente ridotti, arrivando in alcuni casi a soli 70 dollari al mese, indipendentemente da qualifiche ed esperienza.
Le storie di queste donne sono strazianti e potenti testimonianze di resilienza e perdita. Molte raccontano con orgoglio di aver contribuito alle proprie famiglie e comunità, e il dolore che ora provano nel vedere la propria indipendenza cancellata.
Ex insegnanti parlano con affetto del ruolo che avevano nell’educare le nuove generazioni, mentre operatrici sanitarie sottolineano l’importanza del loro lavoro nel salvare vite e offrire cure. Ora, affrontano non solo difficoltà economiche, ma anche gravi sfide emotive e psicologiche, confinate nelle loro case.
“Il nostro lavoro non era solo un lavoro; era la nostra identità, il nostro modo di restituire qualcosa alla società. Perderlo è come perdere noi stesse.” — Elaha Farahmand, 34 anni, Kabul
Alcune temono per il futuro delle giovani generazioni.
“Le ragazze che sognavano di seguire le nostre orme ora si sentono senza speranza. Non vedono alcun posto per loro in questa società.” — Ex lavoratrice di una ONG
Queste voci mostrano l’impatto personale e sociale del divieto, e l’urgenza di difendere i diritti e le opportunità di queste donne. Il coraggio delle donne afghane nel parlare, nonostante i rischi, continua a ispirare solidarietà e azioni a livello globale.
“Vedo le mie figlie guardarmi con domande negli occhi. Come posso insegnare loro a sognare, se ogni porta è chiusa?” — Shabana Ali, madre ed ex impiegata pubblica.
Sopravvivere di giorno in giorno
Oltre alla sfera lavorativa, i Talebani hanno imposto misure draconiane alla vita quotidiana delle donne. Nel maggio 2022, un decreto ha imposto il velo integrale in pubblico, con sanzioni a carico dei tutori maschi in caso di mancata osservanza.
Successivamente, è stato vietato l’accesso a spazi pubblici come parchi, palestre e hammam, cancellando la visibilità femminile nella società. Nell’agosto 2024, è stata approvata una legge che vieta alle donne di parlare ad alta voce in pubblico, con l’obiettivo di silenziarle completamente.
Queste restrizioni confinano molte donne nelle proprie case, provocando isolamento e gravi problemi di salute mentale. Il divieto di movimento senza un accompagnatore maschio ha ulteriormente ridotto la loro autonomia, rendendo difficoltoso anche l’accesso a servizi essenziali e reti di supporto.
Le politiche talebane hanno istituzionalizzato la discriminazione di genere. Nel marzo 2024, il regime ha reintrodotto punizioni come la fustigazione e la lapidazione per le donne accusate di adulterio, segnando un ritorno a forme brutali della loro interpretazione della legge islamica.
“A causa dei Talebani, l’Afghanistan è diventato una prigione per le donne. Non abbiamo diritti umani. Non possiamo uscire, lavorare, occuparci dei nostri figli. Studiavo e il mio sogno era servire il mio paese, ma ora mi è stato tolto. Mi sento isolata e sto male mentalmente perché ho perso il mio lavoro, le attività quotidiane e la rete sociale che avevo.” — Elaha Farahmand, 34 anni, Kabul.
Questo pezzo è stato scritto grazie al sostegno di alcune associazioni di Frascati che ci hanno permesso di fare la differenza. In Afghanistan oggi le giornaliste non possono scrivere, andare ad una conferenza stampa o apparire in televisione.
Ma il fatto che non possano farlo nel loro paese, non significa che non possano farlo da qualunque altra parte. Radio Bullets vuole tenere una luce accesa sull’Afghanistan e le afghane hanno bisogno che si sappia cosa sta succedendo loro. Per saperne di più cliccate sul pezzo sotto.
Foto di copertina: Barbara Schiavulli
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