I preti e le suore si rifiutano di lasciare Gaza City

Scritto da in data Agosto 27, 2025

I sacerdoti e le suore presenti a Gaza City resteranno per assistere gli sfollati che hanno trovato rifugio in due chiese, nonostante i piani dell’esercito israeliano di conquistare la città. Lo hanno dichiarato in un comunicato congiunto il Patriarcato Latino di Gerusalemme e il Patriarcato Greco-Ortodosso di Gerusalemme.

“Al momento di questa dichiarazione, ordini di evacuazione erano già stati impartiti per diversi quartieri di Gaza City. Si continuano a ricevere notizie di pesanti bombardamenti. C’è ancora più distruzione e morte in una situazione che era già drammatica prima di questa operazione. Sembra che l’annuncio del governo israeliano secondo cui ‘le porte dell’inferno si apriranno’ stia assumendo forme tragiche,” hanno affermato i Patriarcati.

Le chiese sotto attacco

Centinaia di civili hanno trovato rifugio presso la Chiesa cattolica della Sacra Famiglia e la vicina Chiesa ortodossa di San Porfirio. Entrambe sono state colpite dagli attacchi israeliani: di recente un colpo di carro armato dell’IDF ha colpito la Chiesa della Sacra Famiglia, uccidendo tre cristiani e ferendo padre Gabriel Romanelli, sacerdote cattolico argentino.

Le suore delle Missionarie della Carità, la congregazione fondata da Madre Teresa, sono presenti a Gaza dagli anni Settanta e da decenni si prendono cura delle persone palestinesi con disabilità. Il loro lavoro è proseguito anche dopo il 7 ottobre 2023, nonostante i rischi crescenti.

L’impossibilità di fuggire

“Come gli altri residenti di Gaza City, i rifugiati che vivono nelle strutture dovranno decidere secondo coscienza cosa fare. Tra coloro che hanno cercato protezione all’interno dei complessi, molti sono indeboliti e malnutriti a causa delle privazioni degli ultimi mesi”, si legge nella dichiarazione.

“Lasciare Gaza City e tentare di fuggire verso sud equivarrebbe a una condanna a morte. Per questo motivo, il clero e le suore hanno deciso di rimanere e continuare ad assistere tutti coloro che resteranno nei complessi.”

I piani israeliani e lo sfollamento forzato

I piani israeliani per la presa di Gaza City implicano lo sfollamento forzato di oltre un milione di palestinesi rifugiati in quell’area.

L’obiettivo è spingerli verso il sud della Striscia, per poi costringerli a lasciare Gaza del tutto: una strategia di “pulizia etnica” dichiarata apertamente dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e da altri funzionari israeliani.

Secondo i dati ONU, almeno 11.600 palestinesi sono stati già costretti a lasciare il nord per rifugiarsi nel sud dall’inizio di questa offensiva, intensificata da bombardamenti e colpi di artiglieria.

L’appello delle Chiese

“Questa non è la strada giusta. Non c’è alcuna ragione per giustificare lo spostamento forzato e deliberato di civili su larga scala”, hanno denunciato i Patriarcati.

“È tempo di mettere fine a questa spirale di violenza, di porre fine alla guerra e di dare priorità al bene comune delle persone. C’è già stata abbastanza devastazione, nei territori e nelle vite. Non c’è alcuna ragione per giustificare il mantenimento di civili come prigionieri e ostaggi in condizioni drammatiche. È ora il momento di guarire le famiglie che soffrono da troppo tempo, da entrambe le parti.”

Questa dichiarazione congiunta dei Patriarcati non è solo una presa di posizione religiosa, ma un atto politico e umanitario. Da un lato, affermare che sacerdoti e suore resteranno significa denunciare implicitamente la sproporzione della violenza israeliana, che non risparmia neppure luoghi sacri e rifugi civili.

Dall’altro, la scelta di restare, pur consapevoli del rischio di morte, mette in luce l’assenza di alternative reali: la “fuga verso sud” non è una via di salvezza, ma una trappola mortale.

L’uso di espressioni come “condanna a morte” o “pulizia etnica” porta il discorso su un piano esplicitamente politico, contestando direttamente la narrativa ufficiale israeliana che giustifica lo sfollamento come misura di sicurezza.

Al contrario, il comunicato denuncia il carattere sistematico e pianificato di uno spostamento forzato di massa, che viola il diritto internazionale umanitario.

Infine, l’appello delle Chiese cristiane mette in evidenza la dimensione universale della sofferenza civile: non solo i palestinesi musulmani, ma anche la comunità cristiana di Gaza, spesso dimenticata, è sotto attacco.

La loro resistenza silenziosa – restare accanto ai più fragili, i malati, i disabili – diventa testimonianza morale contro la logica della guerra e contro la normalizzazione del genocidio.

Foto di copertina presa dalla pagina Facebook della chiesa cattolica della Sacra Famiglia

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