Le maledizioni sportive

Scritto da in data Settembre 9, 2018

 

IN COPERTINA: William Sianis e Alberto Ascari

In questo episodio su Radio Bullets, Giuliano Terenzi vi racconta alcune delle “maledizioni sportive” che lo hanno colpito di più, per la loro stranezza, per la loro tragicità e, in qualche caso, per la loro simpatia.

 

La prima maledizione è legata al mondo del calcio ed è, forse, per noi occidentali, la più famosa fra tutte. La storia comincia nei primi del novecento a Budapest dove, da una famiglia di ballerini ebrei, nasce Bela Guttmann. Guttmann è certamente un personaggio controverso e misterioso: la sua storia è piena di buchi temporali nei quali perdiamo le tracce del nostro uomo, buchi temporali che hanno inevitabilmente fatto si che si costruissero affascinanti legende che non furono mai verificate, fra cui quella che racconta di come Guttmann si buttò dal treno in corsa che lo stava portando nel campo di concentramento di Auschwitz. Fortunatamente ricostruire la storia professionale di Guttmann è certamente più facile: comincia a giocare a calcio, e a vincere, a Budapest, poi, per sfuggire alle persecuzioni antisemite, si trasferisce all’Hakoah, in Austria, ma non vi rimame per molto visto che, durante una tournee estiva negli Stati Uniti, affascinato dalla popolazione statunitense, Guttmann decide di rimanere a New York. Durante la sua permanenza nella grande mela è vittima del “giovedì nero” dell’ottobre del ’29 quando la borsa di Wall Street crollò inesorabilmente mandando sul lastrico lui e gran parte degli investitori americani. Guttmann decide così di rimboccarsi le maniche e di intraprendere la carriera da allenatore e arriva anche in Italia, al Milan di Nordahl e Liedholm da cui però viene licenziato nonostante la squadra fosse prima in classifica. Da quell’episodio, Guttmann fece mettere una clausola in tutti i suoi successivi contratti da allenatore, che gli impediva di poter essere esonerato da primo in classifica.

Facciamo un piccolo salto temporale e ritroviamo il nostro uomo, nel frattempo affermatosi definitivamente come uno dei migliori allenatori in circolazione, alla guida del Porto. Per chi segue il calcio ma non ha mai sentito parlare di Guttmann posso facilmente rendervi l’idea del personaggio paragonandolo a Jose Mourinho, un allenatore dalla personalità controversa e accentratrice che si può amare o odiare alla follia. Se siete appassionati di basket invece posso darvi un’idea accostando Guttmann a Greg Popovich, allenatore degli Spurs in NBA. Fatto sta che dopo aver vinto il campionato con il Porto, nonostante avesse ricevuto in regalo dal presidente del club il logo della squadra con all’interno dei diamanti, accetta la proposta dei rivali del Benfica e si trasferisce a Lisbona. È qui che Guttmann si afferma definitivamente vincendo non una, e già sarebbe questa un’impresa ritenuta impossibile all’epoca, ma ben due Coppe dei Campioni. È qui che avviene il fattaccio, Guttmann chiede di essere ricompensato per questa doppia, incredibile, impresa ma il Benfica non è della stessa opinione. Per carità, riconoscono a Guttmann i suoi meriti ma credono che quello bravo, quello che veramente ha fatto la differenza è stato il fortissimo e geniale Eusebio; insomma a Guttmann si può rinunciare quindi aumento negato. È qui che ha inizio un vero incubo sportivo per il Benfica, Guttmann, per nulla contento del mancato premio e dell’aumento negato, pronuncia delle parole che suonano come una vera e propria doppia maledizione: “Da qui a cento anni nessuna squadra portoghese sarà due volte campione d’Europa ed il Benfica, senza di me, non vincerà mai una Coppa internzazionale”. Da quel giorno il Benfica ha disputato ben otto finali internazionali…senza mai più vincere.

Veniamo ora ad una maledizione un po’ diversa e sicuramente più tragica, forse più che una maledizione dovremmo parlare di una coincidenza maledetta che vede protagonisti Antonio e Alberto Ascari. Antonio, il padre, e Alberto, il figlio sono accomunati dalla grande passione per i motori, passione che porterà entrambi ad affermarsi come grandi piloti di Formula 1. Antonio vince la sua prima gara nel ‘24, a Monza, nel Gran Premio d’Italia su Alfa Romeo, stabilendo anche un incredibile record sul giro che resterà imbattuto per ben sette anni; vince una gara anche l’anno successivo stavolta in Belgio dove si disputa il primo Gran Premio di Spa. Purtroppo la sua carriera, così come la sua vita, termina prematuramente a causa di un tragico incidente il 26 luglio del ‘25 lungo un circuito nelle vicinanze di Parigi. Suo figlio Alberto aveva sette anni e da quel momento decide che seguirà le orme paterne e diventerà un pilota. Comincia con le moto per poi passare alle auto, finanziato dai vocabolari di greco che la madre continua a compragli, pensando che qualche compagno prepotente glieli rubasse, e che invece Alberto rivende per pagarsi le corse a Monza. Diventa anche lui un grande pilota e nel 1952 vince il suo primo Campionato Mondiale di Formula 1 alla guida della Ferrari, bissando il successo anche l’anno dopo. Segnato dall’incidente del padre, Alberto è sempre stato molto scaramantico, tanto che non guida mai senza il suo casco e soprattutto non corre mai il 26, giorno della morte del padre, di qualsiasi mese. Il 26 maggio ’95, però, mentre è nella sua casa di Milano, Ascari riceve una telefonata da alcuni amici che lo invitano a Monza per provare una nuova Ferrari 750. Alberto nonostante fosse il 26 rompe la scaramanzia e guida anche in borghese, senza quindi indossare il suo equipaggiamento; al terzo giro un incidente dalle dinamiche poco chiare lo uccide sul colpo, schiacciato dal peso della macchina. Trent’anni dopo suo padre è toccato a lui ed entrambi il giorno della loro morte avevano 36 anni.

Avete mai sentito parlare della maledizione di Billy Goat? Vi assicuro che a Chicago sanno perfettamente di cosa si tratta. Una vicenda rimasta negli annali che racconta la storia di William “Billy” Sianis, immigrato greco residente a Chicago e tifoso dei Cubs, la squadra di baseball locale. È il ’45 e i Cubs stanno disputando le finali delle World Series contro i Detroit Tiger. Sianis da buon tifoso è allo stadio a vedere la partita ma non è solo, è accompagnato dalla sua inseparabile capra Murphy. Nonostante qualche protesta iniziale, gli viene permesso di tenere l’animale vicino a lui ma durante la partita alcuni degli spettatori vicini cominciano a lamentarsi per il cattivo odore della capra, richiamando gli addetti al campo che obbligano il signor Sianis ad allontanarsi insieme al suo animale da compagnia. Sollevato di peso dagli steward Sianis scaglia tutta la sua rabbia e frustrazione pronunciando una vera e propria maledizione: “Voi perderete queste World Series e non ne vincerete mai più altre. Non vincerete mai più le World Series perché avete insultato la mia capra!”. I Cubs, che prima di quella partita erano avanti per 2 a 1 nei confronti dei Tiger, non solo perdono quella partita ma anche l’intera serie finale. Va beh, perdere ci sta, fa parte dello sport. Eh insomma perché dopo quelle parole per la bellezza di 71 anni i Chicago Cubs non sono più riusciti nemmeno ad arrivare a disputare una serie finale fino a quando nel 2016 riescono a battere i Los Angeles Dodgers laureandosi – finalmente – campioni.

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