Un pesciolino e… zac

Scritto da in data Maggio 1, 2019

Un visore ottico, un banco di pesciolini colorati e il gioco è fatto. Un esperimento effettuato in due ospedali pediatrici australiani ha dimostrato l’efficacia dell’uso della realtà virtuale nell’approccio ai pazienti più piccoli. Il segreto è un espediente utilizzato da tutti i genitori del mondo, l’antica arte del distrarre, ma la modalità è assolutamente tecnologica.
Raffaella Quadri per Radio Bullets.

Musiche: In fondo al mar (La sirenetta).

La puntata di oggi non sarà dedicata a una nuova tecnologia, bensì a un uso nuovo di una tecnologia che già conosciamo e che da qualche anno ormai si utilizza in diversi contesti:
la virtual reality (VR) ovvero la realtà virtuale.

Il motivo di questa mia scelta, stavolta più che per le precedenti, è puramente personale. Quando ho letto dall’Ansa la notizia di cui sto per parlarvi la mia mente ha fatto un salto indietro, rivivendo un episodio ben preciso della mia infanzia.
Il collegamento, che pare azzardato, è presto fatto. Per capirlo dobbiamo spostarci però in Australia dove un gruppo di pediatri ha condotto uno studio coinvolgendo un campione di piccoli pazienti dai 4 agli 11 anni.

Come risaputo gli aghi non piacciono a nessuno, tanto meno ai più piccoli e riuscire a fare un’iniezione senza farli piangere a volte diventa davvero un’impresa da campioni.
L’idea dei pediatri australiani, quindi, è stata di trovare un espediente che aiutasse i piccoli pazienti a sopportare meglio questo tipo di situazione ricorrendo – appunto – alla realtà virtuale.
Hanno effettuato due studi clinici in due ospedali di Melbourne – il Monash Children’s Hospital e il Royal Children’s Hospital – reclutando oltre 250 bambini tra gli assistiti al pronto soccorso e i pazienti affetti da patologie seguiti negli ambulatori.
In ambedue i casi i piccoli pazienti sono stati divisi in due gruppi, ad alcuni di loro sono stati assegnati i visori per la realtà virtuale mentre gli altri sono stati curati con le pratiche standard.

Gli esperimenti hanno dato risultati interessanti: sia nel caso dei pazienti in pronto soccorso sia in quello dei pazienti curati negli ambulatori, la percezione del dolore di coloro che indossavano il visore durante le iniezioni o l’incannulamento si è dimostrata inferiore rispetto a chi era stato sottoposto a pratiche standard; una differenza riscontrata soprattutto nel gruppo seguito in ambulatorio.
Naturalmente insieme a quella del livello di percezione del dolore si è riscontrata anche una riduzione dello stato d’ansia dei piccoli pazienti che hanno così sopportato meglio le pratiche ospedaliere facilitando, nel contempo, anche le operazioni dei medici.

Grazie a smartphone con visori ottici – sono stati usati gli smartphone Google Pixel XL e il visore VR Daydream sempre di Google – i piccoli pazienti sono stati immersi in un ambiente tridimensionale, virtuale e interattivo che, attraverso le simulazioni del computer, ha dato modo ai bambini di distrarsi mentre venivano sottoposti alle iniezioni o gli venivano inserite le cannule.
L’ambiente proiettato sui visori, realizzato con Unity – l’applicativo per la creazione di contenuti interattivi e in 3D di Unity Technologies –, rappresenta un mondo virtuale subacqueo con musica e immagini che, all’inizio, hanno un effetto rilassante per poi dare la possibilità al bambino di interagire attraverso lo sguardo con un pesciolino virtuale.

Lo studio australiano, già in parte presentato a un convegno specializzato tenutosi a fine dello scorso anno ma pubblicato nella sua interezza solo in aprile su “The Journal of Pediatrics”, ha fornito, quindi, risultati che dimostrano come le nuove tecnologie possano servire non solo a divertire ma anche a rendere più semplici e meno invasive alcune cure sui pazienti più piccoli.

Quando ero piccola purtroppo non esistevano visori ottici per la realtà virtuale e gli espedienti dei miei genitori – tra il giro in bici con papà e il vestito preferito – non valevano a molto nel ridurre la mia ansia da puntura. Con buona pace dell’infermiera, la signora Maria, che nonostante l’atteggiamento dolce, nulla poteva contro le disperate lacrime di una bambina di tre anni.
Sono diventata come il cane di Pavlov e ancor oggi, non appena vedo un vestitino con spalline sottili e corpetto arricciato, sento male là dove si non dovrebbe mai.
Ah, se avessi avuto un visore…

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