Un po’ robot e un po’ umano

Scritto da in data Giugno 5, 2018

Particolarmente mobili, morbidi al tatto da sembrare veri e capaci addirittura di farsi venire la pelle d’oca o di avere muscoli veri. Le frontiere della robotica guardano a una somiglianza al genere umano in tutto e per tutto, compresi quegli effetti “a pelle” che non possiamo proprio controllare. Raffaella Quadri per Radio Bullets. Musiche di Walter Sguazzin.

La comunicazione tra le persone non è solo verbale, una componente importante –se non addirittura fondamentale– è legata ai gesti, alle espressioni del volto, al tono della voce; tutti elementi capaci di rimarcare e completare i concetti espressi a parole, o anche di sostituire in toto il parlato. Nella robotica questi aspetti sono studiati da sempre, secondi solo, per ovvie ragioni, alla capacità di movimento.

In queste ultime settimane si sono susseguite diverse notizie riguardanti i passi avanti fatti dalla robotica in questi termini, basti ricordare il progetto europeo Octopus, condotto dall’Istituto di biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il primo robot soffice che sia stato mai realizzato al mondo. Come suggerisce il suo nome, si ispira al polipo sia nella modalità di movimento sia nella morbidezza del suo corpo. Proprio a questo nuovo tipo di robotica è stata dedicata anche la prima conferenza internazionale “RoboSoft 2018”, che si è tenuta a fine aprile a Livorno, grazie alla scuola pisana.

Si parla in questo caso di robotica bio-ispirata, in quanto imita e riproduce la natura.

 

Rendere un robot il più simile possibile a un essere vivente, del resto, è l’obiettivo degli studiosi, tanto più se la macchina è chiamata a interagire con le persone. Sinora i progetti robotici sono stati incentrati, quindi, sulla messa a punto di questi aspetti. Di recente però l’interesse di ricercatori e ingegneri si è spostato su un altro particolare canale comunicativo che sino ad oggi era rimasto ancora inesplorato, quello legato al tatto.

C’è chi ha incentrato i propri studi niente di meno che sulla comunicazione a pelle, nel vero senso della parola. Infatti molte delle sensazioni che proviamo passano per il più esteso organo del corpo, la pelle appunto che reagisce e, così facendo, comunica anche il nostro stato d’animo.

 

Proprio al fine di rendere i robot molto più “umani” i ricercatori del laboratorio Hrc2 –Human Robot Collaboration & Companionship– della Cornell University, nello stato di New York (Usa), guidati dal professore Guy Hoffman, hanno realizzato una pelle di elastomero che, grazie a un azionamento pneumatico, può mutare la propria superficie.

In sostanza, la trama della pelle artificiale è formata da tante unità che sono attraversate una rete di canali interni. Nel momento in cui il robot vuole esprime un dato stato d’animo, le unità sono riempite con l’aria pressurizzata meccanicamente così da gonfiarsi in piccole bolle, come fossero i pori della pelle e riproducendo, in pratica, l’effetto a pelle d’oca che tutti noi ben conosciamo.

Hoffman e sui ricercatori hanno scelto due tipi di reazione per il loro robot: l’effetto in cui le bolle sono arrotondate e quello invece in cui sono a punta. In base all’emozione che il robot vuole esprimere, vi sarà la corrispondente reazione delle pelle, proprio come avviene nell’uomo e negli altri animali in genere.

L’idea è di completare la gamma comunicativa degli esseri artificiali con anche la sensazione tattile e migliorare così la loro interazione con gli umani.

A metà strada tra umanità e robotica si colloca invece la ricerca condotta da un gruppo di ricercatori dell’Istituto di scienze industriali dell’Università di Tokyo che ha realizzato un robot bio-ibrido, ovvero un robot meccanico dotato però di tessuto muscolare scheletrico vivo.

Come hanno spiegato i tre scienziati autori dello studio –Yuya Morimoto, Hiroaki Onoe e Shoji Takeuchi– che hanno poi pubblicato la loro ricerca sulla rivista Science Robotics, quello da loro indagato è un nuovo campo della robotica bio-ibrida, in cui è previsto l’uso di tessuti viventi all’interno di robot, piuttosto che solo metallo e plastica.

Il tutto è stato possibile facendo crescere il tessuto direttamente sulla struttura meccanica, partendo da cellule staminali. Infatti, prima, hanno costruito uno scheletro robotico con tanto di giunto girevole per consentire il movimento, punti di ancoraggio a cui fare agganciare i muscoli ed elettrodi per generare la contrazione muscolare; poi, invece di installare muscoli già formati, hanno fatto crescere dei tessuti partendo da fogli di idrogel contenenti appunto cellule staminali.

I muscoli non solo sono riusciti a sopravvivere, ma sono rimasti perfettamente funzionanti per circa una settimana, muovendosi realisticamente proprio come i nostri muscoli antagonisti, ovvero alternando contrazione ed estensione.

Una ricerca che apre a un infinita possibilità di applicazioni soprattutto in campo medico.

Quindi forse un giorno, da una parte, interagiremo con robot sempre più umani e, dall’altra, saremo umani un po’ più robot.

 

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