Verso Moshi

Scritto da in data Dicembre 20, 2018

Non mi fermo a Dar: il giorno successivo al mio arrivo ho subito un autobus, un autobus che si rompe. Attraversa la vegetazione ricca, le casupole, gli abitanti in sella alle loro moto e poi si ferma e si rompe. Durante la sosta tutti i bagagli si riversano nel cortile antistante il ristorante. 
Aspettiamo un altro bus, che sarà comunque pieno, e sul quale ci sarà spazio per quattro persone: ci siamo io, una donna danese e una ucraina. Eleonora Viganò su Radio Bullets
A Moshi arrivo comunque per tempo per la check list del mio materiale, per noleggiare ciò che manca per il freddo, per rilassarmi nel mio albergo dove non si dorme in coppia senza essere sposati.
Jackson mi fa compagnia: lavora per la compagnia Gladys Adventure, scelta pochi giorni prima e di fretta per poter salire o tentare di salire sul Kilimanjaro. Sarò con altre quattro persone sconosciute e straniere.
Quella sera oltre a cenare devo solo stare tranquilla. Ho tutto quello che mi serve. Nel buio più nero vado quasi a tentoni a recuperare due rotoli di carta igienica e la colazione per domani.
Jackson ha voglia di raccontare. Parla dell’indipendenza raggiunta nel 1961 e dei regali lasciati dal colonialismo: la mancanza di mezzi e competenze. Ma ci stiamo riprendendo, mi dice. Stiamo crescendo.
L’Europa, però, non sembra aver smesso: porta macchine e tecnologie e costruisce strade in cambio dell’oro della Tanzania che loro non saprebbero né ottenere né lavorare.
Mi dice che serve l’istruzione affinché gli ingegneri siano tanzaniani e non inglesi o tedeschi.
Le donne? Le donne rimangono incinte e si sposano, sono in poche ad avere la possibilità di andare avanti.
Mi dice, quasi per confortarmi, che i dollari dei turisti sono molto utili.
Sei agitata?
Annuisco.
Riposa e non preoccuparti: andrà tutto bene.
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