13 giugno 2025 – Notiziario Mondo

Scritto da in data Giugno 13, 2025

  • Israele attacca decine di obiettivi militari e nucleari in Iran, ucciso il capo dei Pasdaran, tensione globale alle stelle, in attesa della risposta di Teheran.
  • L’Assemblea Generale ONU chiede il cessate il fuoco a Gaza. Gli Stati Uniti votano contro, insieme a Israele.
  • India: aereo Air India si schianta su un college medico subito dopo il decollo.
  • Pakistan: uccisa la 17enne Sana Yousaf, studentessa di medicina e TikToker.
  • Sudan: “La più grave crisi umanitaria al mondo” – l’ONU accusa l’indifferenza globale.

Introduzione al notiziario: Israele attacca l’Iran: chi fermerà questa corsa verso l’abisso?
Questo e molto altro nel notiziario di Radio Bullets a cura di Barbara Schiavulli

Israele e Iran

Teheran si è svegliata all’alba sotto il boato delle esplosioni. Israele ha colpito il cuore dell’Iran con più di 100 droni armati, in quello che appare come uno degli attacchi più audaci degli ultimi decenni.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha confermato che l’operazione – da lui definita “difensiva e necessaria” – ha preso di mira l’infrastruttura nucleare, i siti missilistici e le capacità militari della Repubblica Islamica.

I media di Stato iraniani riferiscono che nell’attacco è stato ucciso Hossein Salami, comandante delle Guardie Rivoluzionarie, figura centrale nella struttura militare e politica dell’Iran.

 Morti anche due importanti scienziati nucleari: Fereydoun Abbasi, ex capo dell’Agenzia per l’energia atomica iraniana, e Mohammad Mehdi Tehranchi, rettore della Islamic Azad University, coinvolto nei progetti scientifici del regime.

Secondo il Jerusalem Post, tra i possibili morti ci sarebbe anche il Capo di Stato Maggiore Mohammad Bagheri, ma al momento Teheran non ha confermato.

L’attacco arriva a meno di 24 ore dalla censura dell’AIEA contro l’Iran, per la sua scarsa collaborazione con gli ispettori internazionali.

Come risposta, Teheran aveva annunciato l’apertura di un terzo sito per l’arricchimento dell’uranio e l’introduzione di centrifughe avanzate, alimentando il sospetto che si stia avvicinando alla capacità di produrre un’arma atomica.

“Se non fermato adesso – ha detto Netanyahu in un discorso alla nazione – l’Iran potrebbe costruire un’arma nucleare nel giro di pochi mesi.

È una minaccia esistenziale per Israele”. Il premier ha aggiunto che il Paese è pronto ad affrontare qualsiasi rappresaglia da parte di Teheran: “Siamo preparati per le loro capacità significative di colpirci”.

Poco dopo l’inizio degli attacchi, il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha firmato l’ordine per dichiarare lo stato d’emergenza sul fronte interno, avvertendo la popolazione di possibili raid missilistici e droni provenienti dall’Iran o dai suoi alleati nella regione.

Intanto da Washington, il segretario di Stato Marco Rubio ha confermato che gli Stati Uniti non hanno preso parte all’azione.

“Israele ha agito da solo. La nostra priorità resta la protezione delle forze americane in Medio Oriente”. Anche il presidente Donald Trump ha preso le distanze, rivelando che aveva chiesto a Netanyahu di rimandare l’attacco per non compromettere i negoziati in corso con Teheran: “Finché c’è una possibilità di accordo, non voglio che vadano avanti, perché rischia di far saltare tutto”.

Il mondo reagisce con crescente inquietudine. La ministra degli Esteri australiana Penny Wong ha parlato di “escalation pericolosa che può destabilizzare un’intera regione già fragile”.

Ha poi invitato tutte le parti alla massima moderazione, pur riconoscendo la minaccia posta dal programma nucleare e missilistico iraniano.

Nella capitale iraniana, le immagini mostrano colonne di fumo nella zona occidentale di Chitgar.

Non è ancora chiaro quali siano stati i bersagli esatti, né se siano stati colpiti anche altri siti fuori da Teheran. Il panico si è diffuso tra la popolazione, e il prezzo del petrolio ha reagito immediatamente: il Brent ha registrato un’impennata del 5%.

Ciò che il mondo ha visto questa notte è più di un attacco: è una svolta. Israele ha colpito al centro del potere militare iraniano, sfidando apertamente non solo Teheran, ma un intero equilibrio regionale e internazionale.

È il punto di non ritorno? Forse. Di certo, è un passo oltre il limite, in un contesto già segnato da guerre, crisi e leadership che giocano alla guerra con la mano tremante e la retorica infiammata.

Mentre il cielo di Teheran si riempiva di fuoco, il mondo – ancora una volta – ha guardato senza fiatare. Diplomazia, deterrenza, trattati: tutte parole svuotate, come gusci vuoti lanciati in un deserto di fuoco.

E ora all’Iran non resta che preparare la sua rappresaglia. Una fonte della sicurezza iraniana, citata da Reuters, ha dichiarato che “la risposta sarà dura e decisa”.

I vertici del regime starebbero discutendo “ai massimi livelli” tempi e modalità della controffensiva.

Non è ancora chiaro quando o come Teheran agirà, ma il messaggio è inequivocabile: l’Iran non intende lasciar correre un attacco che ha colpito il suo cuore militare, scientifico e simbolico. Il rischio di un’escalation diretta è ora altissimo.

Se la notte ha portato le bombe, il giorno porta minacce. La spirale di ritorsioni è iniziata.

E se fino a ieri il conflitto tra Israele e Iran si giocava per procura, oggi rischia di diventare guerra aperta. In gioco non ci sono solo due Paesi, ma la stabilità dell’intero Medio Oriente – e forse qualcosa di più.

Israele e Palestina

Con 149 voti favorevoli, 19 astensioni e solo 11 contrari (tra cui Stati Uniti e Israele), l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato una nuova risoluzione che chiede un cessate il fuoco immediato, incondizionato e permanente nella Striscia di Gaza, l’accesso umanitario senza ostacoli e la liberazione degli ostaggi detenuti da Hamas, così come il ritorno dei prigionieri palestinesi e il ritiro completo dell’esercito israeliano dal territorio.

Il testo condanna con forza l’uso della fame come arma di guerra e l’impedimento deliberato agli aiuti, definendolo una violazione del diritto internazionale umanitario.

Israele ha respinto la risoluzione, definendola una “calunnia di sangue”. L’ambasciatore israeliano all’ONU, Danny Danon, ha criticato duramente il voto, accusando l’Assemblea di “dare un messaggio chiaro ai terroristi: rapire civili funziona”.

Anche gli Stati Uniti si sono opposti, dopo aver già posto il veto la scorsa settimana in Consiglio di Sicurezza a un testo analogo.

L’ambasciatrice americana ad interim, Dorothy Shea, ha definito il voto “performativo” e “inutile”, affermando che non favorisce né la liberazione degli ostaggi né la fine del conflitto.

Il voto non ha valore vincolante, ma rappresenta un chiaro indicatore del sentimento globale, con la stragrande maggioranza dei Paesi che chiede la fine della guerra, mentre a Gaza la situazione umanitaria precipita.

Secondo l’ONU, la carestia è imminente. Dopo 11 settimane di blocco, gli aiuti sono ancora insufficienti a raggiungere oltre due milioni di civili intrappolati in condizioni disumane.

Il voto arriva a pochi giorni da una conferenza internazionale promossa dall’ONU sul futuro della Palestina e sulla soluzione dei due Stati. Gli Stati Uniti hanno già invitato i Paesi membri a non parteciparvi.

■ GAZA: Il Ministero della Salute, controllato da Hamas, ha dichiarato che 103 palestinesi sono stati uccisi e 427 sono rimasti feriti nelle ultime 24 ore, aggiungendo che 21 di questi sono stati uccisi mentre erano in coda per ricevere aiuti alimentari presso i centri di distribuzione della Fondazione Umanitaria per la Gaza.

Secondo il Ministero, dall’inizio della guerra sono state uccise 55.207 persone nella Striscia.

Mercoledì 56 camion carichi di aiuti umanitari sono entrati nel nord di Gaza attraverso il valico di Zikim.

Le IDF hanno ucciso un palestinese disabile in un attacco mirato nel sud di Gaza alla fine di maggio, sostenendo che fosse stato identificato come “terrorista”, secondo quanto emerso da un’inchiesta di Haaretz .

L’uomo, Muhammad al-Farra, è stato visto zoppicare nel quartiere di Satar a Khan Yunis, in un filmato ripreso da un drone delle IDF, prima di essere colpito.

Le IDF hanno ordinato agli abitanti di diversi quartieri della Striscia di Gaza centrale di evacuare e dirigersi verso la parte occidentale della città di Gaza.

■ OSTAGGI/CESSATE IL FUOCO:
Giovedì l’ Assemblea generale delle Nazioni Unite dovrebbe votare una risoluzione redatta dalla Spagna che chiede un cessate il fuoco immediato a Gaza, il rilascio di tutti gli ostaggi tenuti da Hamas e l’apertura di tutti i valichi di frontiera israeliani per la consegna di cibo e altri aiuti.

■ SANZIONI: L’ambasciatore statunitense in Israele Mike Huckabee ha accolto i ministri israeliani di estrema destra Itamar Ben-Gvir e Bezalel Smotrich presso l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, definendo le sanzioni imposte loro questa settimana da Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Norvegia “un’oltraggiosa ipocrisia”.

■ ISRAELE: Il governo israeliano si rifiuta di pubblicare i rapporti redatti dall’Ufficio del difensore pubblico in merito alle visite effettuate ai prigionieri di sicurezza palestinesi e ai detenuti sotto custodia israeliana dall’inizio della guerra, ha appreso Haaretz , citando preoccupazioni per la sicurezza nazionale.

Fonti a conoscenza dei procedimenti hanno detto ad Haaretz che i ministeri della Giustizia e della Sicurezza Nazionale stanno bloccando la loro pubblicazione a causa del timore che i rapporti, che documenterebbero le condizioni estremamente dure in cui sono tenuti i prigionieri , possano danneggiare l’immagine internazionale di Israele e avere effetti negativi sugli ostaggi israeliani tenuti da Hamas a Gaza.

■ EGITTO: L’Egitto ha iniziato a detenere e deportare centinaia di attivisti arrivati ​​al Cairo mercoledì per unirsi alla Marcia globale verso Gaza, una mobilitazione di massa che si descrive come uno sforzo non violento, guidato dai civili, per porre fine all’assedio di Gaza da parte di Israele.

Secondo quanto riportato dai media stranieri e arabi, i partecipanti sono stati affrontati dalle autorità egiziane sia all’aeroporto internazionale del Cairo che negli hotel in cui alloggiavano prima dell’inizio della marcia, previsto per giovedì . A circa una dozzina di viaggiatori, per lo più cittadini marocchini, sarebbe stato negato l’ingresso in Egitto.

Sudan

Il capo umanitario dell’ONU, Tom Fletcher, ha definito il Sudan “la più grande crisi umanitaria del nostro tempo”, con oltre 30 milioni di persone bisognose di aiuto.

La violenza continua da Kordofan al Darfur, il sistema sanitario è collassato e le epidemie si diffondono. L’ONU denuncia attacchi contro ospedali e convogli umanitari, mentre gli appelli per aiuti vengono ignorati.

“Dove sono i fondi? Dove la protezione? Dove la giustizia?”
Fletcher lancia un monito: “Non lasciamo che questa epoca sia definita da indifferenza e impunità.”

Il Sudan muore nel silenzio del mondo. Non è mancanza di informazioni: è una scelta di non vedere.

Russia e Ucraina

Le forze ucraine stanno lentamente riconquistando terreno nella regione di Sumy, al confine nordorientale con la Russia, dove le truppe di Mosca erano riuscite a stabilire una testa di ponte nelle ultime settimane.

 Lo ha annunciato il presidente Volodymyr Zelensky nel suo discorso serale:
“Le nostre unità nella regione di Sumy stanno gradualmente respingendo gli occupanti. Grazie a ogni soldato, sergente e ufficiale per questo risultato.”

Secondo l’analista presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak, la concentrazione delle forze russe in quell’area è il risultato di mesi di operazioni militari nella regione russa di Kursk, proprio oltre il confine.

Podolyak ha però invitato alla prudenza, spiegando che la situazione sul terreno resta in evoluzione.

Intanto, lo Stato Maggiore ucraino ha diffuso un dato che scuote: oltre un milione di perdite tra le fila russe dall’inizio dell’invasione su larga scala nel febbraio 2022, tra morti e feriti.

Circa 250.000 soldati sarebbero stati uccisi, secondo Kyiv – un numero che trova riscontri anche nelle stime dell’intelligence britannica.

Mentre l’attenzione internazionale si concentra sul Medio Oriente, in Ucraina la guerra continua a macinare vite e territori.

Sumy, che sembrava sul punto di cadere, resiste. Ma a che prezzo? Un milione di perdite, un’intera generazione mandata al massacro.

La guerra che Putin pensava lampo è diventata un pantano senza fine. E l’Europa, troppo spesso, si limita a contare i giorni e le vittime.

Stati Uniti

Un giudice federale ha emesso ieri sera un’ordinanza che impedisce al presidente Trump di inviare membri della Guardia nazionale della California a Los Angeles e ha intimato all’amministrazione di restituire il controllo delle forze al governatore Gavin Newsom.

L’amministrazione ha rapidamente presentato ricorso, il che ha temporaneamente sospeso l’entrata in vigore della sentenza mentre la corte d’appello esamina il caso.

L’ordinanza restrittiva, che sarebbe entrata in vigore venerdì a mezzogiorno, ora del Pacifico, ha rappresentato una dura critica al tentativo di Trump di schierare migliaia di soldati nelle strade di una città americana, una mossa che ha contribuito a quasi una settimana di rancore politico e proteste in tutto il Paese.

“Le sue azioni erano illegali, eccedevano i limiti della sua autorità statutaria e violavano il Decimo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti”, ha scritto il giudice Charles Breyer in merito agli ordini di Trump.

Alex Padilla, senatore statunitense della California, è stato costretto a terra e ammanettato dagli agenti federali dopo aver spintonato le guardie per porre una domanda durante una conferenza stampa del segretario della Sicurezza Nazionale a Los Angeles.

Repubblica Dominicana

Antonio e Maribel Espaillat, proprietari dello storico locale notturno Jet Set di Santo Domingo, sono stati arrestati giovedì, quasi due mesi dopo il crollo del tetto del club che ha ucciso 236 persone e ferito oltre 180.

I due sono accusati di gravi negligenze e di aver tentato di influenzare potenziali testimoni tra i dipendenti del locale. Non sono ancora formalmente incriminati, ma la procura ha 48 ore per presentare le accuse a un giudice.

Secondo l’ufficio del procuratore generale dominicano, i fratelli Espaillat avrebbero “mostrato un’enorme irresponsabilità” non intervenendo per prevenire il disastro, nonostante la struttura fosse nota da decenni come fragile e mai sottoposta a verifiche strutturali.

La tragedia è avvenuta la notte dell’8 aprile, durante una delle celebri serate merengue del locale, attivo da quasi cinquant’anni e frequentato da star internazionali e membri dell’élite dominicana.

Tra le vittime:

  • Rubby Pérez, celebre cantante che si stava esibendo al momento del crollo
  • Nelsy Cruz, governatrice di Montecristi e sorella del campione di MLB Nelson Cruz
  • Octavio Dotel, ex lanciatore della Major League, estratto vivo dalle macerie ma morto in ospedale
  • Tony Enrique Blanco Cabrera, ex giocatore di baseball
  • Martín Polanco, stilista dominicano con base a New York
  • Un ex funzionario delle Nazioni Unite
  • Tre dipendenti del gruppo finanziario Grupo Popular, tra cui il presidente dell’AFP Popular Bank e sua moglie
  •  Un capitano dell’esercito, padre di quattro bambine

Un comitato d’indagine – con esperti internazionali – è ancora al lavoro per stabilire le cause tecniche del crollo.

Secondo Antonio Espaillat, nei 30 anni in cui la sua famiglia ha gestito l’edificio, mai nessun ingegnere o autorità statale ha effettuato ispezioni strutturali, sebbene i vigili del fuoco e le autorità locali avessero rilasciato i permessi per la sicurezza di base. I soccorsi hanno lavorato per 53 ore consecutive per estrarre superstiti dalle macerie.

Jet Set non era solo un club. Era un simbolo della vita notturna dominicana, della musica, del potere e del prestigio.

Ma dietro il glamour si nascondeva una bomba a orologeria ignorata per decenni. Nessuna verifica strutturale, nessun controllo, solo musica e folla.

Ora, a parlare, sono le macerie. E i volti spezzati di famiglie che hanno perso figli, artisti, leader, icone.

Il crollo non è stato un incidente. È stato l’effetto letale dell’indifferenza.

Pakistan

Sana Yousaf aveva 17 anni. Studiava medicina a Islamabad, pubblicava video ironici, raccontava la sua vita tra risate, compleanni e sogni.

La sera del 2 giugno, è stata freddamente uccisa a colpi di pistola davanti alla madre e alla zia, nella sua casa nella capitale pakistana. Un omicidio che ha scioccato il Paese — e che ne ha mostrato le crepe più profonde.

Il giorno dopo, il ministro dell’Interno Mohsin Naqvi ha annunciato l’arresto del presunto assassino, un ragazzo di 22 anni che avrebbe confessato di aver ucciso Sana per aver respinto ripetutamente i suoi tentativi di approccio.

La polizia ha recuperato l’arma del delitto e il telefono della ragazza.

Ma la notizia non è finita qui. Sui social, insieme al cordoglio, è esplosa la rabbia.

Non solo per il femminicidio, ma per le reazioni disumane di alcuni utenti che hanno commentato con ironia, compiacimento o addirittura entusiasmo la morte di Sana, colpevole – secondo loro – di essere una “TikToker”.

Era una TikToker. E quindi? Sana non era solo un volto online. Era una ragazza, una figlia, una studentessa.

Ma nel linguaggio dei media e degli hater, è diventata “una TikToker uccisa”. Come se la sua attività online l’avesse trasformata da vittima in colpevole.

“Essere una TikToker non è un reato. Ma essere donna in Pakistan, forse sì,” ha scritto una giornalista.

Le reazioni online hanno messo in luce un sistema dove la misoginia non si nasconde nemmeno davanti alla morte.

“Stava studiando medicina. Aveva appena festeggiato il compleanno. Era una ragazzina. E la gente esulta per la sua morte perché faceva video su TikTok,” ha scritto un utente.

Altri hanno condiviso schermate di commenti che deridono o umiliano Sana, chiedendo alle autorità di intervenire anche contro l’hate speech.

 “La vergogna non è TikTok. La vergogna è una cultura in cui l’omicidio di una ragazza viene accolto con applausi.

La tragedia di Sana non è isolata. È solo l’ultima in una lunga serie di femminicidi in Pakistan, dove le donne vengono uccise in nome dell’onore, della morale o del possesso.

L’uomo che ha premuto il grilletto è solo l’ultimo prodotto di un sistema in cui l’identità, la voce, il corpo di una donna sono visti come una provocazione da punire.

Gli uomini hanno un problema con gli uomini,” ha scritto l’attivista Sabah Bano Malik. “E fino a quando saranno le donne a dover risolverlo, le ragazze continueranno a morire.”

E ora? Mentre il sospetto è in custodia e le indagini continuano, le richieste di giustizia invadono i social. Ma la vera domanda è: basterà una condanna per cambiare una mentalità?

Sana Yousaf doveva essere viva. Doveva stare studiando per un esame, ridendo con le amiche, o preparando il suo prossimo video.

Invece è morta, colpita da chi non ha accettato un rifiuto. E c’è chi, davanti a questo, sorride.

In un mondo giusto, la morte di una ragazza di 17 anni spezzerebbe il cuore a chiunque. In questo mondo, invece, ci sono persone che digitano “se l’è cercata” mentre il corpo è ancora caldo.

Non è TikTok il problema. Non è Sana. Il problema è che ci stiamo abituando al sangue delle donne, e a volte lo applaudiamo pure.

India

Un Boeing 787-8 Dreamliner della compagnia Air India, diretto a Londra, si è schiantato giovedì pomeriggio pochi secondi dopo il decollo dall’aeroporto di Ahmedabad, in India.

Il volo AI171 è precipitato su un campus universitario, colpendo la mensa del B.J. Medical College dove decine di studenti stavano pranzando.

Almeno 269 persone sono morte – tra passeggeri, equipaggio e vittime a terra – secondo le autorità locali. Solo un uomo è sopravvissuto.

Il jet è rimasto in volo meno di un minuto. Un video verificato dal New York Times mostra l’aereo decollare regolarmente e poi abbassarsi lentamente, quasi planando, prima di esplodere in una gigantesca palla di fuoco.

Non si è trattato di una caduta improvvisa, ma di una perdita graduale di quota. Secondo i primi rapporti, il velivolo avrebbe toccato edifici a terra prima di incendiarsi, forse per una perdita di potenza o un problema tecnico.

Viswash Kumar Ramesh, cittadino britannico, è riuscito a uscire vivo dal relitto. È stato filmato mentre, ferito e sotto shock, si allontanava verso un’ambulanza. “Non so come sono sopravvissuto”, ha detto in una videochiamata al padre.

Viaggiava con il fratello, di cui non ha più avuto notizie. A bordo,

  • 230 passeggeri
  • 12 membri dell’equipaggio
  • Nazionalità: 169 indiani, 53 britannici, 7 portoghesi, 1 canadese
    Tra le vittime anche l’ex ministro capo del Gujarat, Vijay Rupani, e un’intera famiglia britannica residente a Gloucester.

Secondo il ministro dell’Interno indiano Amit Shah, l’aereo trasportava 125.000 litri di carburante. Le fiamme erano così intense da rendere impossibili i soccorsi immediati.

Almeno cinque studenti del college sono morti, e altri dieci risultano dispersi sotto le macerie. Il caldo torrido – oltre 38°C – potrebbe aver influito negativamente sulla spinta del motore al decollo.

Il Boeing 787 non era mai stato coinvolto in incidenti mortali prima di oggi, ma la sua sicurezza era sotto scrutinio da tempo.

La FAA americana aveva ricevuto segnalazioni su irregolarità nella costruzione della fusoliera da parte di un ingegnere Boeing nel 2024. Anche se l’azienda aveva minimizzato il rischio, le preoccupazioni restavano aperte.

Il premier indiano Modi ha parlato di “tragedia straziante oltre le parole”. Il primo ministro britannico Keir Starmer ha definito le immagini “devastanti”.

Sia il Regno Unito che gli Stati Uniti invieranno investigatori. Il presidente Trump ha dichiarato che Washington offrirà “tutto il supporto possibile”.

Un aereo non dovrebbe cadere così. Non oggi. Non nel 2025. Non con una compagnia di bandiera.

Non mentre decolla da uno degli aeroporti principali di un Paese che punta alla leadership globale. Le domande sono tante: manutenzione? errore umano? difetto strutturale?

Ma una cosa è certa: dietro ogni rottame, ogni ala carbonizzata, ogni nome su quella lista, ci sono vite. Famiglie intere. Studenti seduti a pranzo.

Un decollo, e poi il vuoto. Una città in lutto. Un Paese sotto shock.

Hong Kong

Nel 2025 a Hong Kong anche un videogioco può costarti l’arresto. La polizia ha messo in guardia i cittadini dal scaricare l’app “Reversed Front: Bonfire”, accusata di “promuovere la rivoluzione armata e la sovversione” contro la Cina.

Nel gioco, i player possono scegliere di combattere nei panni di ribelli provenienti da Hong Kong, Tibet, Taiwan, Mongolia o Xinjiang, oppure guidare le forze comuniste.

 Ma per le autorità, anche solo scaricare l’app equivale a possesso di materiale sedizioso: chi lo fa rischia di violare la legge sulla sicurezza nazionale.

Il videogioco, sviluppato da ESC Taiwan, un gruppo pro-democrazia, raccoglie elementi culturali legati alle proteste di Hong Kong del 2019 e include anche l’inno vietato “Glory to Hong Kong”.

Il gioco non è più disponibile nello store Apple di Hong Kong, ma resta accessibile altrove, come negli USA.

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