14 ottobre – Notiziario in genere
Scritto da Radio Bullets in data Ottobre 14, 2019
A Timor Est la violenza di genere si combatte in radio. Guerra in Siria, uccisa Hevrin Khalaf. E il Consiglio delle donne curde della Siria del Nord e dell’Est fa un appello a tutte le donne del mondo. Collaborazione tra Consiglio d’Europa e Federazione Russa contro la violenza sulle donne. Uganda, il governo annuncia un nuovo “Kill the Gays Bill”: pena di morte per “atti omosessuali gravi”.
Il webnotiziario in Genere di Radio Bullets, a cura di Lena Maggiaro e con la voce al microfono di Barbara Schiavulli.
Soundtrack: Matawen-NYX 15 Timor-Leste Song / Chopy – Pêşmerge _ چۆپی – پێشمەرگە / Christina Perri – Jar of Hearts
La radio a Timor Est
In un caldo mercoledì pomeriggio alla periferia di Dili, un gruppo di adolescenti e giovani adulti si raduna attorno a una radio. Seduti insieme in silenzio, ascoltano: alcuni prendono appunti, seri, alcuni osservano il tavolo degli spuntini, altri guardano in lontananza. Sono sintonizzati su Teki Toke di Radio Liberdade, una trasmissione settimanale che prende di mira le percentuali devastanti di violenze intime tra partner a Timor Est. Lo racconta Laura McDowell su The Asia Foundation.
Trasmesso grazie a una rete di stazioni radio locali, Teki Toke si rivolge ai giovani dai 15 ai 25 anni. L’episodio di cui leggiamo parla di relazioni e infedeltà, con un ospite in studio che risponde in diretta alle domande del pubblico. Il gruppo di giovani ascoltatori è uno dei 12 che si incontrano ogni settimana in tutto il paese, ognuno con un facilitatore per guidare e documentare le vivaci discussioni post-spettacolo sui ruoli e le relazioni di potere.
Il sostegno al progetto radiofonico proviene dal programma Nabilan della Fondazione Asia, un partenariato di otto anni tra i governi di Timor Est e dell’Australia per porre fine alla violenza contro le donne. Il progetto radiofonico riceve anche il sostegno della Società tedesca per la cooperazione internazionale (GIZ).
Teki Toke “affronta il tema, certo non facile, in modo olistico”, afferma la giornalista di Radio Liberdade Felicia Maia. La ricerca di Nabilan dimostra che il 59% delle donne a Timor Est dai 15 ai 49 anni abbiano subito violenza fisica o sessuale per mano del partner. Ma invece di parlare direttamente di violenza contro le donne, spiega Maia, “ci concentriamo sui problemi e le esperienze che possono portare alla violenza. Cerchiamo di fornire ai giovani e alle giovani gli strumenti per riconoscere situazioni malsane e trovare un modo migliore”.
Amore e relazioni, lavoro e denaro, istruzione e formazione, vita familiare e genitorialità e attività ricreative: sono questi i temi di cui si parla. Gli episodi di Teki Toke di solito includono storie, interviste per strada, un ospite speciale e le chiamate degli ascoltatori.
Lo spettacolo affronta convinzioni e situazioni che possono condurre alla violenza: mancanza di opportunità socioeconomiche, noia, diritto, stereotipi e ampia accettazione della violenza come forma di risoluzione delle controversie.
“I nostri spettacoli sull’amore sono molto popolari. I giovani sono davvero interessati a imparare a risolvere le situazioni di relazione”, afferma Felicia Maia. Con l’elevata disoccupazione giovanile di Timor, aggiunge, anche i programmi su lavoro e formazione sono popolari.
Tanba sá Importante atu ko'alia konaba Bullying ka asédiu Moral iha eskola? oinsá nia impaktu bainhira ema ida hetan…
Posted by Radio Liberdade Dili – FM 95.8 Mhz on Wednesday, October 2, 2019
Morte in Siria
Tra i civili uccisi a sangue freddo dai miliziani filo-turchi anche un’esponente politica curda nota per le sue lotte a favore dei diritti delle donne. I civili sono stati uccisi nella giornata di sabato a colpi di arma da fuoco su un’autostrada dopo essere stati prelevati dalle loro auto da milizie sostenute dalla Turchia che avevano attraversato il confine. “I nove civili sono stati giustiziati in diversi momenti a sud della città di Tel Abyad”, dice l’Osservatorio siriano per i diritti umani. Tra le vittime ci sono anche la politica curda Hevrin Khalaf e il suo autista.
Appassionata, coraggiosa, in grado di far comprendere le ragioni della causa curda agli inviati di Paesi stranieri. Hevrin Khalaf, 35 anni, la co-segretaria del Partito per il Futuro della Siria giustiziata in Siria da “mercenari sostenuti da Ankara” (secondo le Forze democratiche siriane), è descritta da chi la conosceva come una sorta ‘ministra degli Esteri’ del Rojava. Di recente, si legge sull’Agi, aveva guidato un Forum tribale delle donne, queste ultime soggetto cruciale, per lei, di una possibile transizione democratica che conduca a una Siria inclusiva e rispettosa dei diritti delle minoranze, e fortemente decentralizzata rispetto all’impostazione baathista.
Al momento della sua fondazione, avvenuta il 27 marzo del 2018, il Partito per il Futuro della Siria, affermò tra i suoi principi la laicità dello Stato, una Siria “multi identitaria”, la “rinuncia alla violenza” in favore di una “lotta pacifica per la risoluzione delle controversie, “l’eguaglianza tra uomini e donne” e il rispetto delle risoluzioni delle nazioni Unite, “in particolare la risoluzione 2254, secondo cui tutte le fazioni del popolo siriano dovrebbero essere rappresentate nel processo politico, compresa la stesura di una nuova costituzione”.
L’appello del Consiglio delle donne curde della Siria del Nord e dell’Est
Il Consiglio delle donne curde della Siria del Nord e dell’Est fa un appello a tutte le donne del mondo contro l’offensiva della Turchia nella loro regione, attraverso una lettera aperta. La riportiamo anche noi integralmente.
“Come donne di varie culture e fedi delle terre antiche della Mesopotamia vi mandiamo i più calorosi saluti. Vi stiamo scrivendo nel bel mezzo della guerra nella Siria del Nord-Est, forzata dallo Stato turco nella nostra terra natale. Stiamo resistendo da tre giorni sotto i bombardamenti degli aerei da combattimento e dei carri armati turchi.
Abbiamo assistito a come le madri nei loro quartieri sono prese di mira dai bombardamenti quando escono di casa per prendere il pane per le loro famiglie. Abbiamo visto come l’esplosione di una granata Nato ha ridotto a brandelli la gamba di Sara di sette anni, e ha ucciso suo fratello Mohammed di dodici anni.
Stiamo assistendo a come quartieri e chiese cristiane vengono bombardate e a come i nostri fratelli e sorelle cristiani, i cui antenati erano sopravvissuti al genocidio del 1915, vengono adesso uccisi dall’esercito del nuovo impero Ottomano di Erdogan. Due anni fa, abbiamo assistito allo Stato turco che ha costruito un muro di confine lungo 620 chilometri, attraverso fondi Ue e Onu, per rafforzare la divisione del nostro Paese e per impedire a molti rifugiati di raggiungere l’Europa.
Adesso stiamo assistendo alla rimozione di parti del muro da parte di carri armati, di soldati dello Stato turco e jihadisti per invadere le nostre città ed i nostri villaggi. Stiamo assistendo ad attacchi militari. Stiamo assistendo a come quartieri, villaggi, scuole, ospedali, il patrimonio culturale dei curdi, degli yazidi, degli arabi, dei siriaci, degli armeni, dei ceceni, dei circassi e dei turcomanni e di altre culture che qui vivono comunitariamente, vengono presi di mira dagli attacchi aerei e dal fuoco dell’artiglieria. Stiamo assistendo a come migliaia di famiglie sono costrette a fuggire dalle loro case per cercare rifugio senza avere un luogo sicuro dove andare.
Oltre a questo, stiamo assistendo a nuovi attacchi di squadroni di assassini di Isis in città come Raqqa, che era stata liberata dal terrore del regime dello Stato Islamico due anni fa con una lotta comune della nostra gente. Ancora una volta stiamo assistendo ad attacchi congiunti dell’esercito turco e dei loro mercenari jihadisti contro Serêkani, Girêsipi e Kobane. Questi sono solo alcuni degli incidenti che abbiamo affrontato da quando Erdogan ha dichiarato guerra il 9 ottobre 2019.
Mentre stiamo assistendo al primo passo dell’attuazione dell’operazione di pulizia etnica genocida della Turchia, assistiamo anche all’eroica resistenza delle donne, degli uomini e dei giovani che alzano la loro voce e difendono la loro terra e la loro dignità. Per tre giorni i combattenti delle Forze siriane democratiche, insieme alle YPG e alle JPY hanno combattuto con successo in prima fila per impedire l’invasione della Turchia e dei massacri. Donne e uomini di tutte le età sono parte di tutti gli ambiti di questa resistenza per difendere l’umanità , le acquisizioni e i valori della rivoluzione delle donne in Rojava. Come donne siamo determinate a combattere fino a quando otterremo la vittoria della pace, della libertà e e della giustizia. Per ottenere il nostro obiettivo contiamo sulla solidarietà internazionale e la lotta comune di tutte le donne e gente che ama la libertà“.
La richieste
– Fine dell’invasione e dell’occupazione della Turchia nella Siria del nord
– Istituzione di una No-Fly zone per la protezione della vita dela popolazione nella Siria del nord e dell’est
– Prevenire ulteriori crimini di guerra e la pulizia etnica da parte delle forze armate turche
– Garantire la condanna di tutti i criminali di guerra secondo il diritto internazionale
– Fermare la vendita di armi in Turchia
– Attuare sanzioni economiche e politiche contro la Turchia
– Adottare provvedimenti immediati per una soluzione della crisi politica in Siria con la partecipazione e la rappresentanza di tutte le differenti comunità nazionali, culturali e religiose in Siria.
Dalla Russia
Il Consiglio d’Europa e la Federazione Russa stanno lavorando su una futura cooperazione nel campo della violenza contro le donne e della violenza domestica. Claudia Luciani, direttrice di dignità umana, uguaglianza e governance, e Marta Becerra, a capo dell’unità per i progetti di capacità building e cooperazione, si sono riunite a Mosca, nella Federazione russa, per discutere della continuazione della cooperazione congiunta nell’area della violenza contro le donne e della violenza domestica.
Il Consiglio d’Europa, si legge in una nota, sta attualmente collaborando con la Federazione russa per attuare la sua strategia di azione nazionale per le donne 2017-2022. Questo lavoro è condotto nell’ambito di un progetto attuato dal Consiglio d’Europa, dal Ministero del lavoro e della protezione sociale, dall’Ufficio dell’Alto commissario per i diritti umani della Federazione russa e dal Ministero degli affari esteri. Il progetto ha una durata di 18 mesi, da novembre 2018 a maggio 2020.
Uganda e pena di morte per i gay
Il governo dell’Uganda ha annunciato nei giorni scorsi un progetto di legge che comminerebbe, in determinati casi, la pena di morte alle persone omosessuali, spiegando che sarebbe un deterrente al proliferare dei «rapporti contro natura» nel Paese. Lo racconta GayNews.it. Il tentativo è quello di riportare in auge un disegno di legge del 2009, opera di David Bahati e noto come Kill the Gays Bill: prevedeva infatti la pena di morte per le persone omossesuali recidive, sieropositive o che avessero avuto rapporto con persone dello stesso sesso di età inferiore ai 18 anni. Una proposta che era stata approvata dal Parlamento il 20 dicembre 2013 e firmata il 24 febbraio 2014 dal presidente Yoweri Museveni in una forma emendata – sostituendo cioè la pena di morte con quella della prigione a vita. Una legge poi dichiarata non valida dalla Corte Costituzionale 1° agosto 2014 perché approvata senza il quorum necessario.
“L’omosessualità non è naturale per gli ugandesi, ma c’è stato un massiccio reclutamento da parte di persone omosessuali nelle scuole, e in particolare tra i giovani, dove stanno promuovendo la falsità, secondo la quale le persone nascerebbero in quel modo”, dice il ministro dell’Etica e dell’Integrità Simon Lokodo alla Reuters. “La nostra attuale legge penale è limitata. Criminalizza solo l’atto. Vogliamo chiarire che chiunque sia anche coinvolto nella promozione e nel reclutamento deve essere criminalizzato. Coloro che compiono atti gravi saranno condannati a morte”. Lokodo ha affermato che il disegno di legge, che è sostenuto dal presidente Yoweri Museveni, verrà ripresentato in Parlamento nelle prossime settimane e dovrebbe essere votato entro la fine dell’anno.
In copertina Facebook/Radio Liberdade
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