20 ottobre 2025 – Notiziario Mondo

Scritto da in data Ottobre 20, 2025

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  • Gaza: riaprono i valichi per l’ingresso degli aiuti tra raid e violazioni dell’accordo
  • Yemen: sequestrato il rappresentante Unicef
  • Ucraina: cedere il Donetsk, questa la condizione di Mosca per terminare la guerra
  • Pakistan e Afghanistan: colloqui di pace in Qatar
  • Bolivia: eletto il nuovo presidente Rodrigo Paz
  • Corea: soldato nordcoreano diserta attraversando la linea fortificata
  • Francia: clamoroso furto al Louvre

Questo – e non solo – nel notiziario di Radio Bullets, a cura di Raffaella Quadri

Gaza

Dopo giornate di tensione e un blocco totale dei rifornimenti, Israele ha annunciato la riapertura dei valichi di frontiera con Gaza.

La decisione arriva in seguito alle pressioni dell’amministrazione Trump, che ha chiesto a Tel Aviv di revocare la sospensione degli aiuti umanitari e rispettare gli impegni presi nel cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti.

Secondo quanto riportato dalla testata americana Axios, funzionari israeliani hanno confermato che i convogli di aiuti riprenderanno a transitare in mattinata, permettendo l’ingresso di camion carichi di cibo, carburante e medicinali destinati alla popolazione palestinese.

Il blocco, durato meno di 48 ore, era stato motivato da Israele come risposta a una presunta violazione del cessate il fuoco da parte di Hamas.

Washington ha accolto con favore la riapertura, invitando entrambe le parti a preservare la fragile tregua e a collaborare per evitare una nuova escalation.

Missione diplomatica americana

Nelle prossime ore, secondo il Times of Israel, l’inviato speciale americano Steve Witkoff e il consigliere di Donald Trump Jared Kushner arriveranno in Israele per una missione diplomatica, mentre il vicepresidente J.D. Vance è atteso per martedì.

I tre incontreranno il primo ministro Benjamin Netanyahu e altri alti esponenti del governo israeliano.

L’obiettivo della visita è rafforzare gli sforzi di Washington per consolidare il cessate il fuoco a Gaza e rilanciare il dialogo politico nella regione.

Striscia di Gaza: una tregua fragile

Ma la tensione nella regione resta alta e tale è rimasta per tutta la giornata di domenica.

Secondo Israele, Hamas avrebbe compiuto un “atto di violazione palese” del cessate il fuoco.

L’esercito israeliano sostiene che i guerriglieri palestinesi avrebbero attaccato un mezzo militare israeliano a Rafah con un missile anticarro e colpi di arma da fuoco, violando i termini dell’accordo.

In risposta, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno lanciato una serie di raid aerei contro obiettivi nel sud della Striscia.

Il premier Benyamin Netanyahu ha ordinato di “agire con forza” dopo una riunione con il ministro della Difesa e i vertici militari.

Un susseguirsi di attacchi che colpiscono, ancora una volta, la popolazione civile di Gaza.

Secondo la protezione civile di Gaza, gli attacchi delle ultime ore hanno provocato almeno 45 morti, un bilancio aggiornato nel corso della giornata da fonti sanitarie locali e confermato poi anche da quattro ospedali della Striscia.

Tra le vittime ci sarebbero anche civili colpiti nel nord di Gaza, dove un bombardamento avrebbe centrato un gruppo di persone in fuga.

Da parte sua, Hamas nega qualsiasi violazione dell’accordo, sostenendo di non essere a conoscenza di scontri a Rafah e ribadendo il proprio impegno al rispetto della tregua.

In una nota diffusa dalle Brigate al-Qassam, l’ala militare del movimento, si legge che i contatti con i propri gruppi nella zona sarebbero interrotti da mesi a causa dell’occupazione israeliana.

Inoltre, nella giornata di domenica, Hamas ha comunicato di aver ritrovato il corpo di un altro ostaggio israeliano e di essere pronto a restituirlo “se le condizioni lo consentiranno”.

OMS e ONU

Intanto, sul fronte umanitario, la situazione a Gaza rimane drammatica.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha avvertito che le malattie infettive stanno sfuggendo al controllo: solo 13 dei 36 ospedali del territorio sono parzialmente operativi.

Tra le patologie più diffuse ci sono meningite, diarrea e infezioni respiratorie, aggravate dalla scarsità di acqua potabile e dal sovraffollamento dei rifugi.

Anche il World Food Programme (WFP) dell’ONU lancia un nuovo appello.

“Dobbiamo inondare Gaza di cibo” ha dichiarato la portavoce del Programma Alimentare Mondiale, Abeer Etefa, in un briefing da Ginevra.

Attualmente operano soltanto cinque punti di distribuzione alimentare, ma l’obiettivo è di arrivare a 145 centri attivi nelle prossime settimane.

Ogni giorno entrano circa 560 tonnellate di cibo, ancora insufficienti rispetto ai bisogni di una popolazione stremata da mesi di fame.

Francia e Arabia Saudita: “soluzione dei due Stati”

Sul piano diplomatico, anche Francia e Arabia Saudita rilanciano la pace.

La crisi della Palestina è stata al centro di una telefonata tra il presidente francese Emmanuel Macron e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.

I due leader hanno discusso della necessità di porre fine alla guerra nella Striscia di Gaza e di rilanciare un percorso di pace stabile per il Medioriente.

Secondo l’agenzia saudita SPA, Macron e bin Salman avrebbero convenuto sull’urgenza di alleviare le sofferenze del popolo palestinese e sull’importanza di ottenere un ritiro israeliano completo dai territori occupati.

Entrambi hanno riaffermato il proprio impegno per una “soluzione dei due Stati”, vista come unica via per una pace giusta e duratura.

La conversazione ha toccato anche la cooperazione bilaterale tra Parigi e Riad in campo economico e di sicurezza, in un contesto regionale sempre più instabile.

Yemen: sequestrato il rappresentante Unicef

E mentre gli occhi del mondo restano puntati su Gaza, arriva una nuova crisi dallo Yemen.

I ribelli Houthi hanno fatto irruzione nel complesso delle Nazioni Unite a Sanaa, sequestrando venti dipendenti, tra cui il rappresentante dell’Unicef, il britannico Peter Hawkins.

Secondo fonti delle Nazioni Unite, quindici degli ostaggi sono funzionari internazionali, mentre cinque sono dipendenti locali.

Le motivazioni del sequestro non sono ancora chiare, ma l’ONU ha espresso “profonda preoccupazione” e ha chiesto il rilascio immediato e incondizionato del proprio personale.

Ucraina

Foto: Casa Bianca

Tutto comincia nella serata di sabato 18 ottobre, quando il Washington Post rivela che Vladimir Putin ha chiesto a Donald Trump che l’Ucraina ceda il pieno controllo della regione del Donetsk.

Questa sarebbe, per Mosca, la condizione per porre fine alla guerra.

Secondo fonti americane, il Cremlino mira alla conquista definitiva del Donbass.

Una richiesta che Putin porta avanti da oltre undici anni senza mai essere riuscito a completarla con la forza.

Il Donetsk, però, è considerato da Kiev un punto difensivo strategico, capace di bloccare eventuali avanzate russe verso ovest, fino alla capitale.

Nonostante gli sforzi diplomatici e le pressioni occidentali, il leader russo non pare voler arretrare di un passo.

Unione Europea: accanto agli ucraini

Intanto Bruxelles apre a un corridoio aereo per Putin per giungere in Ungheria.

Nelle stesse ore, l’Unione Europea fa sapere che i Paesi membri potranno autorizzare deroghe individuali al divieto di volo imposto ai velivoli russi.

Un portavoce della Commissione europea ha spiegato che spetta ai singoli governi decidere se aprire un corridoio aereo per consentire a Putin di atterrare a Budapest, dove è previsto il prossimo vertice con Trump.

Il divieto di viaggio formale resta in vigore, ma il presidente russo potrà comunque raggiungere il summit se uno degli Stati Membri concederà un’autorizzazione speciale.

Che vi sia la necessità di arrivare a un accordo di pace, non facendo perdere però l’appoggio europeo a Kiev, lo sostiene anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz.

Sabato, intervenendo dopo una telefonata con Volodymyr Zelensky e i principali leader occidentali – Emmanuel Macron, Keir Starmer, Mark Rutte, Ursula von der Leyen e António Costa – ha dichiarato che “ora l’Ucraina ha bisogno di un piano di pace”.

Merz ha sottolineato la volontà di Berlino e dei partner europei di “aumentare la pressione su Mosca” e di continuare a sostenere Kiev in ogni modo possibile.

Un messaggio che suona come un avvertimento preventivo alla Casa Bianca.

Stati Uniti – Ucraina

E proprio prima alla Casa Bianca poi a Washington, si è consumato lo scontro frontale tra Trump e Zelensky.

Secondo il Financial Times, il faccia a faccia tra il presidente americano e quello ucraino si sarebbe trasformato in una vera e propria lite, scandita da toni durissimi e da reciproche accuse.

Trump avrebbe intimato al leader ucraino di accettare le condizioni di Putin, avvertendolo che, in caso contrario, la Russia “avrebbe distrutto l’Ucraina”.

Una frase che, se confermata, equivarrebbe a un vero e proprio ultimatum, allineato alla linea del Cremlino.

Il Washington Post aggiunge poi che, in un colloquio privato, Putin avrebbe chiesto personalmente a Trump di farsi garante della cessione del Donbass, gettando un’ombra lunga sul prossimo vertice di Budapest.

Tuttavia, nonostante lo scontro con Trump, Zelensky si dice “pronto ad andare a Budapest”.

Definisce il suo diretto avversario “un terrorista”, ma ribadisce anche come un pace giusta e duratura richieda il dialogo.

Polonia e le reazioni europee

La notizia dello scontro tra Trump e Zelensky ha provocato immediate reazioni in Europa.

Il premier polacco Donald Tusk ha scritto su X che nessun paese dovrebbe fare pressione su Zelensky quando si tratta di concessioni territoriali.

Piuttosto si dovrebbe fare pressione sulla Russia perché cessi la sua aggressione.

Arrivare a un accordo politico, al prezzo però di gravi concessioni “non è mai stata la strada per una pace giusta e duratura” ha affermato Tusk.

Il premier polacco riflette il timore di molti governi europei: che la Casa Bianca stia aprendo alla pace a condizioni russe, minando l’unità dell’alleanza occidentale.

Tornato da Washington, con il no di Trump alla fornitura di missili Tomahawk, Zelensky ha ribadito che “Putin non può essere fermato con le parole: è necessaria la pressione”.

E ha aggiunto che “l’Ucraina non concederà mai ai terroristi alcuna ricompensa per i loro crimini”.

Ancora una volta il presidente ucraino ha chiesto “passi decisivi” da Stati Uniti, Europa, G20 e G7, invitando a rafforzare la difesa aerea e le sanzioni contro il Cremlino.

Raid russi e attacchi ucraini

Intanto, la guerra sul terreno non rallenta.

Quasi ogni giorno si susseguono centinaia di attacchi russi contro le infrastrutture civili ucraine, denuncia Zelensky.

Solo nell’ultima settimana, l’Ucraina è stata colpita da oltre tremila droni, più di mille bombe aeree guidate e quasi cinquanta missili.

Il presidente parla di un’offensiva su larga scala e ricorda come il piano congiunto per potenziare la difesa aerea e l’industria militare sarà cruciale nei prossimi mesi.

Nelle stesse ore, però, Kiev rivendica un attacco con droni contro un impianto di gas russo a Orenburg, nella regione ai confini con il Kazakhistan.

L’impianto, che già subisce le sanzioni europee, è uno dei più grandi del paese ed è stato colpito da un incendio dopo l’esplosione.

È collegato alla joint venture russo-kazaka KazRosGaz e produce fino a 45 miliardi di metri cubi di gas l’anno.

L’operazione si inserisce in una campagna mirata contro le infrastrutture energetiche russe.

Pakistan e Afghanistan

Dopo settimane di escalation militare lungo il confine, Pakistan e Afghanistan hanno avviato a Doha un nuovo ciclo di colloqui di pace, mediati dal Qatar.

Le due delegazioni – guidate dai ministri della Difesa Khawaja Asif per Islamabad e Mohammed Yaqoub per Kabul – hanno discusso il cessate il fuoco dopo gli attacchi aerei pakistani che avevano provocato almeno 10 morti.

Poche ore più tardi, nella notte di domenica, Doha ha annunciato un accordo per una tregua immediata e la creazione di un meccanismo di stabilizzazione permanente tra i due paesi.

Cina

La Cina ha annunciato la volontà di avviare nuovi colloqui commerciali con gli Stati Uniti il prima possibile, per evitare una nuova guerra dei dazi.

L’annuncio è arrivato dopo una videochiamata tra il vicepremier cinese He Lifeng e il segretario al Tesoro americano Scott Bessent.

L’obiettivo è di rilanciare la cooperazione economica tra le due maggiori economie del pianeta e riportare stabilità nei mercati globali.

Sudafrica

Si è chiusa la due giorni del G20 Ambiente e Clima, presieduta dal Sudafrica, con l’adozione di due documenti storici:

  • “Cape Town Declaration on Crimes that Affect the Environment”
  • “Cape Town Declaration on Air Quality”

I ministri hanno riconosciuto il diritto a respirare aria pulita come diritto umano fondamentale e ribadito che la tutela degli ecosistemi è indissolubilmente legata alla giustizia e allo stato di diritto.

Le conclusioni saranno ora inviate ai leader del G20, che si riuniranno a Johannesburg il 22 e 23 novembre.

Bolivia

Rodrigo Paz vince le elezioni presidenziali in Bolivia.

Lo spoglio è ancora in corso – mentre scriviamo è stato scrutinato il 97% dei voti – ma i dati mancanti non potrebbero ribaltare la situazione.

Con il 54,54% dei consensi, l’esponente del Partito Cristiano Democratico è diventato il nuovo presidente boliviano.

Mentre l’ex presidente Jorge Quiroga, candidato dell’alleanza di destra Libertà e Democrazia, si è fermato al 45,46%.

Argentina

La ex presidente dell’Argentina Cristina Fernández de Kirchner, ancora agli arresti domiciliari per corruzione, ha accusato l’attuale capo di Stato Javier Milei di aver “ceduto il controllo dell’economia a Donald Trump”.

Secondo Kirchner, il governo avrebbe consentito al Tesoro americano di intervenire sui mercati argentini “per permettere la fuga di capitali speculativi”.

La leader peronista ha definito la situazione “una scelta tra dipendenza e sovranità”, in vista delle elezioni legislative del 26 ottobre.

Colombia

Foto: @infoPresidencia

Il presidente della Colombia Gustavo Petro ha invitato l’ex comandante del Comando Sud americano, l’ammiraglio Alvin Holsey, a diventare suo consigliere personale per la sicurezza regionale.

Petro ha definito Holsey “un eroe” dopo le sue dimissioni, ritenute un atto di protesta contro i bombardamenti statunitensi su imbarcazioni civili sospettate di narcotraffico.

L’obiettivo dichiarato di Petro è “liberare i Caraibi dalle mafie” e impedire che la regione “diventi una zona di guerra”.

E intanto sale la tensione con Washington, dopo che Donald Trump ha definito il presidente Petro “il leader dei narcos” e lo ha accusato di incoraggiare la produzione di droga, annunciando il taglio di tutti gli aiuti americani a Bogotà.

Petro ha replicato duramente, autodefinendosi il principale nemico del narcotraffico in Colombia e dichiarando che Trump è stato “ingannato dai suoi consiglieri”.

La crisi si inserisce in un contesto già teso, con un massiccio dispiegamento navale statunitense nei Caraibi e nuovi attacchi contro presunte navi del narcotraffico.

Bogotà parla di “violazione della sovranità”, mentre Washington difende le proprie operazioni come “azioni di sicurezza internazionale”.

Venezuela

Il presidente del Venezuela Nicolás Maduro ha dichiarato completato il dispiegamento del piano civico-militare “Indipendenza 200”, concepito per fronteggiare un’eventuale aggressione degli Stati Uniti.

Secondo il governo, oltre 6,2 milioni di cittadini sono iscritti alla Milizia Bolivariana.

Maduro ha denunciato come “minacce dirette” le recenti operazioni militari americane nel Mar dei Caraibi, sostenendo che Washington voglia “impadronirsi delle risorse venezuelane”.

Corea del Sud

Un soldato nordcoreano ha disertato attraversando la linea di demarcazione militare – una delle frontiere più sorvegliate e minate al mondo – per rifugiarsi in Corea del Sud.

Lo Stato Maggiore di Seul ha confermato che l’uomo è stato “guidato e preso in custodia” dai militari sudcoreani.

Le defezioni dirette attraverso la zona demilitarizzata che separa le due Coree sono rare: la maggior parte dei fuggitivi sceglie rotte più lunghe passando dalla Cina o dal sud-est asiatico.

Francia

Foto: Eliseo

Clamoroso colpo, domenica mattina, al Museo del Louvre di Parigi, dove una banda di ladri ha messo a segno un furto dal bottino dal valore inestimabile.

La banda ha rubato otto pezzi appartenenti alla collezione dei gioielli di Napoleone e dell’imperatrice Eugenia.

Secondo i media francesi, i criminali – almeno tre, forse quattro – sarebbero entrati dal lato della Senna, approfittando di lavori in corso.

Utilizzando un montacarichi da traslochi sarebbero poi riusciti a raggiungere direttamente la Galleria d’Apollon, dove hanno agito in appena sette minuti.

Armati di mini-motoseghe, hanno tagliato le vetrine e prelevato i preziosi, per poi darsi alla fuga a bordo di scooter, scatenando il panico tra i visitatori del celebre museo.

Il ministro dell’Interno della Francia Laurent Nuñez ha parlato di “una rapina importante”, riconoscendo “una grande vulnerabilità nei musei francesi”.

Ha assicurato però che “verrà fatto ogni sforzo per identificare i responsabili.

La Procura di Parigi ha aperto immediatamente un’inchiesta per furto organizzato e associazione a delinquere, affidata alla Brigata anticrimine con il supporto dell’Ufficio centrale per la lotta al traffico di beni culturali.

Mentre in serata è intervenuto anche il presidente Emmanuel Macron, che era stato costantemente aggiornato sull’evolversi della situazione.

Il presidente ha definito il furto “un attacco a un patrimonio che è la nostra Storia” e ha promesso che “le opere saranno ritrovate e i responsabili portati davanti alla giustizia”.

Il progetto di ristrutturazione “Louvre Nouvelle Renaissance”, ha aggiunto, sarà rafforzato anche sul piano della sicurezza, “per proteggere la memoria e la cultura della Francia”.

 

Foto di copertina: Unicef

 

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