4 novembre 2019 – Notiziario in genere

Scritto da in data Novembre 4, 2019

Niger: le madri come migliore risorsa contro la malnutrizione infantile. L’aborto uccide ancora le donne. A Panama non si placano le proteste per la legge di riforma costituzionale che impedirebbe, di fatto, qualsiasi tentativo di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. E infine ecco il il videogioco che parla a ragazzi e ragazze di discriminazione, odio e bullismo online.

Il webnotiziario in Genere di Radio Bullets, a cura di Lena Maggiaro e con la voce al microfono di Barbara Schiavulli.

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Niger

Le madri come migliore risorsa contro la malnutrizione infantile. Quasi un milione e duecentomila persone soffrono di insicurezza alimentare in Niger. Sono più di 380mila, scrive Monica Pinna su Euronews, i bambini in stato di malnutrizione severa acuta. E 38mila bambini sotto i cinque anni muoiono ancora ogni anno nel Paese per motivi legati proprio alla malnutrizione. Chiya Habou è un villaggio nella regione di Zinder, la zona il tasso più alto di malnutrizione globale nel paese. Qui oltre il 19% dei bambini tra i sei mesi e i cinque anni soffrono o di malnutrizione severa acuta o di malnutrizione severa moderata. La soglia di crisi fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità è del 15%.

A Chiya Habou, si legge ancora su Euronews, le mamme vengono formate su come misurare la circonferenza del braccio superiore, in inglese MUAC, per diagnosticare la malnutrizione prima che superi un livello di non ritorno. L’ong Alima ha iniziato questo progetto sei anni fa nel distretto di Mirriah. Ora questo metodo non è più sperimentale: è applicato nel resto del Niger e persino oltre confine. “In Niger abbiamo formato circa un milione e 650mila madri: 540mila sono qui nel distretto di Mirriah. Il principale vantaggio è la diagnosi precoce per evitare l’ospedalizzazione”, spiega a Euronews Ahmad Ag Mohamed, coordinatore medico di Alima.

Rouma Hakilou è tra le madri del villaggio che utilizzano il MUAC già da qualche anno. La figlia Sharifa, un anno, soffre di malnutrizione acuta moderata e Rouma le misura il perimetro del braccio costantemente, in modo che possa essere curata invece di peggiorare. “Abbiamo un campo da coltivare, ma non produciamo abbastanza, quindi abbiamo bisogno di comprare del cibo, ma i soldi non ci bastano mai. Tra i miei otto figli, tre hanno sofferto di malnutrizione”, spiega Rouma.

Ogni due settimane Rouma percorre i 12 chilometri che la separano dall’ambulatorio di Gafati. Qui i bambini affetti da malnutrizione come sua figlia ricevono supplementi alimentari ad hoc e vengono monitorati dalle otto alle dodici settimane. I monitoraggi effettuati dalle madri, si legge ancora su Euronews, hanno fatto impennare il numero dei pazienti con malnutrizione severa moderata negli ambulatori locali come questo.

“I casi di malnutrizione severa acuta, nei primi sei mesi dell’anno, sono diminuiti del 13% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso”, dice ancora Ahmad Ag Mohamed. I monitoraggi operati dalle mamme per il momento non hanno avuto però impatto a livello nazionale, rileva Euronews. Il numero di bambini malnutriti è rimasto pressoché invariato negli ultimi anni. “Registriamo tra otto e 9mila casi di malnutrizione severa acuta all’anno. Il mese peggiore è settembre, quando riceviamo una media di mille e duecento bambini”, spiega Hawaou Ousmane, capo-infermiera dell’ospedale di Zinder.

L’aborto uccide ancora le donne

È il settembre del 2011 quando Claire Fotheringham, ostetrica australiana al suo primo incarico con Medici senza Frontiere, arriva in Sierra Leone. “Entrando nell’affollato reparto maternità dell’ospedale – racconta sul sito dell’ONG – ero del tutto impreparata a quello che avrei dovuto affrontare. Donne a un passo dalla morte, che arrivavano con serie complicanze come emorragie gravi e shock settico. In sala operatoria, visitando molte di loro, riscontravo lesioni alla cervice dell’utero causate da oggetti appuntiti utilizzati per interrompere le gravidanze. Tutti esempi di aborti non sicuri che avevano provocato lesioni terribili”. In quel contesto, “mi sono resa conto – prosegue – della disperazione che spingeva queste donne ad affrontare un’esperienza simile, e di quanto limitate fossero le loro alternative. Erano disposte a ricorrere a qualsiasi mezzo per porre fine alla gestazione pur conoscendo l’enorme rischio per la propria vita”.

Come ricostruisce Voci Globali, ogni anno, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), vengono praticati nel mondo 25 milioni di aborti non sicuri. Il 97% nei Paesi in via di sviluppo. Il fenomeno, precisa MSF, rappresenta una delle prime 5 cause dirette di mortalità materna. Ben 22mila donne perdono annualmente la vita in seguito a un aborto non sicuro. Mentre 7 milioni soffrono di conseguenze fisiche a lungo termine.

L’“aborto non sicuro”, in base alla definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, indica “ogni intervento effettuato in un ambiente privo degli standard medico-sanitari minimi ovvero da personale non qualificato” che si avvale di “metodi pericolosi, come: l’ingestione di sostanze caustiche, l’inserimento di corpi estranei o l’uso di intrugli tradizionali”, si legge ancora su Voci Globali. I fattori che determinano il ricorso a tale pratica sono molteplici e non necessariamente legati alla presenza di leggi nazionali che vietano tout court l’interruzione volontaria di gravidanza.

Certo, nei Paesi in cui vige un divieto assoluto di aborto – 26 per precisione, 3 dei quali in Europa (Andorra, Malta e San Marino) – la donna non ha altra scelta se non quella di ricorrere a un intervento clandestino che, nella maggior parte dei casi, si traduce in un’operazione rischiosa per la sua salute e in una potenziale denuncia penale a suo carico. In El Salvador, ad esempio, il personale medico è obbligato a segnalare alle autorità di polizia le pazienti giunte in ospedale per un’emergenza ostetrica.

Secondo il report “Excluidas, Perseguidas, Encarceladas“, dell’organizzazione non-profit Center for Reproductive Rights, la legge equadoregna è applicata in maniera talmente rigida che “sorge una presunzione di colpevolezza ogniqualvolta una donna arriva in pronto soccorso con un’emorragia [ginecologica]” a prescindere se l’aborto sia stato (o meno) spontaneo.
Richiedere assistenza sanitaria in contesti culturali ostili verso l’aborto non è affatto semplice.

Nelle Filippine, rileva il Guttmacher Institute, le donne sono molto restie a chiedere aiuto perché “provano vergogna o si sentono intimidite dagli operatori sanitari. Può anche succedere che le cure post abortive vengano negate o effettuate senza la somministrazione di antidolorifici e anestesia”, si legge ancora su Voci Globali. Lo stesso Istituto conferma, inoltre, che laddove l’IVG è proibita si registrano i più alti tassi di aborti non sicuri.

Nella Repubblica Domenicana, si legge nel report “It’s Your Decision, It’s Your Life” di Human Rights Watch, “ogni anno, circa 25.000 pazienti vengono curate per complicanze derivanti da aborti insicuri“. Si tratta, per lo più, di donne e ragazze poco abbienti. “Se sei povera – dice un medico domenicano – sei finita. Se hai denaro, invece, puoi permetterti un aborto sicuro ovunque”.

Lo stesso discorso vale per i Paesi dove l’IVG è legale solo in specifiche e limitatissime circostanze, scrive ancora Voci Globali. In 39 Stati del mondo è possibile abortire se la gravidanza costituisce un grave pericolo per la vita della madre. 56 Nazioni consentono l’aborto anche per preservare la salute fisica e/o mentale della donna incinta. E queste leggi, già di per sé poco permissive, vengono anche interpretate in modo restrittivo, finendo con l’alimentare il mercato nero dell’aborto.

Proteste a Panama

A Panama non si placano le proteste per la legge di riforma costituzionale che impedirebbe, di fatto, qualsiasi tentativo di legalizzare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In prima linea, si legge su GayNews, gli studenti universitari della capitale che, mentre cercavano di forzare il cordone di polizia nell’area della sede all’Assemblea Nazionale, hanno lanciato razzi contro gli agenti. Successivamente sono scoppiati incidenti all’Università di Panama, dove gli studenti hanno eretto barricate e lanciato pietre contro la polizia.

Le forze dell’ordine hanno reagito con spray al peperoncino ed effettuato almeno 47 arresti. Tra le persone tratte in carcere ci sono il noto giornalista Franklyn Robinson e Richard Morales, candidato sfidante di Laurentino Cortizo Cohen alle presidenziali del 1° luglio scorso, nonché alcuni minorenni. Anche diversi studenti dell’Università cattolica di Santa María la Antigua sono sotto custodia della polizia.

L’ondata di protesta è montata martedì scorso all’indomani dell’approvazione da parte del Parlamento unicamerale del progetto di riforma della Costituzione del 1972. Inizialmente, si legge ancora su GayNews, questa riforma era stata oggetto di ampio consenso tra forze politiche e valutata positivamente in riferimento tanto al rafforzamento delle istituzioni quanto alla lotta alla corruzione.

Ma i deputati hanno fortemente modificato il testo originale, includendo anche un articolo che impedisce la futura legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso (attualmente non riconosciuto a Panama) e conferisce poteri molto più ampi al Parlamento. Tali emendamenti hanno suscitato rabbia, soprattutto, tra sindacati, associazioni umanitarie e movimento Lgbti al punto tale che lo stesso neo-presidente della Repubblica Laurentini Cortizo ha ieri dichiarato: «Non permetterò che un articolo o chicchessia semini zizzania tra i panamensi».

https://twitter.com/anon_candanga/status/1189541452470247425

Il 30 ottobre lo stesso capo di Stato era già intervenuto stigmatizzando commenti e dichiarazioni omotransfobiche di alcuni parlamentari. «Rispetto la separazione dei poteri – così in un tweet – ma il rispetto è bidirezionale. Chiedo ai deputati di misurare le loro parole. La tolleranza verso le le differenze e il rispetto della dignità umana nel mio governo non sono negoziabili. Panama appartiene a tutti».

HateSick – I viaggi di Alter

È stato presentato in questi giorni al Lucca Comics and Games 2019, con Luciano Spinelli, testimonial di Amnesty International Italia, “HateSick – I viaggi di Alter”, è il videogioco che ha l’obiettivo di parlare ai ragazzi di discriminazione, odio e bullismo online in modo non didascalico. Lo riporta un comunicato stampa di Amnesty International.

Alter, il protagonista di questa avventura punta e clicca sviluppata insieme a Steam Factory, è catapultato in un pianeta dove l’intolleranza ha preso il sopravvento a causa delle parole d’odio, propagate in modo costante. Riuscirà, nel tentativo di tornare a casa, ad aiutare i personaggi che popolano questo mondo, emarginati e isolati dalla comunità non appena percepiti come “diversi”.

Il videogioco, arricchito da ambientazioni e musiche retrò, pensato fin dall’inizio coinvolgendo in modo diretto bambini e adolescenti sugli aspetti grafici, la musica, la trama, i dialoghi, è solo l’ultimo degli strumenti realizzati da Amnesty International Italia per contrastare l’odio online e l’hate speech, come il Barometro dell’odio, il Tavolo odio e la Task force hate speech, monitoraggi dei social network con l’ausilio di centinaia di attivisti e spazi di confronto costante sul tema tra organizzazioni ed esperti.

Luciano Spinelli è stato scelto da Amnesty International Italia come testimonial della campagna contro i discorsi d’odio online e il cyberbullismo, tema a lui da sempre caro, anche alla luce della sua esperienza personale. Classe 2000, volto amatissimo della Generazione Z, Spinelli ha pubblicato il suo primo video su YouTube a dicembre del 2015, ottenendo da subito un grande successo. Il suo canale vanta oggi quasi 600.000 iscritti. Proclamato nel 2017 Muser of the Year è – con 7 milioni di follower su TikTok – il più seguito in Italia e tra i più seguiti a livello mondiale. Nel 2018 e nel 2019 viene nominato ai Kid’s Choice Awards come webstar italiana preferita. Il suo account Instagram ha superato un milione e mezzo di follower e può vantare una delle fanbase più attive e fedeli.

Al Lucca Comics and Games Amnesty International Italia è stata presente anche coi colori, le parole e le immagini dei laboratori di Lucca Junior, per celebrare il 30° anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Attraverso gli albi illustrati e la caccia al tesoro, i bambini hanno scoperto storie per aprire nuovi mondi, ponti verso l’immaginario e la creatività, per considerare anche i punti di vista dell’altro e i diritti umani come valori concreti e reali.

È possibile giocare gratis con “HateSick” direttamente dal sito di Amnesty International.

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