Antenne dritte sulla sicurezza alimentare

Scritto da in data Novembre 21, 2018

Da un noto laboratorio di ricerca statunitense arriva l’idea di creare un sistema che sia scalabile e facile da usare per capire se i cibi e le bevande che acquistiamo siano puri o alterati da sostanze contaminanti. Una sorta di strumento di analisi “prêt-à-porter”. Raffaella Quadri per Radio Bullets. Musiche di Walter Sguazzin

Photo credit: Unsoo Ha & Fadel Adib (Mit Media Lab).

 

Controllare sempre la data di scadenza e gli ingredienti. Una buona abitudine che molti di noi hanno, infatti come consumatori siamo diventati più attenti ed esigenti. Ma questo non basta certo a capire cosa mettiamo sulle nostre tavole. Perché con tutta la buona volontà che ci si possa mettere, non siamo in grado di controllare cosa ci sia davvero a livello chimico nei cibi e nelle bevande che consumiamo, tanto meno siamo in grado di capire se gli alimenti siano contaminati.

Esistono tecnologie capaci di analizzare i cibi, sensori e rivelatori che ci possono dire se un alimento sia fresco o se, per qualche motivo, sia stato alterato, ma sono tecnologie costose, sofisticate e che svolgono in sostanza analisi chimiche.

Molto meglio sarebbe avere una tecnologia semplice da usare, alla portata di tutti e che ci possa dire nell’arco di pochi istanti se possiamo fare i nostri acquisti in tranquillità. Ed è proprio   la questione che si sono posti anche alcuni ricercatori del Mit Media Lab di Cambridge, vicino a Boston (USA), che hanno pensato di partire da una tecnologia ormai ampiamente utilizzata.

 

Sono ricorsi quindi all’Rfid (radio frequency identification), l’identificazione a radiofrequenza. Si tratta di dispositivi che utilizzano le onde radio per leggere e decodificare le informazioni poste su tag, ovvero etichette elettroniche dotate di microchip e di un’antenna, che contengono tali informazioni e che sono applicate su confezioni e oggetti.

L’impulso radio del dispositivo Rfid manda un segnale al tag che si attiva ed emette, a sua volta, un segnale di risposta. I ricercatori hanno giocato proprio su questo segnale di ritorno, in quanto le onde elettromagnetiche emesse dal tag, presente su un contenitore, subiscono una lieve distorsione provocata dal passaggio attraverso le molecole di ciò che vi è contenuto. Accade quindi che se la struttura chimica di tale contenuto, per qualche ragione, dovesse mutare, a cambiare sarebbe anche il segnale di risposta del tag. La presenza di contaminanti in un dato prodotto, dunque, potrà essere rilevata grazie al segnale distorto del tag. In pratica, come hanno spiegato al Mit: cambia la proprietà del materiale, cambia di conseguenza la proprietà del segnale.

 

Appurato questo, i ricercatori hanno classificato le distorsioni di alcuni materiali puri e degli stessi materiali però alterati con contaminanti e in differenti percentuali, insegnando al computer che riceve le informazioni dal dispositivo a riconoscere ogni segnale, in modo da identificare le condizioni dei materiali. L’intero sistema è stato chiamato Rfiq (radio frequency IQ).

Nei test sono stati utilizzati due prodotti: alcol puro e contaminato con metanolo, e latte in polvere per neonati anch’esso puro e contaminato, invece, con melamina.

I risultati sono stati ottimi, la precisione del sistema è stata rispettivamente del novantasette e novantasei per cento.

 

Inoltre, per sopperire al fatto chi i tag Rfid utilizzino solo una larghezza di banda molto stretta – circa novecentocinquanta megahertz – i ricercatori hanno applicato un loro sistema che, usando due frequenze diverse per l’attivazione e per il rilevamento, permette di misurare una gamma molto ampia di frequenze.

Ora gli studiosi stanno strutturando il sistema perché riesca a considerare nelle misurazioni altre variabili che possono essere presenti e influenzare le rilevazioni, come la forma del contenitore, e perché impari a classificare altri materiali e sostanze contaminanti.

In definitiva, con questa idea l’intento è di mettere nelle mani di tutti noi consumatori un sistema wireless che ci permetta di effettuare dei personali rilevamenti sulla sicurezza alimentare, mentre facciamo la spesa o a casa, quando apriamo il frigorifero e la mozzarella comprata a giugno ci saluta… ma forse, in quel caso, l’Rfiq non serve neanche.

 

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