Attacco alla sicurezza
Scritto da Barbara Schiavulli in data Ottobre 18, 2018
Afghanistan, Giorno 2 -I talebani colpiscono il cuore della sicurezza afgana e uccidono il capo della polizia (in copertina), il governatore e il capo dell’intelligence della provincia di Kandahar, a due giorni dalle elezioni parlamentari. Poi talebani avvertono la gente di non andare a votare. Vincerà la paura o la voglia di votare contro la paura?
Barbara Schiavulli da Kabul per Radio Bullets
Un attentato senza precedenti. A due giorni dalle elezioni parlamentari i talebani hanno messo a segno un colpo che ha lasciato gli afgani sotto shock. Ma per capire bisogna lasciare la capitale, che sembra quasi in festa in vista del voto, piena di facce, colori, belle promesse e scendere nel sud, in quell’Afghanistan che non è mai stato lasciato dai talebani, che fanno il bello e il cattivo tempo tra la gente. Ma questa volta hanno dimostrato qualcosa di più: di poter arrivare nel cuore della sicurezza del potere e di poterlo annientare.
Per anni gli americani e le forze di sicurezza afgane hanno cercato di conquistare la terra dei pashtun, senza un reale successo se non quello di incollare di più gli abitanti alla forza dei talebani. Hanno messo le persone giuste al posto giusto, hanno nascosto la faccia di fronte a qualsiasi sopruso pur di strappare quel territorio. Oggi c’era un’importante riunione a Kandahar, capitale della provincia di Helmand, la roccaforte dei talebani. Presenti il governatore Zalmai Weesa, nella cui residenza si svolgeva la riunione, il capo dell’intelligence provinciale Abdud Mohmin e il capo della polizia di Kandahar, il famigerato Abdul Raziq, che una nostra fonte vicino al palazzo presidenziale ha definito “corrotto, brutale, super antitalebano e divertente”. Ma quello che conta è che Raziq sia un uomo degli americani, accusato dalle organizzazioni umanitarie di aver rubato i soldi degli aiuti dati dagli Stati Uniti e di aver torturato e giustiziato i prigionieri. Un passato da signore della guerra, per quanto giovane – 39 anni – che ha subito innumerevoli attentati. Ma era contro i talebani, disposto a qualsiasi cosa e questo bastava.
Presente alla riunione anche il capo delle forze americane della Nato, il generale Scott Miller. Avevano finito. Erano più o meno le tre del pomeriggio, se ne stavano andando verso l’elicottero quando le guardie d’élite del governatore hanno aperto il fuoco. Una battaglia durata un’ora. Una strage. Tranne il generale americano, che si è salvato, sono morti tutti. Un colpo alla sicurezza afgana senza precedenti, appunto. Feriti anche tre americani, due contractor e un soldato, ha detto il portavoce della Nato in Afghanistan, il colonnello Knut Peters. “Il generale Miller non è ferito”, ripete Peters a ogni giornalista che chiama. Le notizie arrivano alla spicciolata mentre a Kabul cala la sera, cala anche il silenzio per una vicenda politica che non può non avere conseguenze. Con una domanda fondamentale: come sia stata possibile una falla nella sicurezza tanto grande.
La sicurezza è uno dei temi principali di tutti i candidati, quella sicurezza che neanche le persone che la dovrebbero garantire riescono ad avere. “Il primo problema da risolvere in questo Paese è la sicurezza”, ci dice Safia Sadiqi, poetessa e parlamentare. Lo stesso pensa la gente. “Viviamo nella paura”, ci dice Abdallah, che ha un negozietto in uno dei quartieri di Kabul più colpiti negli ultimi tempi, perché abitato da un’etnia afgana sciita, gli azara, considerati dall’Isis non musulmani veri. Il suo negozio è davanti alla moschea, che hanno sistemato dopo che l’anno scorso un uomo si è intrufolato facendosi esplodere. “Vogliamo una vita normale, lavorare, avere una famiglia, studiare, sono quarant’anni che ci uccidono”, incalza Muhammad che vende mele e non nega che ogni giorno scaccia la paura di lavorare al mercato, uno dei posti preferiti degli attentatori.
Intanto i talebani gongolano, hanno chiesto nei giorni scorsi e lo hanno detto a gran voce oggi, che non si deve andare a votare. Il portavoce dei talebani della regione meridionale Qari Yousuf Ahmadi ha rivendicato l’attacco. Ha detto che l’obiettivo era anche il generale Miller.
La sicurezza sul posto era alta, Razik era un uomo potente nel sud, alleato degli americani che governava Kandahar con durezza. L’ultimo attentato l’anno scorso aveva causato la morte di cinque diplomatici degli Emirati.
In vista delle elezioni che si terranno sabato l’allerta è altissima, la città è stata divisa, centinaia di soldati dispiegati, polizia, militari stranieri che supervisionano e nel caso pronti a intervenire, presenza fino al 21 per permettere che le schede raggiungano il centro di spoglio. Il quartiere generale della commissione elettorale è ritenuta un obiettivo ad alto rischio. E mentre i talebani dicono “Non andate”, il presidente Ghani invita la gente a votare per dimostrare che la democrazia vince sulla violenza. Ma la gente sembra ferma. Vivono nella paura, votare non sarà che un giorno in più in un Paese dove si può saltare in aria in qualsiasi momento. I talebani hanno minacciato i seggi, hanno minacciato gli insegnanti e gli studenti che permetteranno che le scuole siano usate come stazioni di voto. E non è neanche stato l’unico attacco: oggi vicino a Kabul è stato colpito un convoglio militare della Nato, causando la morte di due civili e il ferimento di cinque soldati cechi.
Questo reportage è stato realizzato grazie al sostegno di ascoltatori e ascoltatrici, amiche e amici di Radio Bullets