Gaza, guerra e disabilità
Scritto da Angela Gennaro in data Maggio 23, 2025
È qui per raccontare la sua storia e non si tira indietro.
Susan Al Amassi ha occhi profondi, un sorriso che affiora nonostante tutto, un velo bianco sui capelli e uno di malinconia sugli occhi.
“O moriamo tutti insieme, o viviamo tutti insieme”.
È questa la scelta che ha fatto la sua famiglia.
Prima del 7 ottobre 2023, Susan a Gaza è una peer counselor, una consulente alla pari di EducAid, ong italiana con sede a Rimini che da oltre vent’anni opera nella cooperazione internazionale nei settori dell’educazione, del supporto psico-sociale e della promozione dei diritti dei gruppi più vulnerabili in vari Paesi del Sud del mondo.
Lavora come help desk di aiuto per le persone con disabilità, in particolare le donne: per trovare lavoro e opportunità formative.
Un lavoro che ama moltissimo.
Dopo il 7 ottobre la ong riesce a mantenere l’operatività anche nella Striscia di Gaza grazie all’impegno di 30 collaboratori e collaboratrici palestinesi sul campo “che, malgrado la gravissima emergenza umanitaria, garantiscono assistenza, generi di prima necessità ed ausili a persone con disabilità in condizioni di estrema vulnerabilità”.
Di sfollamento in sfollamento
“Siamo usciti dalla nostra casa al quarto giorno di bombardamento dopo il 7 ottobre”, racconta Susan seduta su un divano di un hotel al Cairo.
La sua è una delle voci di attivisti e attiviste, giuristi e giuriste ma anche giornalisti rifugiati da Gaza in Egitto che nella capitale egiziana incontrano la delegazione promossa da AOI, ARCI, Assopace Palestina, parlamentari dell’intergruppo per la pace tra Palestina e Israele, eurodeputat3, docenti universitari, giornalisti e giornaliste in viaggio verso il valico di Rafah tra Egitto e Gaza per testimoniare il blocco degli aiuti umanitari.
“Mio padre non voleva uscire da Gaza”, dice la donna.
Ripete il suo racconto, con fermezza, dal palco e nelle tante interviste. Non si tira indietro.
“Ma la famiglia ha fatto la scelta di rimanere insieme: o moriamo tutti insieme o viviamo tutti insieme. Questa è la scelta che è stata fatta”.
Scappano, diventano sfollati. “Non una ma più volte”: di città in città, di rifugio in rifugio, in fuga dai bombardamenti.
E non è facile, soprattutto per lei.
Muoversi, per Susan, è una sfida. La sua disabilità rende quello che è difficile per chiunque ancora più difficile.
Non c’è nulla di accessibile: né le strade percorse né le case o gli altri luoghi di fortuna in cui si ritrova a ripararsi con la sua famiglia.
Cambiano casa di settimana in settimana, non sa neanche più quante volte.
Cucinare è impossibile, fare la doccia altrettanto – e per dormire, lo si fa per terra. “Era tutto faticoso”.
Scappano quando l’esercito e i carri armati si avvicinano troppo.
Dopo una notte a casa di amici decidono di spostarsi nel sud della Striscia.
18 chilometri
“Il viaggio non è stato facile”, dice Susan, con voce calma.
“Non è stata una nostra decisione, siamo stati costretti ad andare nell’area a sud. Abbiamo dovuto camminare per 18 km”.
Su una strada non asfaltata, di sabbia.
“Ho fatto moltissima fatica, non era per niente facile”.
Intorno a Susan e la sua famiglia fiumi di gente che dal nord prova a spostarsi a sud.
Anziani, persone allettate, persone con disabilità, con tutte le difficoltà di far muovere una carrozzina sulla sabbia.
“Abbiamo perso molte persone durante il cammino”.
E la paura.

Susan Al Amassi, Il Cairo, 16 maggio 2025. Radio Bullets/Angela Gennaro
Disabilità
“Era difficile anche dare una mano a chi ne aveva bisogno”, dice Susan.
A qualunque movimento “strano” da parte delle persone sfollate, dice, corrisponde il rischio di venire sparati dall’esercito israeliano.
Susan ogni tanto, troppo stanca, si appoggia sul ciglio della strada.
“Non puoi stare qui, non puoi fermarti. Devi muoverti, altrimenti ti spariamo” – le dicono i soldati.
Susan si rialza e riparte, ogni volta. Ma gli ultimi tre chilometri l’incubo diventa ancora più insostenibile.
La donna non riesce più a camminare. Il sole batte forte sulla testa. Sviene.
Vomita a ogni sorso d’acqua. Acqua che è ben poca, chiesta agli altri sfollati perché lei e la sua famiglia, nella fuga, avevano lasciato tutto indietro.
Intorno, dappertutto, soldati israeliani. Nel tragitto da nord a sud controllano tutti. Vedono le difficoltà, non intervengono. Ogni tanto chiamano alcune persone, Susan non sa in base a quali criteri, le prendono e le portano via. “Non sappiamo dove”.
Tanti, anche anziani. “Nessuno è più tornato”.
Uno dei ricordi che più le fanno male, dice, è l’immagine di un signore anziano su una carrozzina pesante. E della moglie anziana che non riesce a trascinarla. Non li può aiutare nessuno.
“E poi quella mamma con un figlio con disabilità intellettiva: non stava capendo quello che stava succedendo. E l’angoscia e la paura che facesse qualche movimento “strano”, che i soldati israeliani gli sparassero”.
Susan non può camminare. È il papà a cominciare a chiedere a chi ha una carretta trascinata da un asino – e stracarica di roba – di caricare anche la moglie e la figlia. È disposto a pagare, e tanto. Tutto quello che ha.
È così che Susan arriva al confine. È così che Susan si salva dalle bombe, fino all’evacuazione in Egitto da Rafah.
Guerra e disabilità nella Striscia
Tante persone ancora le scrivono. Alcune sono uscite da Gaza e sono rifugiate in Egitto – anche se il termine “rifugiate” non è corretto, l’Egitto non registra i palestinesi, che ufficialmente non possono lavorare, almeno nel pubblico, o vedersi riconosciuti titoli di studio se vanno a scuola.
Riescono a vedersi, in Egitto, con alcuni di loro. Per esempio con la famiglia di una bambina con disabilità che Susan ha aiutato a Gaza e che ora è andata a visitare al Cairo, in ospedale, dove viene curata.
E per chi è ancora nella Striscia? “La situazione è molto difficile. Io ho passato sei mesi sotto le bombe ed è stato difficilissimo. Figuriamoci per chi è ancora lì. Le persone con disabilità soffrono molto di più rispetto agli altri”.
Disabilità non solo motoria, ma anche visiva, mentale, intellettiva. Nelle tende e senza cibo. “Un amico con distrofia muscolare peggiora di giorno in giorno: non trova da mangiare nè medicine”.
Che futuro si immagina Susan, per sé, per la sua famiglia e per Gaza?
Esita. “Non ho una risposta”.
Grazie a Yousef Hamdouna, Middle East Program Manager di EducAid, per la traduzione

Carovana italiana al valico di Rafah, 18 maggio 2025. FOTO/Daniele Napolitano
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