“Serve una nuova leadership palestinese”
Scritto da Angela Gennaro in data Maggio 24, 2025
“La questione palestinese fa parte delle priorità arabe. Tuttavia, l’importanza della causa palestinese nella politica araba cambia di volta in volta. A volte aumenta, a volte diminuisce”.
A spiegarlo a RadioBullets è Omar Shaban, fondatore e direttore del Palthink for Strategic Studies.
La sua è una delle voci di attivisti e attiviste, giuristi e giuriste ma anche giornalisti rifugiati da Gaza in Egitto che nella capitale egiziana incontrano la delegazione promossa da AOI, ARCI, Assopace Palestina, parlamentari dell’intergruppo per la pace tra Palestina e Israele, eurodeputat3, docenti universitari, giornalisti e giornaliste in viaggio verso il valico di Rafah tra Egitto e Gaza per testimoniare il blocco degli aiuti umanitari.
“Dobbiamo fare il nostro lavoro come palestinesi per unirci, riformare la leadership palestinese e porre fine alle divisioni, perché alcuni paesi arabi hanno trovato scuse per non fare ciò che dovevano fare proprio usando le nostre divisioni. Lo stesso fanno gli europei. A volte, quando si chiede loro di fare ciò che devono fare, ci dicono che prima bisogna essere uniti”.
Per Shaban alcuni dei paesi arabi vicini alla Palestina, come Giordania, Egitto e Arabia Saudita sono “molto interessati alla stabilità palestinese e pronti a compiere sforzi per aiutare i palestinesi a costruire un futuro”.
“È necessario prima di tutto fermare la guerra e poi il popolo palestinese, una leadership palestinese, deve fornire un piano: elezioni, ripristino dell’unità palestinese, porre fine alle divisioni. Tutto questo deve essere un pacchetto unico”, spiega.
“Non si può fare una cosa e lasciare le altre. Quindi non si può chiedere agli arabi di aiutarci mentre noi non ci aiutiamo. Ovviamente, c’è una responsabilità da parte dell’Europa e del mondo arabo, ma stanno usando la nostra divisione come scusa per non fare il lavoro. E sappiamo che la divisione palestinese è stata innescata e mediata dal primo ministro israeliano”.
Il costo della ricostruzione
“Il costo della ricostruzione di Gaza cambia ogni giorno perché la guerra continua”, spiega l’analista. La Banca Mondiale ha stimato 50 miliardi di dollari un paio di mesi fa. “Oggi potrebbe arrivare a 60 miliardi. Questa è una cifra enorme per un paese, o per Gaza, che è molto piccola. L’economia palestinese è troppo piccola. Prima di tutto, dobbiamo porre fine alla guerra”.
In secondo luogo, “non ci sarà ricostruzione senza un processo politico e senza stabilità. Nessun paese sarà pronto a investire 1 miliardo o 20 milioni di dollari in un’area di cui non è sicuro che queste infrastrutture saranno presenti, perché Gaza ha attraversato 17 escalation e molte delle strutture costruite dagli europei sono state distrutte pochi mesi dopo. Quindi dobbiamo guardare al problema più grande.
Ora, la priorità, se si tratta di priorità – ovviamente non possiamo fare tutto contemporaneamente – ma le priorità sono l’istruzione e la salute. L’istruzione è una delle risorse principali per il popolo palestinese. Che è uno dei più istruiti al mondo. E non abbiamo altra fonte che le risorse umane.
E la leadership?
Il destino di Fatah e della stessa Hamas?
“Il popolo palestinese cercherà un nuovo tipo di leadership perché Fatah ha bisogno di riformarsi. Deve infondere più linfa vitale e rappresentare meglio il popolo palestinese”.
Il 60% dei giovani in Palestina “ha meno di 30 anni. Queste persone non hanno mai votato. Sono diventati maggiorenni dopo il 2009, il 2012. Non lo hanno mai fatto. Non sanno cosa siano state le elezioni. E non conoscono questa leadership politica. Hanno bisogno di una leadership che li rappresenti”, dice Omar Shaban.
Ascolta il podcast
Grazie ad Alessandro Coltré per aver prestato la voce per il voice over in italiano dell’intervista a Omar Shaban.
Ti potrebbe interessare anche:
- Medicina da indossare
- 22 marzo, World Water Day: diritto e sicurezza in gocce
- L’intelligenza alata
- Gaza, la fase finale del genocidio
- La guerra dei dazi e la strategia di Trump
- Trump revoca le sanzioni contro la Siria
- Panama: chiude il Centro di accoglienza temporanea per immigrati Lajas Blancas
- Carovana solidale a Rafah: Non ci fermeremo
- Gaza e la fine dell’impunità a Rafah
- I coloni assediano la Cisgiordania
E se credi in un giornalismo indipendente, serio e che racconta il mondo recandosi sul posto, puoi darci una mano cliccando su Sostienici