Kashmir, la polveriera dell’Asia

Scritto da in data Aprile 28, 2025

Nel cuore dell’Himalaya si trova una delle regioni più contese e militarizzate del mondo: il Kashmir. Spesso citato come “paradiso terrestre” per i suoi paesaggi, oggi il Kashmir è sinonimo di divisione, repressione e crisi umanitaria.

Dietro le tensioni tra India e Pakistan, entrambe potenze nucleari, si cela un conflitto che ha radici profonde nella storia del subcontinente, ma che continua a esplodere con violenza nel presente.

Un retaggio del 1947

Quando, nel 1947 terminò il dominio britannico sull’India nacquero due nuovi Stati: l’India laica e il Pakistan musulmano. Il principato del Jammu e Kashmir, a maggioranza musulmana ma governato da un maharaja indù, si trovò al centro di un dilemma: unirsi a uno dei due Paesi o cercare l’indipendenza.

Pressioni, rivolte e un’invasione di miliziani filopachistani spinsero il maharaja a chiedere l’aiuto di Nuova Delhi, che in cambio ottenne l’annessione formale del Kashmir all’India. Da lì scoppiò la prima guerra tra India e Pakistan (approfondimento storico).

Da allora, la regione è divisa: l’India controlla Jammu, la Valle del Kashmir e il Ladakh; il Pakistan amministra Azad Kashmir e Gilgit-Baltistan; la Cina occupa l’area dell’Aksai Chin.

Tre guerre tra India e Pakistan (1947-48, 1965, 1971) non hanno risolto la questione. Da decenni, la “Linea di Controllo” separa le zone di influenza, ma non ferma gli scontri e le accuse reciproche.

Una crisi che non finisce mai

Nel Kashmir indiano, dagli anni ’90, è esplosa un’insurrezione separatista che ha causato decine di migliaia di morti. Giovani kashmiri combattono contro Nuova Delhi, alimentati dalla frustrazione, dalla repressione militare e, spesso, dal sostegno di gruppi pakistani.

L’India accusa Islamabad di addestrare e finanziare militanti oltreconfine, mentre il Pakistan parla di legittima autodeterminazione per una popolazione a maggioranza musulmana (Reuters).

La svolta del 2019

Il 5 agosto 2019, il governo nazionalista indiano di Narendra Modi ha deciso di revocare l’autonomia costituzionale del Jammu e Kashmir (articolo 370), imponendo il controllo diretto di Nuova Delhi.

La decisiobne ha scatenato un’ondata di proteste, blackout delle comunicazioni, arresti di massa e una dura repressione (Amnesty International). Da allora, la regione è stata divisa in due territori federali: Jammu e Kashmir e Ladakh.

Molti kashmiri temono che questa politica voglia alterare la demografia locale, facilitando l’insediamento di cittadini indiani provenienti da altre regioni. In un clima di tensione costante, le voci dal Kashmir raccontano di una quotidianità fatta di coprifuoco, presenza massiccia dell’esercito e violazioni dei diritti umani (Human Rights Watch).

La nuova crisi: 2025, sangue a Pahalgam

Il 22 aprile 2025, un nuovo attentato ha sconvolto la valle di Baisaran, vicino a Pahalgam: 26 turisti indiani uccisi, un attacco rivendicato dal gruppo “The Resistance Front”.

L’India ha puntato il dito contro il Pakistan, accusandolo di sostenere i militanti. Islamabad ha respinto ogni accusa, denunciando la strumentalizzazione della crisi (The Guardian).

Immediata la risposta di Nuova Delhi: sospensione dei trattati sulle acque, chiusura dei visti e nuova stretta militare. Il Pakistan ha risposto chiudendo lo spazio aereo e interrompendo il commercio con l’India (AP News).

Chi paga il prezzo più alto?

In questa partita geopolitica, i veri sconfitti sono gli abitanti del Kashmir: giovani cresciuti tra militari, barricate e paura, famiglie spezzate dall’esilio o dalla repressione, voci dimenticate dal mondo.

Le organizzazioni internazionali denunciano regolarmente violazioni dei diritti, arresti arbitrari e censura della stampa locale (Time). Eppure, sui media globali la loro storia spesso resta ai margini, schiacciata tra i proclami di New Delhi e Islamabad.

Cosa può accadere domani?

La crisi del Kashmir resta una delle questioni irrisolte più pericolose dell’Asia. Finché i leader di India e Pakistan non affronteranno la questione dei diritti e delle aspirazioni della popolazione locale, il rischio di una nuova esplosione sarà sempre presente.

E ogni volta che un nuovo attentato scuote la valle, il mondo si accorge, per qualche ora, che il “paradiso terrestre” resta un inferno senza pace.

Foto di Nitin Karolla su Unsplash

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