Memorie Olimpiche, i grandi record (Prima Parte)
Scritto da Giuliano Terenzi in data Giugno 25, 2017
In questa puntata vi porto alla scoperta dei grandi record, delle rivoluzioni sportive e delle prime volte. Ripercorreremo le storie di sei atleti diversi, sei atleti capaci di entrare e rimanere nella storia dei giochi olimpici.
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Le Olimpiadi si aprono anche alle donne
È il 1928 e siamo ad Amsterdam. Il barone Pierre de Coubertin, fino ad allora presidente del Comitato Internazionale Olimpico, comincia a sentire il peso degli anni e capisce che per lui la presidenza sta diventando troppo gravosa; decide, allora, di cedere il testimone al suo sostituto designato, il conte Henri de Baillet-Latour. Con l’uscita di scena di De Coubertain, per la prima volta nella storia delle olimpiadi moderne, le donne sono finalmente ammesse alle competizioni. Fino all’ultimo, però, il barone non manca di strepitare contro l’agonismo femminile, cui si oppone strenuamente. A suo dire, infatti, l’apertura delle Olimpiadi alle donne avrebbe tradito l’adesione all’ideale olimpico greco perché, cito testualmente: «La differente fisiologia della donna, e il suo differente ruolo nella società, la rendono inadatta all’attività sportiva». A nulla valgono gli ultimi lamenti di De Coubertain: l’Olimpiade di Amsterdam si proclama definitivamente all’insegna del rinnovamento; oltre alle gare femminili, per la prima volta i Giochi vengono battezzati dalla fiamma olimpica e per la prima volta la Coca Cola fa il suo ingresso come sponsor ufficiale.
Vista la premessa, il primo personaggio di questa puntata di memorie olimpiche non può che essere una donna. Fino all’età di sedici anni, Elizabeth “Betty” Robinson, detta Babe per il suo fisico esile, non immagina neanche lontanamente di poter diventare un’atleta: non perché non sia portata ma perché non l’idea non le è mai passata per la testa, almeno fino a quando Charles Price, suo insegnante di biologia, la vede dalla finestra della scuola rincorrere il treno che solitamente prende per tornare a casa. Il Professor Price è stupefatto dalla velocità e dalla progressione della ragazza e il giorno dopo le propone un allenamento in pista: la Robinson dimostra di saper correre non solo dietro ad un treno e, così, il professor Price le propone di iscriversi ai campionati di atletica di Chicago. Appena sedicenne, a pochi mesi di distanza da quella corsa, Betty Robinson si vede catapultata in una realtà che la porterà fino alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928.
Babe Robinson
Ovviamente l’americana non è tra le favorite: la canadese e la tedesca sono più veloci e più preparate ma, il giorno delle semifinali, la Robinson guadagna qualche punto dando del filo da torcere alla stella canadese Myrtle Cook. La finale viene rinviata a causa di una serie di false partenze con conseguenti squalifiche: lo starter coglie in anticipo prima la Cook e poi la tedesca Leni Schmidt. Il via viene dato con mezz’ora di ritardo, quando ai blocchi di partenza ormai si trovano appena quattro concorrenti, tra cui Babe Robinson. La statunitense sfreccia velocissima e vince segnando addirittura il record del mondo: la piccola sedicenne di Riverdale è il primo oro olimpico dei cento metri piani; quella medaglia d’oro non è neanche l’unica conquistata in quell’Olimpiade: la Robinson, infatti, ne conquista un’altra, stavolta d’argento, nella staffetta a squadre, piazzandosi dietro alle canadesi.
Tre anni dopo i giochi olandesi, Betty Robinson viene coinvolta in un incidente aereo a Harvey, vicino Chicago, per la caduta di un biplano a due posti guidato dalla cugina. Nella concitazione del momento, viene addirittura dichiarata morta e portata all’obitorio dove, per fortuna, la situazione viene esaminata più attentamente: il titolare di pompe funebri e suo nipote, Jim Rochford, dopo essersi consultati a lungo, decidono per precauzione di portare la ragazza all’ospedale di Oak Forest. Effettivamente Betty Robinson non è morta. Babe resta in coma per sette settimane; quando finalmente riprende coscienza, i medici le diagnosticano lesioni che le avrebbero impedito per sempre di camminare (aveva tre viti nell’arto inferiore, più corto dell’altro di 2 cm). Sembra la fine per la carriera atletica della Robinson la quale, però, grazie ad una incredibile forza di volontà, riesce a ristabilirsi completamente e a tornare a correre anche se, non potendo più piegarsi per mettersi sui blocchi allo start, è costretta a disputare soltanto staffette. Cinque anni dopo l’incidente, ai Giochi di Berlino del 1936, Betty Robinson corre la terza frazione della 4×100 che conquista l’oro.
Olimpiadi di Melbourne 1956
Facciamo un bel salto temporale e dai canali di Amsterdam ci spostiamo dall’altra parte del mondo, a Melbourne dove, nel 1956, si svolgono le prime olimpiadi australiane. È la prima volta che i giochi si disputano nell’emisfero sud. Alcune nazioni, come la Svizzera, i Paesi Bassi e la Spagna boicottano i Giochi in segno di protesta contro l’Unione Sovietica (siamo in piena guerra fredda), mentre Egitto, Iraq e Libano non si presentano a causa delle tensioni attorno al canale di Suez. Partecipa anche una piccola rappresentanza della Repubblica Popolare Cinese che però tornerà subito a casa dopo aver constatato che all’inaugurazione del villaggio olimpico è issata solo la bandiera della Cina nazionalista. Fra gli atleti italiani nel nuoto c’è un tale Carlo Pedersoli, in arte Bud Spencer, che, però, non andrà oltre la semifinale. Chi non manca la qualificazione alla finale è la seconda atleta protagonista di memorie olimpiche: l’australiana Dawn Lorraine Fraser.
Dawn Fraser è universalmente riconosciuta come la più grande stile liberista di ogni epoca; dotata di un battito cardiaco incredibilmente lento, è la prima nuotatrice capace di vincere tre medaglie d’oro nella stessa specialità in tre edizioni consecutive dei Giochi Olimpici. Soltanto Michel Pelphs, con l’oro nei 200 misti delle ultime olimpiadi di Rio de Janeiro ha fatto meglio. La Fraser diventa professionista a quattordici anni e nel 56 vince il primo oro olimpico nei 100m stile libero. Ai giochi successivi, quelli di Roma, imbattuta per tutto il quadriennio, la Fraser parte con i favori del pronostico: tutti gli occhi sono puntati su di lei e la piscina del Foro Italico conferma la supremazia dell’australiana che vince con facilità la finale, staccando l’americana di oltre un secondo e mezzo. Durante le Olimpiadi di Roma viene fuori prepotentemente il carattere individualista e ribelle della Fraser la quale, per festeggiare la vittoria, si tuffa nella dolce vita notturna di Roma: i suoi compagni non la prendono bene ma a lei poco importa. La mattina dopo la vittoria esce dal villaggio olimpico e mentre passeggia per le vie del centro si compra un vestito da sposa; al suo rientro rifiuta la richiesta del capo allenatore Roger Pegram di disputare la frazione di staffetta a farfalla e per il resto dei Giochi la squadra non le rivolge parola.
Dawn Fraser entra nella leggenda dello sport
Archiviate le medaglie e le bravate di Roma, il 27 ottobre del ‘62 Dawn Fraser entra definitivamente nella leggenda: è la prima donna a scendere sotto il minuto nei 100 m stile libero. Poco prima delle olimpiadi di Tokyo, l’atleta australiana perde prima il padre per malattia e, in seguito, la madre per un fatale incidente d’auto in cui lei stessa era alla guida. Nonostante il contraccolpo psicologico e quello fisico, derivato da una vertebra fuori posto, sette mesi dopo l’incidente, Dawn Fraser partecipa ai Giochi Olimpici di Tokyo in cui, grazie alla vittoria nei 100m stile libero, diventa la prima atleta a vincere l’oro, nella stessa disciplina, in tre edizioni consecutive delle olimpiadi: Melbourne, Roma e Tokyo. Ai giochi di Tokyo, oltre alla medaglia d’oro, la Fraser colleziona una medaglia d’argento nella staffetta e un arresto. Si, un arresto: nonostante abbia sempre negato, pare che la Fraser organizzò il furto notturno di una bandiera nel Palazzo dell’Imperatore. L’ennesima bravata le costa una squalifica di dieci anni, poi ridotta a quattro. Con un totale di quattro ori e quattro argenti finisce quindi l’esperienza olimpica di Dawn Fraser che nel 1972 fu insignita del titolo de “La più grande atleta d’Australia” per il prestigio dei suoi risultati che la conferma idolo per la sua gente e simbolo per lo sport mondiale.
Fosbury Flop
Forse ho esagerato un po’ nell’introduzione a questa puntata parlando di rivoluzioni sportive; sinceramente, però, mi sembra il termine più azzeccato per descrivere quello che accadde alle olimpiadi di Città del Messico nel 1968.
Chissà se Richard Douglas Fosbury per gli amici semplicemente “Dick”, atleta specializzato nel salto in alto, durante i trials di qualificazione per le imminenti Olimpiadi di Città del Messico, abbia detto fra sé e sé, come avrebbe fatto molti anni più tardi l’Ivano di Verdone in Viaggi di nozze: “o famo strano!”. In effetti, a certi livelli, non si era mai visto un salto del genere.
Evito di scendere in spiegazioni fisico-dinamiche parlandovi di centro di massa, sforzo, traiettoria semicircolare, momento di stacco ed energia centrifuga, anche perché non è proprio la mia materia: con la fisica e con il fisico, e, ora che ci penso, anche col fisco, non ho un grande rapporto: non ci siamo mai presi! Diremo solamente che Fosbury, invece di affrontare l’asticella scavalcandola ventralmente come tutti I suoi colleghi, scavalca l’asticella rovesciando il corpo all’indietro e cadendo sulla schiena: è il salto a scavalcamento dorsale detto per l’appunto “Fosbury Flop” che è quello utilizzato tutt’oggi dalla quasi totalità degli atleti.
Fate uno sforzo di immaginazione: siete davanti alla televisione, è il 20 ottobre del 1968 e state guardando la finale del salto in alto. Ad un certo punto arriva Richard Fosbury, un giovane lungagnone americano che prepara la rincorsa, stacca in alto in prossimità dell’asticella, si gira di spalle e si lascia cadere all’indietro. Praticamente un matto! Uno dei giornalisti che stavano seguendo la diretta commentò così in stretto americano “looked like a guy falling off the back of a truck”; letteralmente “sembrava un tipo che stava cadendo sul cofano posteriore di un camion”. Comunque sia, seppure saltando in un modo diverso da tutti gli altri, Fosbury è ancora in gara ai 2,20, insieme col connazionale Ed Caruthers ed al sovietico Gavrilov. Alla misura successiva Fosbury va su alla prima prova, Caruthers alla seconda mentre Gavrilov fallisce. A 2,24 Fosbury rimane solo: il titolo è suo e con esso anche il nuovo record olimpico.
Per dovere di cronaca va segnalato che Dick Fosbury non fu il primo atleta a saltare con lo stile “flop” ma averlo fatto in una manifestazione così importante, perlopiù vincendo, gli ha concesso la paternità dello scavalcamento dorsale, per l’appunto detto “Fosbury Flop”.
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Opinioni dei Lettori
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Radio Bullets On Giugno 25, 2017 at 10:10 am
4.5