Fischer Vs Spassky: l’incontro del secolo
Scritto da Giuliano Terenzi in data Marzo 31, 2019
Siamo nel 1972, nel pieno della guerra fredda: USA e URSS sono in continuo conflitto, la rivalità fra le due superpotenze è ai massimi storici e ogni occasione è buona per mostrare al mondo la supremazia dell’una sull’altra. Ecco quindi che entra in gioco il mondo dello sport e la conseguente campagna propagandistica che si può costruire con i successi sportivi nei confronti della nazione rivale. Il duello mondiale fra Bobby Fischer e Boris Spassky, due dei più incredibili e fenomenali scacchisti mai esistiti, è stato uno degli eventi sportivi più rilevanti del secolo scorso. Per darvi un’idea della portata dell’evento vi basti pensare che, in Italia, le partite del mondiale del ‘72 vengono trasmesse e commentate con la telecronaca di Bruno Pizzul e Nando Martellini.
Bobby Fischer – Un predestinato
Per la prima volta nella storia si ha la sensazione che gli Stati Uniti possano prevalere e spodestare la Russia nella disciplina degli scacchi, interrompendone l’egemonia. La speranza statunitense porta il nome di Bobby Fischer. Cresciuto insieme alla sorella solamente dalla madre, che non aveva neanche soldi sufficienti per mandarlo all’asilo, comincia a muovere i pezzi sulla scacchiera per passare il tempo e, sostanzialmente, impara a giocare da solo; a dodici anni è già maestro di scacchi, a tredici diventa campione e a sedici abbandona definitivamente la scuola per dedicarsi esclusivamente agli scacchi. Probabilmente è affetto dalla sindrome di Asperger, un disturbo dello sviluppo simile all’autismo, che non intacca le capacità cognitive e linguistiche ma compromette le relazioni sociali e porta a comportamenti ripetitivi nonché all’ossessione per una cerchia ristretta di interessi. Fischer è ossessionato dalla scacchiera, vissuta, fin da piccolo, come un rifugio sicuro dal mondo; percepisce ogni partita come una guerra e, spesso e volentieri, imposta la propria strategia sull’attacco puro:
«L’obiettivo è spezzare la mente degli avversari, voglio vederli contorcersi»
Vincendo il torneo di Palma di Maiorca nel 1970 si guadagna meritatamente la chance di sfidare il campione in carica: il fenomenale russo Boris Spassky.
Boris Spassky – Il campione sovietico
Spassky nasce a Leningrado nel bel mezzo della seconda guerra mondiale e impara a giocare a scacchi per puro caso all’età di cinque anni: il talento e la passione per la scacchiera lo portano ad iscriversi al Palazzo dei Pionieri di Leningrado dove comincia a giocare in maniera assidua. Appena maggiorenne, grazie alla vittoria del campionato del mondo juniores di Anversa, si guadagna il titolo di gran maestro. Ha una personalità diametralmente opposta rispetto a Fischer: educato, umile e portato al confronto con i suoi avversari; per lui gli scacchi non sono un’ossessione: ama la musica e la lettura e nei ritagli di tempo si diverte a giocare a ping-pong. Particolarmente portato anche negli sport: si diletta con il tennis e potrebbe avere un futuro anche nell’atletica, visti gli ottimi tempi che fa registrare nei 100m. Si diploma in educazione fisica e, per un periodo, intraprende la carriera di insegnante. Negli scacchi Spassky viene considerato un giocatore a tutto tondo: non si vincola ad uno stile di gioco predefinito tanto che il suo modo di giocare viene ribattezzato “stile universale”. Col passare degli anni, Spassky perfeziona la sua tecnica e sbaraglia tutti i maggiori rappresentanti del panorama scacchistico sovietico, riuscendo anche a battere il leggendario Mikhail Tal. Nel ’66 si guadagna il diritto di sfidare il campione del mondo Petrosian ma nella sfida decisiva esce sconfitto. Si rifà tre anni dopo quando, grazie alla flessibilità del suo stile, riesce a vincere fregiandosi, finalmente, del titolo di campione del mondo negli scacchi.
Si gioca in Islanda
Negli anni Settanta Guðmundur Thorarinsson è il Presidente della Federazione Scacchistica Islandese ed è grazie a lui che l’Islanda ospita quello che, anni dopo, viene ribattezzato “il match del secolo”, la storica sfida tra Bobby Fischer e Boris Spassky. Per stabilire il luogo dove si sarebbe svolto l’incontro, la Federazione Internazionale Degli Scacchi decide di indire una gara: vista l’esclusione dell’Argentina, che aveva già ospitato una finale mondiale, e la marcia indietro della Jugoslavia, pur non avendo fatto l‘offerta più alta, l’Islanda si aggiudica il patrocinio della manifestazione e per Thorarinsson iniziano i problemi con gli avvocati di Bobby Fischer i quali, come portavoce del campione americano, cominciano a fare richieste sempre più esose e stravaganti, da un ristorante aperto 24h su 24h alle chiavi per una pista di bowling dove poter giocare in qualsiasi momento; nonostante la maggior parte delle richieste vengano esaudite, l’accordo con lo statunitense, a dieci giorni dall’inizio del torneo, è ancora in alto mare. Una situazione di stallo ancor prima che i pezzi siano posizionati sulla scacchiera. Per risolvere la situazione è necessario l’intervento del primo ministro islandese che, grazie all’intercessione dell’ambasciatore statunitense in Islanda, riesce a mettersi in contatto con l’allora consigliere per la sicurezza nazionale Henry Kissinger, il quale motiva Fischer, chiedendogli, per il bene degli Stati Uniti, di battere il campione sovietico; si racconta che Fischer si sarebbe sentito come un soldato a cui viene richiesto di combattere per il proprio paese tanto che, atterrato all’aeroporto di Reykjavík, invitato a spiegare cosa gli avesse fatto cambiare idea, dichiara:
“Gli interessi della mia nazione sono più importanti dei miei”.
Bene. Fischer è finalmente arrivato, Spassky era in Islanda già da qualche settimana per abituarsi alla luce, che d’estate è praticamente perenne, si può cominciare.
No, no perché a questo punto è l’URSS a risentirsi e a protestare con l’organizzazione e con il governo islandese minacciando di richiamare Spassky in patria qualora a Fischer non fosse stata comminata una penalizzazione di una partita visto il suo atteggiamento irrispettoso e il suo ritardo rispetto alla data d’inizio del torneo. Tutti sapevano che Fischer non avrebbe mai accettato una penalità di questo tipo e quindi, a poche ore dall’inizio della partita, la situazione è nuovamente in bilico. Per risolvere lo stallo ci vuole tutta l’abilità e la diplomazia di Thorarinsson il quale, furbescamente, riesce a convincere i sovietici che, pur trovandosi d’accordo con loro e pur condividendo le loro rimostranze, per una questione meramente regolamentare, non avrebbe potuto applicare una penalità di questo tipo. I sovietici si convincono e – finalmente! – la prima partita del mondiale di scacchi del 1972 può iniziare (si gioca al meglio delle 24, quindi chi arriva prima a 12 vince).
Le ventiquattro partite
Prima le luci, poi l’aria condizionata per non parlare della grandezza del tavolo ma, più di ogni altra cosa, il rumore delle telecamere delle troupe televisive che, a detta di Fischer, gli impediscono di concentrarsi. Per queste ragioni lo statunitense chiede lo spostamento della partita in un altro ambiente, una stanza molto più piccola e angusta ma la Federazione respinge la richiesta.
Vince Spassky: 1-0 per il sovietico
Nella seconda partita Fischer non si presenta: l’americano non ha preso bene il rifiuto della Federazione ad andare incontro alle sue richieste e non è disposto a giocare un’altra partita in condizioni, a detta sua, sfavorevoli.
Anche se senza giocare, vince ancora Spassky: 2-0
Il campionato del mondo sembra finito nonostante sia appena iniziato: tutti sono convinti che Fischer stia per lasciare l’Islanda per far ritorno negli Stati Uniti ma Spassky, nonostante la pressione delle autorità sovietiche affinché tenesse il punto, animato dal rispetto per il suo avversario e convinto di voler dimostrare sulla scacchiera di essere il più forte, dà la sua disponibilità ad esaudire tutte le richieste di Fischer accettando di giocare la terza partita in un’altra stanza, senza spettatori e senza telecamere.
Vince Fischer: 2-1.
L’inerzia è cambiata, il sovietico sembra ipnotizzato dallo stile di gioco inusuale, spregiudicato e non convenzionale del suo avversario. La delegazione sovietica è incredula tanto che indaga sulla possibilità che l’americano stia usando una tecnica di influenza mentale sull’avversario e, durante una partita, chiedono di esaminare la sedia su cui era seduto Spassky, convinti che all’interno ci potesse essere un meccanismo che emanasse raggi al cervello del sovietico, salvo poi essere smentiti una volta smontata la sedia.
La quarta partita finisce patta e assegna mezzo punto ad entrambi gli scacchisti; Fischer vince le successive due portandosi avanti nel punteggio. Spassky non riesce più a vincere fino all’undicesima partita fissando il punteggio sul 4.5 contro 6.5 dell’americano. Il sovietico non vincerà più e, dopo sette patte consecutive, alla ventunesima partita, viene condannato anche dalla matematica: con il punteggio di 12.5 a 8.5, Bobby Fischer batte Boris Spassky e si laurea campione mondiale degli scacchi vincendo il titolo nell’incontro più celebre di tutti i tempi portando gli scacchi da gioco di nicchia, seguito solo dagli amatori, verso il grande pubblico. Per la prima volta nella storia l’URSS si vede soffiare il titolo in favore degli acerrimi rivali degli Stati Uniti.
”Io non so fare nient’altro che giocare a scacchi però lo so fare abbastanza bene”
L’epilogo
La storia di Fischer non finisce con la conquista del titolo mondiale. A causa della sua personalità controversa e complicata, negli anni successivi si trova spesso in conflitto con il governo statunitense che, nel ’92, emette contro di lui un mandato di arresto per aver giocato la rivincita dell’incontro del ‘72 contro Spassky, in Jugoslavia, paese che, a quel tempo, era sotto embargo ONU. Fischer evita la cattura fino al 2004 quando all’aeroporto Narita di Tokyo viene arrestato dalle autorità nipponiche per conto degli Stati Uniti. Un mese dopo aver saputo dell’arresto del suo collega, amico e rivale, Boris Spassky scrive una lettera aperta al Presidente degli Stati Uniti per intercedere in favore di Fischer che si conclude con queste, significative, parole:
“Bobby ha una personalità tormentata, me ne accorsi subito: è onesto e altruista, ma assolutamente asociale. Non si adegua al modo di vita di tutti, ha un elevatissimo senso della giustizia e non è disposto a compromessi né con sé stesso né con il prossimo. È una persona che agisce quasi sempre a proprio svantaggio. Non voglio difendere o giustificare Bobby Fischer. Lui è fatto così. Vorrei chiederle soltanto una cosa: la grazia, la clemenza. Ma se per caso non è possibile, vorrei chiederle questo: la prego, corregga l’errore che ha commesso François Mitterrand nel 1992. Bobby ed io ci siamo macchiati dello stesso crimine. Applichi quindi le sanzioni anche contro di me: mi arresti, mi metta in cella con Bobby Fischer e ci faccia avere una scacchiera”.
Dello stesso autore: Storie di straordinario Fair Play
Da non perdere:
- Cina, sale il numero delle vittime del coronavirus e i medici soffrono di burnout
- 17 km di ignoto di Eleonora Viganò, per la rubrica Vieni via con me
- Italian technology – CES 2020
- Taiwan: il voto per elezioni presidenziali e legislative osservato da Pechino e Washington
- 2020: obiettivo scienza, di Raffaella Quadri per la rubrica Technomondo
- Europa, la Signora del super anello, di Raffaella Quadri
- Hong Kong, l’Italia risponde alle parole dell’ambasciata cinese a Roma
- Vorrei farmi leggere le carte
- E allora le foibe?
- Goccia su goccia, un podcast di Raffaella Quadri