17 km di ignoto

Scritto da in data Gennaio 16, 2020

… Dal sesto in poi vi passa completamente la voglia di tornare. Camminate guardando solo avanti, i ponti con quello che sta dietro sono tagliati completamente. Vi prenderà voglia di sparire e cambiare identità. E in effetti siete diversi. Avete perso la vecchia pelle sullo stradone impolverato, come fa il serpente. Da quel momento potrete andare ovunque.

Paolo Rumiz

Nell’assenza di punti di riferimento, arriva Nando, un militare sloveno. Nell’assenza di sicurezze e fiducia, arriva l’ungherese Gyöngyi, un’ex economista che si dedica alla fitoterapia. Nella polvere e senza sapere quanto manca, ecco Ray, come Ray Charles che non canta lui e che non parla con la figlia. Sono tante le storie, anche di dolore profondo, lutto e malattia, di alcolismo, divorzi, depressione, panico. Ogni cosa arriva quando deve e ogni bisogno è soddisfatto. Non arriva ciò che vuoi, ma ciò che ti serve. Questo è il Cammino.

Previsioni, progetti, imprevisti

Dopo Grañon e Villafranca Montes de Oca, per la prima volta ho superato il mio limite: ho affrontato i miei primi 40 km e l’interminabile strada per entrare a Burgos, grazie a Gyöngyi. Non abbiamo trovato un posto da pellegrini a Burgos: era tardi quando siamo arrivate, ma abbiamo goduto di letti normali, lenzuola pulite e una doccia tutta per noi. Da qui in poi le tappe si sono susseguite velocemente: abbiamo mangiato strada, sassi, asfalto, centimetri di suolo, goduto degli albergue e della magia che permea ogni incontro e che risponde a ogni necessità. Adoravo e adoro tutt’ora sentire il muscolo contrarsi e muoversi, sentivo viva la natura e me con essa, amavo vedere le frecce gialle in quel nulla in cui c’è tutto, perché era come se fossero lì per me e quindi per ciascun pellegrino, a dare un senso alla fatica.

Siamo lì e tutto ha una ragione, nulla è lasciato al caso. Non è più arrivare (anche se gli hospitaleros – coloro che gestiscono e accolgono i pellegrini negli albergue – fanno sempre discorsi commoventi sui loro arrivi), ma è camminare. Solo andare e camminare, sperando che non finisca e desiderando allo stesso tempo di tornare trionfanti alla propria vita. Quando sei lì, ancora non sai cosa ti regalerà il Cammino. Ci pensi, rimugini, e fai previsioni in base alle tue richieste: lavoro, amore e cambiamento sono i desideri più diffusi. In realtà ogni soddisfazione, ogni conquista così come ciò che apprendi di te stesso e degli altri diventano imprevedibili tanto quanto lo sono i programmi che si fanno per pianificare tappe e pernottamenti. Si stravolgono i progetti: se non opponi resistenza, riesci a vedere che tutto è perfetto e ti arriva davvero ciò che ti serve – non sempre coincide con ciò che vuoi.

La paura delle mesetas

La paura delle mesetas, di questi altopiani caratterizzati da deserto, campi, sole e cielo, di cui ci siamo caricate a Burgos, si è sciolta alle prime tappe, quando fino a Fromista e Hontanas ho avvertito solo un’immensa libertà di pensiero. Ma ancora non sapevo che gli ultimi 17 km da Fromista a Calzadilla de la Cueza sarebbero stati dolorosi. Mi ha colto un senso di impotenza, di incapacità di sapere e conoscere quando sarei arrivata e quanto avevo già camminato. Non vedevo nulla oltre l’orizzonte piatto e tremolante di calore. Non avevo una meta visiva né paesini intermedi che fungessero da ancora di salvataggio. Non c’era nessuno. E io lottavo con la mia perenne incapacità di visualizzare un futuro, con l’impazienza di sapere. Come si presenta agli occhi la meta, quanti passi devo fare per raggiungerla e cosa ci sta in mezzo?

L’ansia della perfezione l’ho lasciata a Logroño, Calzadilla chiedeva in pegno, prima di entrare, la mia paura dell’ignoto futuro. Ho avuto la fortuna di incontrare Nando, un militare sloveno, che mi si è affiancato all’apice della mia stanchezza e sofferenza, mi ha chiesto qualcosa, non ricordo cosa, e alla fine ci siamo messi a parlare e a camminare insieme. Un due, un due, i bastoncini di entrambi segnavano un ritmo nuovo: «insieme camminiamo meglio, insieme siamo più forti» mi dice lui. Io mi accorgo di avere più energia, di avere una spinta e di non rendermi nemmeno più conto di camminare e di farlo a passo sostenuto. Poi arriva Rey, mi sembrava quasi un sogno e un’allegra favola poter incontrare nuovamente quell’uomo, in mezzo al deserto. «Mancano solo 3-4 km», alla notizia alzo le mie braccia e con esse le bacchette mi seguono trionfanti. Ci siamo quasi, ce l’ho fatta anche oggi.

La freccia gialla, la bellezza, Dio

Ho subito ripensato per un istante all’unica notizia che abbia letto in quel mese di atmosfera fiabesca: la morte di Robin Williams, sofferente. Ero a Fromista sul letto in alto, il meno desiderato, ero forse appena arrivata, sporca, sudata, ed ero felice. Non posso dire di non aver niente nella vita, ma posso affermare che il Cammino ti arricchisce perché si perde e si abbandona ciò che non serve: aspetti di te che fanno male, modi di vedere, oggetti, necessità. Il Cammino ti svuota la mente e il corpo, dandoti tutto. Impossibile non pensare alla mia felicità su un letto a castello di una camerata da 8 euro a notte in confronto a quella morte, come molte, per un male che devasta e dal quale non ho dubbi che tanti pellegrini siano passati. Sì, i pellegrini: siamo su quella strada con le nostre meschinità, le grettezze, i difetti.

Non è la fiera di uno zuccheroso “vogliamoci bene”, spesso fasullo. È il circo del reale, di chi segue una freccia perché ha divorziato, di chi lo fa per la malattia di un nipote o per problemi di alcolismo, c’è chi è stanco o è appena guarito, chi ha sofferto e ne è uscito, chi ha perso e chi cerca. Eppure, la felicità permea ogni cosa, la Bellezza – che alcuni chiamano Dio – è indivisibile da tutto ciò che abbiamo intorno. Quella freccia, quella bellissima e amorevole freccia gialla, può identificarsi con la fede, la ragione, la conoscenza, oppure con una passione, con l’amore o ancora con un’amicizia forte, una relazione unica, può essere ciò in cui crediamo e per cui pensiamo che valga la pena vivere.

Un lento rinascere, fino all’oceano

Le ultime tappe sono state più sicure, ma non meno ricche di riflessioni: semplicemente io avevo acquisito una buona base e delle ottime fondamenta dai chilometri precedenti. Ogni tappa ha avuto la scintilla che mi ha reso una persona diversa rispetto al 31 luglio 2014. Posso dire che sia stato come un lento e lungo rinascere, un travaglio – nel mio caso fortunato dal punto di vista fisico – verso l’oceano, l’ultima tappa nonché un dono del tutto inaspettato.

Volevo arrivare “solo” a Santiago e invece sono riuscita ad avere il tempo sufficiente per vedere l’Atlantico e dire “ci sono arrivata con le mie gambe, i miei piedi, la mia mente”. Grazie anche a Gyöngyi, alla voglia di condividere con lei l’arrivo nella città di San Giacomo con data obbligata per via del suo aereo. La determinazione, la visione d’insieme di ciò che stavo compiendo, mi hanno permesso di macinare chilometri, anche 40 al giorno. Senza risentirne.

In copertina, foto di Eleonora Viganò

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