Naufragio Lampedusa, il riconoscimento dei corpi straziati

Scritto da in data Ottobre 23, 2019

Da sabato a martedì un team di Medici Senza Frontiere (MSF), formato da un psicologo e un mediatore interculturale, ha fornito supporto psicologico ai 13 superstiti – 6 donne della Costa d’Avorio e 7 uomini della Tunisia – dell’ultimo naufragio di Lampedusa, assistendoli durante il riconoscimento dei corpi di familiari e amici.

“La fase del riconoscimento dei corpi, durata circa 3 ore, è stato un momento di dolore e angoscia”, racconta Dario Terenzi, psicologo di Msf. “Tutti erano tesissimi e alcuni tremavano al terrore di rivedere i corpi dei compagni di viaggio. Ho sentito le loro vibrazioni gli attimi prima in cui avrebbero visto le foto che ritraevano ciò che resta dei loro familiari o amici. I corpi dei naufraghi sono straziati. Una ragazza ci ha chiesto perché alcuni fossero diventati bianchi. L’acqua marina ha corroso i corpi fino a trasformare il colore della pelle. Il mare li ha trasformati a tal punto da stravolgere le fattezze dei volti. E così il riconoscimento è avvenuto tramite un capo di abbigliamento o un segno particolare”.

La felpa

Come per una ragazza ivoriana che ha riconosciuto il compagno perso in mare dalla felpa che indossava quel giorno. “Era terrorizzata, ma ha voluto rivedere il suo compagno. È crollata un attimo dopo sciogliendosi e scomparendo dentro un lungo pianto di straziante dolore e disperazione”, dice lo psicologo nella nota stampa diffusa dalla ong. “L’abbiamo assistita e poi accompagnata nella sua camera dove lentamente, anche grazie all’aiuto insostituibile delle sue compagne di viaggio, si è ripresa. Prima di andar via ci ha timidamente salutati e, abbozzando un sorriso, ha pregato affinché dio ci benedicesse”.

E ancora: “Quando li abbiamo incontrati il primo giorno avevano lo sguardo fisso, erano rigidi, alcuni non parlavano affatto. Ancora oggi molti di loro hanno incubi, difficoltà ad addormentarsi, paura a rimanere soli, c’è chi non dorme da giorni, non hanno fame, e hanno raccontato di essere sopraffatti da immagini e pensieri intrusivi, rivedono e rivivono in continuazione le immagini del naufragio. Prevale ed è palpabile un forte senso di disagio, estrema sofferenza e frustrazione. Infatti, molti continuano a domandarsi perché siano ancora vivi, perché loro ce l’hanno fatta”, dice Terenzi.

Lontano da Lampedusa

“Queste persone hanno bisogno di essere trasferite, di allontanarsi da Lampedusa. Ci hanno detto chiaramente che non vogliono stare più qui. Sentono addosso la tragedia che li ha travolti. Continuano a domandarsi perché vengono tenuti ancora qui dove sono morti i loro cari”.

MSF ha chiesto alle autorità competenti che le due comunità, le 6 donne ivoriane e i 7 uomini tunisini, non vengano divise e che i due gruppi vengano lasciati uniti e trasferiti negli stessi centri di accoglienza. “Non separarli è un piccolo, ma utilissimo, fattore di protezione che abbiamo visto in passato aiutare significativamente i superstiti. Il naufragio è qualcosa che ti lega a vita”. La Prefettura ha accolto la richiesta, spiegano da Msf, “e non è escluso che continueremo a seguire queste persone nell’immediato futuro”.

In copertina Lampedusa/Flickr

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