Raccontare il Nicaragua, il coraggio dei giornalisti
Scritto da Radio Bullets in data Aprile 10, 2019
Per i giornalisti in Nicaragua si parla di intimidazioni, minacce e vere e proprie aggressioni perpetrate al solo fine di limitare la libertà di stampa e la diffusione di notizie. Questo ci racconta il giornalista nicaraguense Eddy López Hernández che si trova in Spagna grazie al programma di accoglienza indetto da Reporteros Sin Fronteras. Francesca Giannaccini da Madrid su Radio Bullets
Il Nicaragua è un paese di grandi contrasti. È un paradiso naturale inquinato da una grave instabilitá interna di tipo sociale e politico. Dalla scorsa primavera il paese sta affrontando una grave escalation di violenza e repressione condotta dal governo di Daniel Ortega, affiancato dalla vicepresidente e moglie, Rosario Murillo. Fattore scatenante: una riforma previdenziale che ha sollevato i malumori della popolazione schiacciata da un sistema ormai corrotto e inefficace. In questa situazione, il mestiere di chi informa diventa pericoloso, quasi impossibile.
Ci troviamo all’interno dell’Università Complutense di Madrid al termine di un incontro con il giornalista nicaraguense Eddy López Hernández che ci ha concesso un’intervista. Grazie Eddy e benvenuto ai nostri microfoni.
Buongiorno
Tre mesi fa sei stato costretto a scappare dal tuo paese per le minacce e le intimidazioni subite a causa del tuo lavoro. Puoi raccontarci come si è arrivati a tanto, partendo dalle manifestazioni e dalle proteste della scorsa primavera?
Il 18 aprile 2018 in Nicaragua sono iniziate una serie di proteste contro il governo Ortega a causa di una riforma della previdenza sociale che ha toccato tutta la popolazione e in particolar modo i pensionati. La gente ha iniziato a reagire contro la misura, adottata senza alcuna consulta popolare, e gli anziani sono stati i primi a scendere in piazza. Di risposta il governo ha iniziato a reprimere violentemente le manifestazioni e molti pensionati sono stati purtroppo aggrediti e picchiati. Nei giorni successivi gli studenti di università, pubbliche e private, hanno iniziato a manifestare in segno di solidarietà e per condannare la dura repressione. Raduni e marce si sono svolte tra il 18 e il 19 aprile ma è dal 20 di aprile che la situazione ha iniziato davvero a precipitare. Inizialmente la polizia è intervenuta con lacrimogeni e pistole a salve (che, a seconda di come vengono usate, possono comunque procurare danni fisici e menomazioni). Poi si è passati a incendiare le radio, aggredire e derubare i giornalisti e dopo sono arrivati i primi assassini degli studenti in piazza. Ti posso dire che ad oggi si contano piú di 300 morti per la repressione condotta dal governo contro la popolazione… sono morti bambini, adolescenti. Ormai non esiste più uno Stato di diritto, ma questo già prima del 18 di aprile. Il sistema è profondamente corrotto e la democrazia è ormai fallita: non esiste un partito costituito che rappresenti la maggioranza dei cittadini e ai partiti dell’opposizione è stata sottratta la personalità giuridica. Devo ammettere, purtroppo, che negli ultimi 10 anni non ci sono mai state elezioni trasparenti. Infine, nel giorno della Festa della Mamma che per noi è il 30 maggio, nel corso di una marcia nazionale sono stati uccisi molti giovani e studenti. Questo è stato il regalo che hanno ricevuto le madri in Nicaragua.
Mi hai più volte detto che il destino politico del Nicaragua è strettamente legato a quello del Venezuela.
Di certo il Nicaragua non è un paese ricco di petrolio come il Venezuela. Quando il presidente venezuelano Hugo Chavez era in vita, Ortega che era già Presidente del Nicaragua riceveva da lui quasi 800 milioni di dollari di cui non ha mai reso conto a nessuno. Si sono arricchiti e hanno comprato i più grandi mezzi di comunicazione. Non hanno mai reso conto a nessuno di questo appoggio che veniva dal Venezuela. Non so ora com’è la questione economia però ti posso dire che il Nicaragua al momento non sta ricevendo più alcun aiuto, te lo assicuro. E questo perché il Venezuela ha i propri conflitti interni ed è in crisi. Comunque Venezuela, Cuba, Nicaragua e gli altri paesi i cui presidenti sono di sinistra sono alleati, hanno una forte sinergia strategica e si può innescare una sorta di effetto domino. Se cade Maduro si avranno effetti in Nicaragua, esattamente come se cade Ortega si avranno ripercussioni in Venezuela. Le conseguenze saranno da un lato di tipo economico, dall’altro dobbiamo considerare che già Maduro e i suoi assessori al momento non si stanno occupando dei bisogni della gente, non stanno compiendo il loro compito di governare il paese ma solo di come risolvere i conflitti interni. C’è poco dialogo tra i due paesi e nessun aiuto. Però sicuramente se cade Maduro, Ortega è il prossimo.
Che ruolo ha la stampa in Nicaragua e quanto è difficile lavorare come giornalista oggigiorno?
Il regime sta uccidendo la libertà di stampa nel paese. Ad oggi ci sono piú di 60 giornalisti in esilio che hanno scelto di salvaguardare la propria sicurezza fisica e fuggire dal paese. So che anche in questo momento ci sono giornalisti e direttori di giornali in fuga. Il 20 dicembre una radio importante in cui lavoravo è stata incendiata. Gli attentatori hanno sparso benzina e posizionato una bomba per uccidere le 10 persone che vi lavoravano. Nessun giornalista è morto, per fortuna, ma purtroppo (e dico purtroppo perché sono comunque esseri umani) i due attentatori, sono stati uccisi due giorni dopo questo fatto. Per quanto riguarda la mia esperienza posso dirti che dopo il furto di una macchina fotografica e un computer, ho iniziato a notare che due soggetti mi stavano pedinando. Erano soliti parcheggiare a 40 metri da casa mia, mi scattavano foto, facevano video, mi seguivano quando uscivo, dove andavo a mangiare. Il primo di ottobre, mentre guidavo, mi hanno raggiunto a bordo di una moto, mi hanno fatto fermare, mi hanno puntato la pistola alla testa e uno di loro mi ha detto “smetti di rompere le palle, smetti di scrivere e di incitare alla violenza o la prossima volta ti facciamo fuori”. Subito dopo ho raccontato tutto al direttore del mio giornale che stava già valutando il mio caso come uno dei più a rischio. Ho ricevuto una chiamata e, grazie al cielo, per mezzo di Reporteros Sin Fronteras mi hanno dato la possibilità di venire in Spagna. Ora sono qui da 3 mesi, partecipo al progetto di accoglienza ma non lascio il mio lavoro da giornalista. In verità in Nicaragua, stavamo vivendo un momento tranquillo. Sí, c’erano conflitti ma non quotidiani. C’erano questioni legate alle miniere, al medio ambiente per esempio o in occasione delle elezioni o delle primarie, delle presidenziali, delle municipali. In questi casi c’era sempre un picco di violenza. Prima del 18 aprile la libertà di espressione veniva limitata per via di una legge sull’informazione pubblica cui sono vincolate tutte le istituzioni. Capitava quindi di chiedere informazioni e queste non venivano rilasciate. È comunque una forma di censura. Ma è a partire delle proteste del 18 di aprile che è diventato impossibile fare giornalismo. Se avevi una telecamera te la distruggevano, se usavi il telefono te lo rubavano, venivamo aggrediti, minacciati di morte. Senza parlare degli arresti. Al momento ci sono due giornalisti incarcerati per il solo fatto di aver esercitato un proprio diritto di informare. Parlo di Miguel Mora, direttore e proprietario della televisione nazionale 100% noticias e della direttrice Lucia Pineda Ubau. Alcuni mezzi di comunicazione sono stati sequestrati, i giornalisti costretti all’esilio, direttori e impresari di radio, stampa, televisione e canali digitali sono fuggiti. Non c’è libertá di informazione, non c’è modo di raccontare quello che sta accadendo in Nicaragua. Qui (in Europa) ci saranno tanti altri problemi ma per lo meno si può scrivere, nel mio paese no.
Sappiamo che hai iniziato il procedimento per richiedere asilo politico in Spagna, la domanda sorge spontanea dove e come ti vedi un domani? E per quanto riguarda il tuo paese?
Ho sempre detto che il futuro del mio paese non si può prevedere. L’organizzazione e il mio giornale mi hanno fatto sapere che la situazione sta diventando ancora più pericolosa e sta diventando difficile poter tornare. Io continuo a ricevere minacce, mi hanno detto che se torno rischio di essere arrestato, aggredito, non so cosa può succedermi. Mi hanno consigliato di non tornare adesso, però i tre mesi di programma sono scaduti. Così ho deciso di richiedere la protezione internazionale. Sono nel mezzo del procedimento e non è facile. Di una cosa sono sicuro, che voglio tornare. Non per una questione di orgoglio ma perché non possiamo permettere che due persone, una coppia, presidente e vicepresidente, coloro che dovrebbero governare il paese, ci tolgano i sogni e la speranza. Io ho lavorato tanto, ho studiato e continuo a studiare, mi sono costruito una famiglia, una casa, ho fatto tanti sacrifici e non posso lasciare tutto. Abbiamo fatto tanto per la libertà di stampa, per permettere alle persone di lottare per i diritti umani, per gli interessi della gente. È quello di cui parlava la giornalista venezuelana Elsa Piña…il nostro compito è denunciare, far sapere che le persone muoiono perché manca l’acqua e che il governo non sta facendo ciò che deve per aiutarle, che non provvede ai servizi di base. Questo però rappresenta un pericolo per loro, ci accusano di essere destabilizzatori di governo, golpisti, gente di destra contro la sinistra. Io ho le mie idee ma non sono in politica e non sono un politico, sono un giornalista. Quindi per rispondere alla tua domanda, io desidero tornare. È quello che dico sempre a mia moglie, ai miei figli. Se non avessi avuto l’opportunità di stare qui, non sarei scappato, non avrei lasciato il paese, sarei rimasto là. È duro affrontare tutto questo, ma dobbiamo resistere.
E non dimenticate i podcast di questa settimana su Radio Bullets:
Il ticchettio si fece battito, nella rubrica di Technomondo di Raffaella Quadri e ancora la recensione geopolitica del film Ancora un giorno su Geocinema di Mariangela Matonte. L’incontro del secolo parla di scacchi, in una storia di Sport di Giuliano Terenzi, mentre continua l’affascinante viaggio in Africa di Eleonora Viganò con la rubrica Vieni via con me.
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